Il libro di Fabio Cofferati pubblicato anche in Russia

La presentazione al Newada Bar di Mosca

Si è svolta martedì 14 dicembre presso il Newada Bar di Mosca, uno degli storici luoghi di ritrovo dei vespisti della città, la prima presentazione del libro in lingua russa “Ancora in Vespa da Milano a Tokyo” che racconta le avventure del vespista Fabio Cofferati sulle orme dello storico viaggio del 1964 di Roberto Patrignani. Dopo il successo dell’edizione italiana il vulcanico presidente del Vespa Club di Mosca Konstantin Ognev si è occupato della traduzione di un libro che racconta per oltre metà delle pagine l’attraversamento della nazione più estesa del mondo.

Nell’introduzione della serata Ognev ha ricordato come sia stato difficile riuscire a trasmettere le esatte emozioni provate da Fabio durante il viaggio anche a causa della particolarità della lingua italiana molto ricca di vocaboli. “Attraverso gli occhi di Fabio vediamo non solo la bellezza della natura, ma anche la complessità delle vicenda umana dove la Vespa diventa molto di più di un mezzo di trasporto ma una metafora di libertà e perseguimento dei propri sogni” ha aggiunto Ognev. Infine è stato ricordato come i Vespa Club di Mosca, San Pietroburgo e Tjumen’ siano stati importanti parti di questo viaggio fornendo aiuto logistico utile all’avventura. Il libro permette anche di apprezzare come gli occhi di uno straniero possano vedere la vastità territoriale, etnica, linguistica, religiosa e culturale di una nazione immensa come la Russia.

Successivamente un video-intervento dell’autore, impossibilitato a presenziare, ha contribuito ad accendere ulteriormente l’interesse per la serata.  “Sono felice e onorato di essere con voi e sono felice che il mio libro sia stato tradotto in lingua russa”, sono le parole con cui ha esordito l’autore. “Desideravo visitare la Russia perché la sentivo molto affine alle mie attitudini, e l’ho potuto fare a cavallo di una Vespa che è un eccezionale social network perché quando arrivi con lei chi ti vede già ti conosce”, ha detto, prima di concludere con un augurio: “Vi invito a viaggiare lungo le strade del vostro immenso Paese perché potrà regalarvi grandi emozioni”. Uno scroscio di applausi ha salutato le parole da remoto di Fabio Cofferati.

Anche per supplire solo parzialmente all’assenza dell’autore ho scelto di recarmi a Mosca dalla relativamente vicina (900 km) Kazan’. Ignoravo che nelle stesse ore la capitale russa sarebbe stata colpita dalla più grossa nevicata degli ultimi sessanta anni, un evento che ha contribuito a rendere ancora più pittoresco il reportage sulla presentazione del libro. Il mio intervento è stato relativo alla genesi del viaggio e alle difficoltà burocratiche e logistiche che Fabio ha affrontato per riuscire a coronare il sogno di avvicinarsi il più possibile al Giappone. Allo stesso tempo è stato interessante rispondere alle domande degli intervenuti relative alla parte di esperienza automobilistica che Domenico Raguseo ed io abbiamo vissuto accanto a Fabio Cofferati e alla sua Vespa del 1963.

Sono pochi i moscoviti che hanno esplorato l’Estremo oriente del proprio Paese e ancora meno quelli che lo hanno fatto con un mezzo di trasporto per un viaggio nel quale occorrono settimane. Probabilmente è proprio questo l’elemento di maggiore interesse di un’avventura del genere ed è anche il motivo per il quale i probabili lettori di “Ancora in vespa da Milano a Tokyo” non saranno solo gli appassionati di Vespa. Non abbondano nelle librerie russe i resoconti di viaggio scritti da stranieri tradotti in una lingua che è parlata da oltre duecentocinquanta milioni di persone e quindi ben oltre i confini russi.

Chissà se proprio grazie a questa opportunità per Cofferati non si possa aprire, oltre a quella di viaggiatore, una nuova carriera di scrittore oltre i confini italiani. In tal caso, in vista della probabile seconda ristampa, sarà tempo di riportare Cofferati in Russia e fare presentazioni in molte delle principali città, iniziando da quelle protagoniste di un viaggio che lo ha visto partire dalla sua Emilia ed arrivare fino all’isola di Sachalin.

A Berlino trent’anni dopo

Alla fine i chilometri sono stati quasi cinquemila più del previsto, le nazioni toccate dal viaggio dieci e i confini attraversati diciotto. Nei viaggi a cui abbiamo preso parte in passato il numero di Stati visitati e di confini percorsi era sempre stato maggiore, ma nell’epoca tormentata dal Covid-19 è già un grande risultato essere riusciti ad intraprendere un viaggio del genere che ci ha portato a soli 43 chilometri dal Giappone. Proprio l’ultimo confine, quello tra la Russia e l’Impero del Sol Levante, si è rilevato impossibile da attraversare, senza comunque svilire il senso del nostro viaggio. Certamente non abbiamo potuto visitare Tokyo durante i Giochi olimpici, ma allo stesso tempo siamo felici di aver compiuto il primo vero e proprio test drive dedicato ad un’auto con tecnologia ibrido-gas naturale. Adesso abbiamo finalmente dati importanti su cui riflettere e per confermare che questo tipo di mobilità è davvero una rivoluzione nel mondo delle quattro, e non solo quattro, ruote.

A distanza di tre decenni

Sono passati poco meno di tre decenni da quando ebbi il privilegio di visitare quella che stava per tornare ad essere la capitale della Germania. La prima volta che ci avevo messo piede c’era ancora un muro che divideva in due la città e la storia della Germania orientale era già agli sgoccioli. Quella successiva era dopo la riunificazione quando erano in corso le prima profonde trasformazioni che avrebbero del tutto cambiato la città. Oggi mi considero fortunato ad aver potuto osservare e scoprire Berlino senza dover ricorrere ai libri di storia. A distanza di poco più e poco meno di trenta anni ho visitato una terza Berlino molto diversa da quella di fine anni ‘80 e da quella di inizio ‘90. A dire il vero avevo avuto più volte l’occasione di tornare a mettere piede all’ombra della Porta di Brandeburgo, ma lo shock delle trasformazioni del 1993 mi avevano fatto comprendere che quando ci sarei tornato avrei visto qualcosa di molto diverso dalla Berlino legata alla mia infanzia. In modo non molto diverso ho lasciato passare molti anni anche tra le mie visite a Budapest e Praga degli anni ‘80 e le stesse città nel XXI secolo. Entrambe mi trasmisero un sentimento di delusione rispetto a ciò che da turista privilegiato ho potuto ammirare prima dell’apertura al turismo di massa. Nessuna analisi politica o sociale, ma solo la differenza tra quello che ho potuto osservare prima e dopo. Proprio l’effetto che mi fecero le capitali ceca e ungherese mi consigliarono di restare alla larga di Berlino per non avere contraccolpi ancora maggiori. Timidamente avevo già rimesso piede nel territorio della Repubblica Democratica Tedesca notando come le autostrade continuassero ad avere il fondo in cemento invece che in asfalto come nella Germania occidentale. Sempre la mancanza di asfalto è stata la cosa che ho notato superando il fiume Oder quando il nostro viaggio di ritorno dal Giappone è entrato in quello che un tempo era il territorio della DDR.

Avvicinandosi al centro della città ancora oggi è abbastanza percepibile quali quartieri appartenessero ad una Germania e quali all’altra. Le ricuciture urbanistiche sono state quasi sempre vaste ed importanti, ma pur ottenendo ottimi risultati non sono riuscite a cancellare alcune differenze sociali ed economiche neppure dopo trenta anni. Nessuna particolare sensazione osservando quello che resta del muro che da barriera di divisione di due mondi oggi è diventata una mostra d’arte a cielo aperto. Alexanderplatz invasa dalla pubblicità e la scomparsa del vecchio parlamento della Germania orientale mi hanno maggiormente colpito. La prima ha conservato molti elementi dell’architettura socialista nonostante nuove costruzioni che la rendono meno austera rispetto al passato. Il parlamento è stato demolito per lasciare spazio ad un finto castello di dubbio gusto. La variazione di questo spazio mi ha particolarmente infastidito. L’Unter der Linden, il viale sotto i tigli che collega il nuovo castello alla Porta di Brandeburgo, pur avendo subito qualche modifica ha mantenuto il solenne aspetto dell’epoca precedente. L’area attorno alla porta, al Reichstag e alle zone dove il muro divideva la città all’interno del suo cuore storico è profondamente mutata con il recupero o l’aggiunta di elementi in passato non presenti, come il memoriale dedicato alle vittime dell’Olocausto o tutta l’area di Potsdamer Platz. La parte occidentale della città l’ho trovata architettonicamente simile alla mia precedente visita, ma priva di una propria centralità probabilmente persa a favore del nuovo centro cittadino, tornato ad essere quello che nella Berlino post guerra era finito nella zona di occupazione sovietica. Da ragazzino ricordavo un forte degrado sociale a Berlino ovest che oggi appare evidente nell’intera città. A est, soprattutto in periferia regnava il grigiore, oggi solo parzialmente colorato dalle vivaci tinte attorno ai palazzoni costruiti nella seconda metà del ventesimo secolo.

Paese che vai, “green pass” che trovi

Attraversare l’Europa dal confine russo fino all’Italia ci ha permesso di sperimentare le diversissime regole in vigore nei vari stati dove abbiamo dormito o mangiato. Alcune delle esperienze vissute meritano di essere raccontate. In Russia, come è noto, non si avverte più l’emergenza Covid già da molti mesi. Questo non perché il problema sia stato sconfitto, ma semplicemente perché nessuno vuole più vivere con le restrizioni, seppure minime, che erano in vigore in precedenza. Questo porta a circa settecento morti al giorno, secondo le fonti ufficiali, ma ad una vita tornata quasi del tutto come prima della pandemia. Il celebre vaccino Sputnik non viene riconosciuto in molto paesi dell’Unione Europea costringendo il vaccinato in terra russa a non poter avere i green pass se non effettuando continuamente tamponi. Delle tre repubbliche baltiche solo la Lettonia ha delle regole che impongono di entrare con test recente o vaccinazione e almeno nelle frontiere principali ci sono anche controlli. Gli estoni si limitano a ricordarti che hai 24 ore per attraversare il paese, mentre i lituani non sembrano neppure ricordare l’esistenza del problema. Anche la Polonia non ha regole particolarmente restrittive, ma è ricca di luoghi dove poter fare tamponi dato che sia la Germania che la Repubblica Ceca applicano delle norme molto stringenti. In Germania vaccinazione o test vengono richiesti per sedere in qualsiasi ristorante o per entrare in albergo. Se il test è più vecchio di 24 ore si dovrà ripetere e con nostro piacere abbiamo scoperto come quasi sempre questo possa avvenire gratuitamente negli stessi ristoranti o alberghi. Solo al campo di concentramento di Dachau un kit per il test rapito lo abbia pagato tre euro a testa. Lo stesso kit in una farmacia lombarda, comprato per effettuare il test appena rientrati in Italia, lo abbiamo pagato 25 euro. Al nostro racconto il farmacista ci ha ricordato come l’esito del test in Italia sia certificato da un medico mentre in Germania da un ristoratore o albergatore. Peccato che per saper distinguere una linea (negativo) da due righe (positivo) non serva per forza una laurea, esattamente come per leggere un test di gravidanza. Dopo i continui controlli germanici abbiamo attraversato rapidamente l’Austria dato che avrebbe avuto verso di noi attenzioni simili a quelle tedesche. Infine molto curioso scoprire come al Passo del Brennero, all’ingresso verso l’Italia, il confine sia presidiato dalle nostre forze dell’ordine, mentre al non lontano Passo Resia o ai sempre vicini accessi dalla Svizzera nessuno controlli chi entra nel nostro Paese.

Ritorno in Italia e il primo mancato rifornimento dell’intero viaggio

Siamo passati dal Passo Resia per evitare le circa due ore di fila che la vecchia e la nuova strada che collegano Austria e Italia dal Brennero proponevano. Sul Resia neppure una macchina a sfidare la dogana sotto una leggera pioggerellina di fine estate. Come promesso alla partenza da Milano, siamo rientrati in Italia percorrendo la Valtellina e visitando alcune delle sua bellezze naturali e culturali. Non poteva mancare la sfida di salire sul Passo dello Stelvio per verificare il comportamento della nostra Toyota C-HR ibrida-gas naturale nelle condizioni estreme che offre la lunga salita che conduce ai 2.758 metri del valico alpino più alto d’Italia e della successiva discesa verso Bormio. Proprio in Valtellina abbiamo effettuato il test Covid di benvenuto in Italia che ci ha permesso di entrare per la prima volta in possesso del green pass. Ci va molto peggio con il primo rifornimento di metano italiano, dato che troviamo chiuso per un guasto tecnico il distributore dalle parti di Sondrio. Dopo circa sessanta rifornimenti sempre perfettamente riusciti dispiace avere il primo contrattempo proprio in Italia, la nazione europea con il maggior numero di distributori di metano. La corsa contro il tempo per raggiungere il punto di erogazione successivo ci vedrà, con rammarico, utilizzare per la prima volta in Europa, la benzina. Arriviamo un attimo prima della chiusura e riusciamo a fare il primo pieno italiano pochi minuti prima della chiusura della stazione di rifornimento. Come possiamo constatare il self service di metano o l’apertura h24 in Italia continuano ad essere una rarità, mentre nel resto d’Europa è la normalità.

Dopo la Valtellina decidiamo di restituire la visita al vespista Fabio Cofferati, compagno di avventura nel nostro viaggio verso il Giappone. Siamo suoi ospiti in quel di Salsomaggiore ripercorrendo le rispettive esperienze davanti ad un’ottima tavola ricca di prelibatezze. La tappa quasi conclusiva della Milano-Cortina-Tokyo è costituita da Sansepolcro e dalla Valtiberina, da dove sarà organizzato a breve un ritorno a Milano attraverso le sedi dei principali sostenitori che hanno reso possibile il doppio lungo viaggio lungo le strade del continente euroasiatico.

L’auto del futuro verso i trentamila chilometri

La cifra tonda sarà toccata e superata quando riprenderemo il cammino verso Milano dove restituiremo l’auto a Snam, la proprietaria. Qui a Sansepolcro avverrà un attento studio dell’auto e dell’impianto ibrido-gas naturale da parte di Piccini Impianti, l’installatore che appena un anno fa ottenne l’omologazione della nostra Toyota pronta per la sua seconda vita a base di gas naturale. A metà strada tra la cittadina toscana e il capoluogo lombardo sosteremo di nuovo a casa di Landi Renzo Spa per raccontare la nostra avventura che ha toccato anche le loro numerose officine lungo le strade del continente euroasiatico. Al momento del ritorno a Milano la Toyota C-HR di Snam avrà superato, come detto, i 30.000 chilometri di viaggio, ben oltre le previsioni che avevamo fatto prima della nostra partenza per Tokyo. Non occorrono particolari studi per ribadire i dati sui consumi emersi durante il viaggio. Nonostante in buona parte di quello di ritorno abbiamo tenuto ritmi più veloci rispetto all’andata, l’auto ha mediamente percorso quasi 40 chilometri con un chilogrammo di metano, più o meno 400 chilometri con 10 euro, considerando i prezzi italiani. Nel tratto siberiano privo di infrastrutture di rifornimento di gas naturale, l’auto ha percorso una media di 24 km con un litro di benzina con percorsi prevalentemente extraurbani.

Articolo pubblicato originariamente su www.teverepost.it.

La Milano-Cortina-Tokyo e una pizzeria estone che sa di Valtiberina

"La casa nostra" a Kaberneeme

Se il confine tra Unione Europea e Russia ha fatto perdere quasi due settimane di prezioso tempo durante il viaggio di andata della Milano-Cortina-Tokyo, questa volta la stessa dogana russo-estone tra le città di Ivangorod e Narva non ha costituito particolari problemi se non per la necessità della presenza di Domenico Raguseo oltre che in entrata anche in uscita dalla Federazione Russa. Domenico, aggiunto a sorpresa nella squadra del viaggio per esigenze di carattere burocratico, si è rivelato una persona ricca di iniziativa, sicuramente determinante sia per il successo del viaggio a metano più lungo di sempre che per l’ingresso della Vespa di Fabio Cofferati in Russia.

A Mosca!

Dopo una breve sosta a Kazan’ la Toyota di Snam, con a bordo l’impianto ibrido-gas naturale di Landi Renzo installato da Piccini Paolo Spa, ha ripreso il cammino verso la capitale russa. Questa volta è stato possibile programmare per tempo il nostro arrivo e quindi recuperare l’importante incontro con l’Ambasciata Italiana a Mosca saltato per il problema alla frontiera durante il viaggio di andata. Ad accoglierci davanti alla storica sede di Villa Berg, a due passi dal Ministero degli Esteri russo e un tempo sovietico c’erano molti addetti alla rappresentanza italiana, guidati dal vicecapo missione Guido De Sanctis e dal primo consigliere del’ufficio economico-commerciale Pierluigi Schettino. Situata vicino alla vecchia Arbat, la struttura è sede della rappresentanza diplomatica italiana dal 1924. In precedenza era di proprietà della famiglia Berg, scappata dopo la Rivoluzione del 1917. Assegnata come sede diplomatica alla Germania, fu abbandonata nel 1920 poiché il rappresentante diplomatico tedesco vi fu assassinato probabilmente da due membri dei servizi segreti russi. Prima dell’arrivo degli italiani ospitò il direttivo dell’Internazionale Comunista. Dopo le foto di rito davanti all’ambasciata, ci siamo trasferiti all’interno per un cordiale incontro che ha ripercorso le principali tappe del nostro viaggio per poi passare ad un approfondimento dei rapporti commerciali tra Russia ed Italia legati al mondo del gas naturale. Le dinamiche economiche tra i due Paesi attorno alla tematica del metano sono importantissime e mobilitano interessanti risorse economiche in entrambe le direzioni.

Qui il mondo cambia anche in soli due mesi

La Russia è un Paese che può stupire per la lentezza con la quale avvengono alcune trasformazioni o semplicemente per la sua burocrazia, che non è da meno di quella italiana. Allo stesso tempo Mosca è in grado di vincere scommesse contro il tempo e lo dimostra la velocità con cui riesce a costruire infrastrutture, ad esempio il ponte che unisce la Crimea al resto del Paese, oppure per i risultati della ricerca contro il Covid che hanno portato alla nascita dello “Sputnik”, primo vaccino brevettato per combattere il virus che ha paralizzato il mondo. Al centro della nostra attenzione è il confronto tra il nostro viaggio di andata e quello di ritorno, che nella parte di viaggio tra Mosca e San Pietroburgo si è ripetuto a meno di due mesi di distanza. Questo breve lasso di tempo è servito a far scomparire le voragini che caratterizzavano la strada che conduce alla stazione di metano di Tver’, ma soprattutto ad inaugurare più di una stazione di rifornimento nella nuova autostrada M11 che collega le due importanti città della Russia. A circa metà del percorso, in entrambe le direzioni, sono sorte due stazioni autostradali Gazprom di metano, le prime nel grande Paese. Oltre che il metano è possibile nello stesso luogo fare rifornimento di metano liquefatto (gnl). Una vera ed incredibile sorpresa dato che eravamo passati di qui cinquanta giorni prima e non avevamo percepito traccia di questi due luoghi aperti da appena una settimana. Ci confermano che siamo la prima auto non russa ad effettuare rifornimento in questo strategico luogo.

Il ponte sul fiume Narva

Dopo una sosta serale dalle parti di San Pietroburgo, al mattino della domenica, armati di ennesimo tampone Covid, documenti e tanta pazienza, ci rechiamo alla frontiera di Ivangorod-Narva per quello che abbiamo programmato come rientro nell’Unione Europea. Siamo cauti con l’ottimismo visti i guai passati la volta scorsa. Stavolta oltre me, Domenico e Bruno il cinghiale, in un auto stracolma di bagagli, ci sono mia moglie Olga e mia figlia Alisa, che non varcano una frontiera da quasi venti mesi. Prima di arrivare a Narva facciamo l’ultimo economico rifornimento di metano in terra russa. A parte i consueti tempi lunghi, soprattutto sul lato russo, tutto stavolta fila liscio e la Toyota C-HR è finalmente sdoganata in Unione Europea dopo aver concluso la lunga, chilometricamente parlando, importazione temporanea in terra russa. Come primo gesto oltre confine torniamo sul balcone panoramico che domina il fiume che dona il proprio nome alla parte estone della città, un tempo unita nell’Urss e oggi divisa tra Russia ed Estonia e soprattutto tra lo stato euroasiatico e l’Unione Europea. A questo punto Domenico recupera la sua auto parcheggiata precedentemente in una dacia di campagna non lontana dal confine grazie alla collaborazione con le filiali polacche e lettoni di uno dei nostri principali sponsor. Con l’occasione i proprietari della dacia ci fanno dono di pomodori, cetrioli e carote per sostenere il prosieguo del nostro viaggio! Raguseo rientra in Russia mentre io, la famiglia e il cinghiale proseguiamo l’avventura che ancora dovrà percorrere oltre tremila chilometri prima di arrivare in Italia.

Self-service baltici

Percorriamo i tre Stati baltici a cavallo del 23 agosto, il giorno che localmente ricorda la lunga catena umana composta da circa due milioni di persone che lo stesso giorno del 1989 unì Vilnius, Riga e Tallin in una forte protesta contro le autorità sovietiche. Alle 19.00 del giorno 23 agosto è abitudine ricordare quell’evento tornando in strada e ripetendo, ormai solo parzialmente e unicamente nei pressi delle grandi città, quel gesto che contribuì a cambiare la storia di Lituania, Lettonia ed Estonia. I tempi sono cambiati e a distanza di trent’anni dall’indipendenza alcune problematiche non sono affatto risolte. Se il tenore di vita è sicuramente migliorato grazie al sostegno dell’Europa e alla capacità di gestire bene le risorse arrivate, dall’altra parte continua a non essere chiaro lo status di centinaia di migliaia di cittadini di origine russa che sono parzialmente esclusi dalla vita politica del paese. Il rapporto con la Russia rimane controverso e combattuto. Nel caso del metano tutti e tre i paesi restano buoni clienti di Mosca e perseguono lo sviluppo di numerose stazioni di rifornimento tutte self-service e aperte h24. In molti casi, soprattutto in Estonia, non sono neppure presidiate e tutto si svolge automaticamente sia per le auto che per i mezzi pesanti ampiamente metanizzati. La Lettonia è l’unica dei tre Baltici in cui le colonnine di rifornimento, ovviamente rigorosamente self-service, sono sempre all’interno di distributori dove è possibile trovare i carburanti tradizionali e il gpl ed è presente un ottimo servizio di bar e ristorazione. Quello che è certo è che la rete dei distributori di metano è in rapida espansione da alcuni anni e sta facendo capolino anche il biometano, visto come alternativo all’importazione del gas russo. Oggi non c’è angolo dei tre Paesi baltici dove non arrivi la possibilità di rifornirsi di gas naturale, opportunità da noi ampiamente sfruttata durante questo ed altri viaggi.

Una pizzeria che sa di Valtiberina

La penisola e villaggio di Kaberneeme dista circa trenta chilometri da Tallin. Si trova ad est ed è sicuramente uno dei posti di mare più belli della costa estone. Qui ha una seconda casa con una piccola attività di bed and breakfast Tanel Eigi che assieme alla moglie Stina e ai tre figli Morris, Meliina e Madleen ha avuto un’ulteriore brillante idea, quella di aprire una pizzeria in stile italiano direttamente sul giardino di casa. La famiglia Eigi in passato ha lungamente frequentato l’Italia, per l’esattezza proprio Sansepolcro e la Valtiberina. Tanel ha sviluppato una grande passione per il vino ed ha contribuito anche alla creazione della prima rivista estone sul tema. Tutta la famiglia ama il cibo italiano e lo si percepisce dalla costruzione maniacale del menù di “La casa nostra”. Il nome è italiano come la musica che si può ascoltare mangiando una pizza fatta con ingredienti al 100% provenienti dall’Italia. Non mancano birre e vini sempre figli del Belpaese. Tanel anni fa mi aveva informato dell’attività di soggiorno vicino alla loro casa, mentre ho appreso dalle pagine social dell’esistenza di questa pizzeria e dell’aspetto gradevole del cibo, almeno attraverso le fotografie. Gli Eigi ammettono di essersi innamorati dell’Italia e del nostro cibo anche attraverso i loro periodici soggiorni in Valtiberina. Da ex ristoratore che ha contribuito a far nascere questo amore, ammetto di essere stato davvero emozionato nel visitare “La casa nostra”, e sentirmi dire che è anche merito mio e di Sansepolcro se tutto questo è stato realizzato mi ha lasciato senza parole. Il fatto che oggi a Kaberneeme e dintorni tanti estoni possano mangiare una pizza italiana eccellente è frutto di attenzioni che gli osti e i ristoratori di Sansepolcro hanno avuto nei confronti di questa famiglia estone. Mi chiedo quanti casi simili esistano in giro per il mondo e probabilmente della maggior parte di questi in Valtiberina non è mai arrivata notizia.

A Varsavia!

La Polonia è un Paese dove la diffusione del metano per autotrazione vive un momento di stallo anche per le scelte del governo nazionale di non volere essere troppo legato economicamente alle risorse naturali vendute dalla Russia. Non mancano le stazioni di rifornimento di gpl, se ne contano circa quattromila. Qui gli italiani giocano ancora una volta un ruolo da protagonisti con posizioni importanti nel mercato della trasformazione delle auto verso i due carburanti gassosi. All’andata fummo ospiti della filiale polacca della Landi Renzo, stavolta abbiamo il piacere di raccontare il nostro viaggio nell’Ambasciata d’Italia a Varsavia. Abbiamo avuto modo di incontrare la vicecapo missione Laura Ranalli assieme al Primo segretario Simone Balzani, che hanno ascoltato con interesse la nostra avventura e ci hanno invitato ad inserire Varsavia anche nelle prossime tappe di eventuali avventure simili.

Articolo pubblicato originariamente su www.teverepost.it.

Indietro tutta! Dal Pacifico agli Urali in poco più di una settimana

Ottomila chilometri in dieci giorni con le relative soste per i rifornimenti di metano, non sempre lungo la strada principale, e quelle per fare visita agli installatori Landi Renzo nella Federazione Russa. La totalità di questo percorso è stata su strade statali, insieme agli innumerevoli camion che attraversano quotidianamente l’Eurasia. Spesso la media oraria non ha superato i settanta chilometri sia per il traffico che per gli innumerevoli cantieri. Per poter rispettare la tabella di marcia che ci ha visto lasciare il porto di Vanino il 6 agosto ed arrivare a Kazan’ il giorno di Ferragosto è stato spesso necessario guidare dall’alba al tramonto.

Tre uomini e un cinghiale

Il giro di boa della Milano-Cortina-Tokyo, avvenuto nella spiaggia a sud dell’isola russa di Sachalin, ha visto anche un importante cambio di equipaggio. La Vespa con cui Fabio Cofferati ha compiuto la propria avventura (LINK) è destinata a rientrare in Italia attraverso un’impresa di spedizioni, mentre il vespista emiliano sale a bordo della Toyota C-HR ibrida-metano per una parte del proprio viaggio di ritorno. Così Cofferati si aggiunge a Domenico Raguseo, al cinghiale di peluche Bruno e al sottoscritto per qualche migliaio di chilometri, iniziando proprio dalla tratta marittima che vede tre italiani e la loro auto tornare nella Russia continentale con le consuete venti ore di navigazione da Cholmsk a Vanino. Stavolta il mare è assolutamente tranquillo e le cabine più confortevoli rispetto a quelle del viaggio di andata permettono il record di sonno dell’intero viaggio. Nella pancia della nave la nostra Toyota viaggia con il pieno di metano effettuato nelle remote stazioni di Južno-Sachalinsk, con la consapevolezza di essere la prima auto europea ad effettuarvi un rifornimento. Il viaggio di ritorno ripete in gran parte lo stesso itinerario di quello di andata. Ad inizio viaggio avevamo in programma di fare escursioni nelle repubbliche di Chakassia e Tuva oltre che nella città di Tomsk. La dura realtà e il ritardo accumulato ci costringono a cambiare programmi, accontentandoci di prevedere solo un diverso punto di attraversamento negli Urali e quindi, dopo Omsk, visitare Kurgan, Čeljabinsk e Ufa, costeggiando il confine kazako, prima di rientrare a Kazan’.

Il sole oscurato dagli incendi in Jakuzia

Dopo essere sbarcati ad un orario accettabile della mattina dalla “Sachalin VIII”, partiamo subito per Chabarovsk con l’obiettivo di riuscire a rifornirci di metano dal carro bombolaio privato che ci ha aiutato anche durante il viaggio di andata. Puntiamo a proseguire nella guida fino al momento in cui il sole lascerà il posto all’oscurità riuscendo ad arrivare a Birobidžan. Da lì ci mangiamo lo Zilov Gap e la desertica strada che conduce a Čita in appena due giorni macinando anche oltre mille chilometri a giornata. La consueta tappa intermedia avviene nella ormai mitica Erofej Pavlovič e nella mensa dei ferrovieri che puntualmente ci rifocilla e ci permette di accumulare le energie necessarie al prosieguo del viaggio. Quando si sa dove mangiare e dormire, e tolte le preoccupazioni di fornire assistenza ad un Vespa al seguito impegnata in una storica impresa, diventa più facile percorrere lunghe distanze. Un elemento particolare di questa parte del viaggio è una strana nebbia costantemente presente nonostante le previsioni del tempo indichino un cielo sereno. In realtà si tratta del fumo degli incendi che stanno colpendo parte della Jakuzia e che il vento trasporta a centinaia e migliaia di chilometri. L’area devastata dal fuoco ha la stessa estensione territoriale della Grecia o della Georgia, a seconda se la fonte giornalistica è europea o russa. Dove stiamo passando non si avverte alcun odore e il fumo non è particolarmente denso. La cosa che fa più impressione è osservare a tutte le ore del giorno il disco solare attraverso il fumo, che non rende necessario alcun tipo di ulteriore filtro. Anche il nostro ritorno sul lago Bajkal è caratterizzato da questa nebbia che non ne valorizza l’aspetto. Dalla riva non si riesce a vedere oltre una cinquantina di metri.

Solo contro la Siberia

Ad Irkutsk la squadra in viaggio cambia ancora. A Fabio sta per terminare il visto mentre Domenico deve rientrare a Mosca per esigenze personali programmate. Questo mi costringe a proseguire da solo fino a Kazan’, uno sforzo di oltre 4.000 chilometri dove potrò contare solo su Bruno il Cinghiale e sulla musica retrò delle radio russe. Lascio i miei due compagni di viaggio e riprendo il cammino quasi solitario. Abbandonata la tentazione di fare importanti deviazioni dal percorso programmato, ritorno a viaggiare utilizzando il metano a partire dal capoluogo minerario di Kemerovo. Fino ad Omsk il percorso è lo stesso dell’andata per poi esplorare una strada nuova, quella che costeggiando il confine con il Kazakistan risolve uno dei problemi rimasti aperti dopo la fine dell’Unione Sovietica. La strada più diretta che collega Mosca alla Siberia centrale passa per alcune centinaia di chilometri nello stato kazako. Negli anni sono cresciute le difficoltà per attraversare rapidamente i due confini situati ad ovest ed est di Petropavlovsk, e soprattutto farlo con un’auto straniera in epoca di Covid significherebbe cercarsi grosse complicazioni. Nei tre decenni dalla nascita di queste frontiere la Russia ha costruito una buona strada che aggira il problema allungando i chilometri ma eliminando i confini. Di situazioni simili lungo le frontiere dell’ex Urss ce ne sono molte e non sempre si è giunti a soluzioni. Interessante è il caso dello “Stivale di Saatse” o della città moldava di Palanca. Nel primo caso la Russia permette agli estoni di attraversare senza alcun particolare controllo due pezzetti di proprio territorio perché gli abitanti di due villaggi possano spostarsi da una parte all’altra. Nel secondo caso un lembo di Moldavia interrompe la continuità territoriale di una parte di Ucraina e piuttosto che costruire una complicata strada nei pressi di un lago si è raggiunto un accordo di transito senza sosta su circa otto chilometri di strada. Nel caso russo-estone un’intesa tra i due stati dovrebbe in breve tempo far cessare il problema. Situazioni simili mai del tutto risolte ci sono tra Russia e Bielorussia e tra gli stati dell’Asia centrale, dove non mancano pezzi di uno stato dentro l’altro. Armenia e Azerbaigian hanno risolto militarmente questo tipo di situazioni occupando reciprocamente e con l’uso della forza le exclavi che insistevano all’interno dei proprio territori.

Al di qua e al di là degli Urali

La visita agli installatori russi dei sistemi metano e gpl “made in Italy” è la scusa per poter approfondire per la prima volta la conoscenza con le città di Čeljabinsk e Ufa, rispettivamente ultima città asiatica prima degli Urali e prima città europea subito dopo il confine intercontinentale. Da entrambe ero più volte passato in veloci transiti senza mai dedicarmi alla conoscenza dei centri cittadini. Avevo sempre avuto l’impressione che Čeljabinsk fosse una grigia città sovietica fatta di fabbriche e ciminiere mentre Ufa fosse meritevole di visita, ma nell’unica occasione in cui mi avvicinai, durante la Torino-Pechino del 2008, non c’era alcun posto libero negli alberghi del centro. Le sensazioni erano entrambe sbagliate. Čeljabinsk è sicuramente una città sovietica divenuta importante durante la Seconda guerra mondiale, quando vi furono trasferite numerose fabbriche della Russia europea invasa dai tedeschi. La produzione non tornò più in Europa e centinaia di migliaia di persone rimasero a vivere lì. Il centro è decisamente moderno e lo stile sovietico convive con qualche recente innovazione architettonica. La strada centrale e pedonale “Kirova” è forse il luogo più vivace che abbiamo incontrato nell’intero viaggio. Gente di ogni età si gode la calda serata nei caffè e ristoranti di una davvero piacevole Čeljabinsk. Ufa è più ricca di storia, molte case in legno sopravvivono alla modernità o al neoclassicismo di epoca stalinista. Rispetto a Čeljabinsk è priva di un luogo che possa essere identificato come centro cittadino, anche se negli ultimi decenni il parco con la statua dell’eroe baschiro Salavat Julaev ha assunto questo tipo di importanza. Ufa è su una lunga collina stretta tra i fiumi Belaja e Ufa e proprio il fatto che si sviluppi non in pianura la rende una propaggine dei monti Urali. Tra le due città abbiamo attraversato una seconda volta quello che è considerato il confine geografico che divide Asia ed Europa.

L’impatto dei fusi orari nel viaggio

La Russia è attraversata da undici diversi fusi orari. Nel nostro viaggio abbiamo avuto modo di toccarne nove. I cambi di ora influiscono molto riducendo il tempo a disposizione quando si va verso est e allungandolo quando si torna verso ovest. In realtà è più un aspetto psicologico che di natura temporale, poiché a condizionare l’individuo in questo tipo di viaggi è la necessità serale di trovare un alloggio, e di conseguenza a stabilire quando fermarsi è più l’oscurità che l’orologio. Naturalmente in auto non si risente molto del jet-lag tipico dei viaggi in aereo, anche se quando si percorrono otto fusi orari in dieci giorni qualche anomalia nelle abitudini la si può registrare anche in un viaggio via terra. Nel passato la lentezza dei viaggi in nave, a piedi o al massimo nei carri trainati da animali non facevano mai percepire questo aspetto. Coloro che intraprendono il viaggio ferroviario lungo la Transiberiana, se la percorrono in senso contrario rispetto alla maggior parte dei turisti, quindi arrivando a Mosca da Vladivostok, abbattono il jat-lag al momento della fine del viaggio, che altrimenti li avrebbe visti rientrare in Europa dal Pacifico in aereo. Proprio per questo negli ultimi anni è aumentato il numero dei turisti che la percorre al contrario. Nel nostro caso il viaggio è lento sia all’andata che al ritorno, ma il miglioramento della rete stradale russa e la possibilità di fare lunghe tappe, impossibili in passato a causa della strada in condizioni terribili, fa emergere questo tipo di problema anche nei viaggi automobilistici. Un piccolo vantaggio di trovarsi nove ore avanti all’Italia è il fatto di vivere attivamente la parte di giornata che corrisponde alla notte italiana, con la conseguenza di un notevole calo dell’attività social che restituisce parzialmente al viaggiatore il senso di lontananza e distacco da casa.

Direzione Europa

La Milano-Cortina-Tokyo fa ora una breve tappa a Kazan’, quello che all’andata avevamo definito il quartiere generale avanzato del viaggio. Nei prossimi giorni l’equipaggio della Toyota C-HR ibrida-gas naturale è atteso all’Ambasciata d’Italia a Mosca per recuperare l’incontro saltato all’andata a causa del cambio di date ed itinerario dovuto alle difficoltà burocratiche incontrate in dogana. Successivamente è previsto il trasferimento a San Pietroburgo e il rientro nell’Unione Europea dal confine estone, lo stesso attraversato due mesi prima nel viaggio di andata. Da definire le tappe europee attraverso le quali avverrà il riavvicinamento all’Italia. Il contachilometri della nostra auto ha già superato quota 24.000 e a fine viaggio sfiorerà sicuramente i trentamila, andando ben oltre la distanza stimata alla partenza da Milano lo scorso 10 giugno. I percorsi europei permetteranno di continuare a usare metano e biometano, confermando che attualmente è possibile andare dal Mediterraneo all’oceano Pacifico usando per l’80% il gas naturale. Il viaggio di ritorno è stato effettuato tenendo volutamente ritmi più elevati che in parte hanno modificato i dati sui consumi, senza tuttavia distanziarsi troppo da quelli assolutamente positivi ottenuti nel viaggio di andata.

(Articolo pubblicato originariamente su www.teverepost.it)

Da una strada che non c’era a una lenta nave senza orario

Ingresso al porto di Cholmsk

Le frenetiche giornate che hanno portato alla fine del viaggio di andata della Milano-Cortina-Tokyo sono state decisamente avventurose. Alle difficoltà che la strada sempre riserva si sono aggiunti i problemi per trovare una nave che ci permettesse di lasciare la Russia continentale e soprattutto la lotta burocratica per provare ad entrare in Giappone durante le Olimpiadi, superando le restrizioni legate al Covid.

La strada che non c’era

Qualsiasi carta geografica vecchia di almeno quindici anni non riporta alcuna strada che permetta di andare da Čita a Chabarovsk. Solitamente c’è una sottile linea nera o marrone dove si trova la ferrovia transiberiana. Altre carte segnalano l’esistenza di piccole strade che permettono di superare Čita fino a Černyševsk e in direzione opposta che collegano Chabarovsk a Skovorodino. Strade malmesse ma che esistevano fin dall’epoca sovietica. Ma per altri 650 chilometri non c’era nulla che potesse assomigliare ad una mulattiera. Nei diari di viaggio di alcuni avventurieri questa zona senza strade prende il nome di Zilov Gap, forse dal villaggio di Aksënovo-Zilovskoe, all’inizio dell’impervia zona senza strade. Quello che rendeva difficoltoso costruire una strada nei pressi della ferrovia era la presenza di numerosi corsi d’acqua, acquitrini, profonde valli spesso ricche di vegetazione. Negli anni novanta un gruppo di motoclisti americani impegnato in un giro del mondo su due ruote tentò l’impresa. Percorsero poco più della metà del tragitto danneggiando e rendendo inutilizzabili le loro moto. Furono costretti a salire sul treno per raggiungere Skovorodino. I primi italiani ad aver superato questa parte di Russia dovrebbero essere Danilo Elia e Fabrizio Bonserio nel 2006 a bordo di una vecchia Fiat 500. I due furono più fortunati degli americani dato che proprio in quegli anni era in costruzione la futura strada. Ebbero modo di percorrere cantieri e centinaia di chilometri di sterrato e scoprire località che per anni nessuno raggiungeva in auto ma solo in treno. Noi abbiamo scoperto lo Zilov gap solo recentemente, ma conserva un importante fascino. La nuova strada passa lontano dai paesini, anche da quelli che erano collegati a Čita e Chabarovsk dalle vecchie strade. Lungo la gran parte dei duemila chilometri della P-297 le soste per rifornimenti, pasti e soprattutto pernottamenti sono obbligate, essendo rari e sperduti i luoghi dove è possibile usufruire di questi servizi. In particolare il tratto quasi del tutto non civilizzato è quello tra Černyševsk e Erofej Pavlovič, 500 chilometri senza nulla in mezzo. Quest’anno abbiamo affrontato questa zona di Russia in assoluta tranquillità anche in base alle conoscenze che già avevamo, e ci siamo dedicati a fornire assistenza al vespista Fabio Cofferati che abbiamo costretto in un solo giorno a percorrere anche 800 chilometri.

La nave senza orario

Proprio nella sperduta località di Erofej Pavlovič abbiamo fatto la scelta di tentare di raggiungere il Giappone dall’isola russa di Sachalin e non da Vladivostok. Per arrivare a Sachalin bisogna attraversare lo Stretto dei Tartari che nel punto più favorevole è largo appena 8 chilometri. Già dai tempi di Stalin c’era il progetto di costruire un tunnel sottomarino per collegare l’isola alla terraferma con una ferrovia. Il progetto torna periodicamente di moda e sembrerebbe avere un futuro. Attualmente però la traversata avviene da Vanino a Cholmsk, in uno dei punti più larghi con tempi di quasi venti ore. In internet si trovano notizie non chiare e l’unico modo per capire di più è telefonare dopo aver riempito un modulo on line che successivamente assegna date del tutto casuali per la traversata. Parlando al telefono si scopre che la nave non ha orari e spesso non è in grado neppure di rispettare il giorno di partenza. Insistendo e spiegando le nostre ragioni riusciamo a convincere le gentili operatrici della DeltaTransService a trovarci dei posti sulla nave in partenza il 30 luglio. Ci viene detto di presentarci al porto di Vanino il pomeriggio di quel giorno anche se la nave dovrebbe arrivare e ripartire nella notte tra 30 e 31. Alla sera siamo prontissimi a salire a bordo e ci dicono che la nave sarà in porto alle 11.30. Erroneamente pensiamo di sera, mentre in realtà i ritardi accumulati spostano il viaggio al mattino del giorno dopo. Anche per raggiungere Vanino l’impresa non è delle più semplici. Tra Chabarovosk e Vanino ci sono 540 chilometri di cui gli ultimi 330 attraversano un parco naturale senza nessun segno di civilizzazione. Paesi e stazioni di rifornimento non ci sono, un solo kafé a metà strada e niente segnale telefonico. Ecco perché quando si intraprende il viaggio si deve telefonare al porto, così se non arrivi ti vengono a cercare! Però gli abitanti di questa amena località isolata da tutto si dimostrano gentili e accoglienti con noi, e più volte ci invitano a contattarli se dovessimo avere difficoltà o ulteriori ritardi del traghetto.

L’arrivo a Sachalin

240 chilometri coperti in quasi venti ore con una media da cicloturista agli esordi. Il Sachalin VIII, nave sovietica dell’84, non ha fretta. Usa un solo motore per allungare la vita di quelli a riposo. Qui per la verità nessuno ha fretta, e più è lunga la traversata e più a lungo i camionisti possono bivaccare e godersi la serata. In nave non si trovano alcolici ma ognuno a bordo ha portato la sua parte. Le cabine sono vecchie ma comode. Riusciremo a fare le dormite più lunghe del viaggio a bordo della nave nonostante un mare non del tutto tranquillo. Inutile sottolineare che sia per il personale della nave che per i passeggeri siamo un’attrazione. Tra tutti segnaliamo uno dei mozzi di bordo, il ventunenne Saša, che ama l’Italia e cita senza alcun tentennamento Dante, Savonarola, Verdi, Vivaldi, Sergio Leone e Fellini. Lavora in nave per pagarsi gli studi e sogna di visitare il nostro Paese. Già dalle prime ore del mattino avvistiamo Sachalin. È molto verde e spesso circondata da nebbia. Scesi a terra percorriamo le sue buone strade, quasi sempre con limiti di velocità più bassi del solito, e possiamo constatare come le piante siano più particolarmente alte. La grandezza della vegetazione è una delle caratteristiche di quest’isola e la differenzia dalla Russia continentale. I russi sono qui da meno di due secoli e i nativi non opposero resistenza nel sottomettersi allo zar. Dopo il 1905 nella parte meridionale dell’isola arrivarono i giapponesi, ma nel 1945 la zona fu bottino di guerra sovietico. L’isola ha prezzi più elevati di altre parti di Russia. Turismo e gas sono le principali risorse che rendono la vita a Sachalin migliore rispetto ad altre zone del Paese. Non a caso l’albergo che scegliamo stavolta è decisamente più caro del solito.

Il Giappone

Siamo a Južno-Sachalinsk, capoluogo dell’isola, per giocarci le ultime carte per provare ad entrare in Giappone. Qui siamo attesi al consolato giapponese al quale abbiamo affidato la nostra sorte. Se l’agognato visto arriverà, da qui potremo volare a Tokyo, comunque senza auto. Se la risposta sarà negativa non resterà che andare a sud dell’isola e salutare la terra del Sol Levante dalla spiaggia. Giappone e Russia qui sono separati da appena 43 chilometri di mare. Il consolato è una moderna palazzina di cinque piani che ospita molte attività legate ai rapporti tra Sachalin e Giappone. Veniamo accolti con gentilezza e ammirazione per il nostro viaggio da Takayuchi Adachi, console nipponico a Sachalin. Fin da subito è chiara la situazione: non potremo avere il visto né noi, né il vespista Fabio Cofferati. Non bastano i nostri inviti e neppure i contratti di lavoro fatti per l’occasione. L’ordine di impedire agli stranieri di entrare in Giappone durante le Olimpiadi e soprattutto in epoca Covid non conosce eccezioni, neppure per questi strani viaggiatori venuti da lontano. Siamo comunque gratificati dalle parole del console che ci invita a ritentare un viaggio simile quando la situazione tornerà tranquilla.

A questo punto alla Vespa e alla Toyota C-HR ibrido-metano non resta che raggiungere il punto di Sachalin più vicino al Giappone e celebrare lì la fine del viaggio. Scegliamo una spiaggia vicino a Korsakov dove c’è uno degli impianti di liquefazione di metano più grande della Russia. Qui scattiamo le foto di rito che consegniamo alla storia dell’automobilismo ecologico. Mai nessuno con un’auto alimentata a gas naturale è arrivato così lontano dall’Italia percorrendo almeno l’80% del tragitto usando metano e biometano. Abbiamo percorso quasi 16.000 chilometri, in parte dovuti anche a problematiche avute nella prima parte del percorso, riuscendo a spendere meno di 300 euro. Questo importo particolarmente basso è frutto sia del largo impiego del metano, sia del fatto che in Russia il carburante costa molto meno che in Italia.

Tokyo-Milano-Cortina

L’arrivo a due passi dal Giappone è di fatto il giro di boa del lungo drive test in cui è impegnata la Toyota ibrida-gas naturale di Snam, equipaggiata da un impianto Landi Renzo installato da Piccini Paolo Spa. Ora saranno monitorati i consumi ed eventuali problemi dell’altrettanto lungo viaggio di ritorno verso l’Europa. Ancora non è possibile indicare le date del rientro in Italia dell’equipaggio, ma sarà possibile seguire ancora attraverso i social le peripezie di questa incredibile avventura ecologica per le strade del continente euroasiatico.

Pubblicato originariamente su TeverePost.it.

Dalla Siberia al lago Bajkal, nuova puntata del viaggio attraverso l’Eurasia

Kultuk sul lago Bajkal

Una delle cose che stupiscono chi è stato in Russia in passato e ci ritorna adesso è il miglioramento delle infrastrutture stradali. Negli ultimi quindici anni i chilometri di asfalto sono aumentati assieme ad un livello qualitativo del fondo stradale nettamente migliore rispetto a prima. Oggi è davvero possibile andare da Mosca a Vladivostok lungo una strada interamente asfaltata, al massimo intervallata dai tratti di “remont”, le immancabili riparazioni necessarie dopo ogni lungo inverno. L’estate è la stagione dei cantieri che inevitabilmente fanno perdere tempo a chi come noi viaggia da una parte all’altra dell’immensa nazione euroasiatica. Andare fino a Vladivostok in auto fino a pochi anni fa non era possibile a causa della completa inesistenza della strada nella zona a nord-est della Cina. C’era il treno o al limite l’aereo. Questo spiega perché quasi tutti i villaggi di quest’area geografica si siano sviluppati attorno alle stazioni della Transiberiana e non lungo strade che ancora non c’erano.

Passaggio in Siberia

L’area geografica da Tjumen’ ad Ulan-Udė, che nel 2008 percorremmo in due settimane, oggi necessità della metà del tempo e con una normale autonomia di 350-400 km è possibile farla interamente utilizzando metano. La regione sta vivendo la propria brevissima primavera fatta di fioriture con prevalente colore violaceo e di un verde intenso della vegetazione sia nelle zone di steppa che di taiga. Prevalgono coltivazioni a foraggio alternate a zone gialle dedicate alla colza. I russi che vivono qui sono molto diversi da quelli di Mosca o delle grandi città europee. In prevalenza sono discendenti di coloni arrivati qui all’epoca della conquista dell’immenso est, una saga simile a quella più nota dei territori americani del West, ma forse con meno attriti con le popolazioni locali. Più chilometri percorriamo e più calorosa si fa l’accoglienza ovunque arriviamo. Certamente di europei qui ne arrivano davvero pochi e ancora meno in auto o in Vespa. I discendenti dei popoli che erano qui da prima dei russi godono di ampia autonomia da Mosca. Spesso biliguismo, sempre la conservazione di tradizioni e folklore. Il mosaico di etnie che popola la Russia per alcuni è una bomba ad orologeria, per altri è un buon esempio di federalismo asimmetrico, ciò che gli sloveni chiedevano per la Jugoslavia alla fine degli anni ottanta. Il risultato è che il viaggiatore alterna alfabeti, luoghi di culto, architettura tipici di ogni tradizione, così come in parte i menù dei ristoranti.

Bajkal e Buriazia

Il lago più profondo del pianeta e tra i più grandi del mondo appare sempre all’improvviso dopo un centinaio di chilometri di strada da Irkutsk. Già la strada che ci arriva è insolita, dato che presenta importanti salite e discese dopo il lunghissimo tratto pianeggiante che va dagli Urali alla stessa Irkutsk. Vedere questo mare arrivando dall’alto permette una visuale sconfinata, almeno nelle giornate in cui il tempo non flagella le sponde del lago. Nebbia e pioggia non mancano neppure d’estate, mentre d’inverno la superficie è talmente ghiacciata che in passato ci passavano pure i treni. Arrivando al Bajkal ci si sente lontani da casa forse perchè si riconosce quella strana forma che molti erano abituati ad osservare sulle carte geografiche appese nelle pareti delle aule scolastiche. Dopo settimane, anzi mesi, di astinenza dal mare viene naturale identificare il grande specchio d’acqua in un vero e proprio mare. A scuola si studia che dentro al Bajkal c’è circa il 20% dell’acqua dolce presente sul pianeta Terra, una vera arca di salvezza per l’umanità che ha il compito di conservarla. Irkutsk è attraversata dall’Angara, il potente emissario che raccoglie le acque del Bajkal e le porta nell’artico dopo essersi a sua volta gettato nello Enisej. In Buriazia, invece, si incontra il Selenge, principale immissario del lago che addirittura nasce in Mongolia. La terra di Gengis Khan è davvero a due passi e oltre al paesaggio ci viene ricordato dai tanti cavalli allevati, dalla presenza di pagode e dagli occhi a mandorla dei buriati. Questa importante etnia è fortemente legata ai vicini mongoli e la lingua è praticanente la stessa. La capitale Ulan-Udė, famosa per la monumentale Piazza dei Soviet dove si trova la testa di Lenin più grande del mondo, di fatto è la porta settentrionale della Mongolia. In passato da qui passava la “via del tè” che vedeva la città di confine Kjachta vero e proprio luogo di scambio e immagazzinamento dell’importante commercio. Oggi le rotte del commercio passano dalla Ferrovia transmongolica che si divide dalla Transiberiana proprio ad Ulan-Udė.

Le Olimpiadi sono iniziate

L’obiettivo del nostro viaggio era arrivare a Tokyo per l’inizio del Giochi Olimpici, ma le problematiche burocratiche e stradali che hanno caratterizzato la nostra avventura ci hanno costretto ad un cambio di strategia. Dopo la cerimonia inaugurale dello scorso 23 luglio cercheremo di essere in Giappone, anche chiusi in quarantena in un albergo, prima della fine dell’evento sportivo più atteso dell’anno. Non abbiamo alcuna garanzia che ci riusciremo, ma per ora è imperativo proseguire nell’avvicinamento ai porti russi sull’oceano Pacifico. Senza arrivare davanti al Giappone non sarebbe possibile alcun tentativo.

Col metano a 8.000 chilometri dall’Italia

Un’altra importante crescita facilmente verificabile lungo le strade russe è quella delle infrastrutture di rifornimento di carburanti alternativi a benzina e gasolio. Essendo il nostro viaggio finalizzato a dimostrare come un’auto ibrida-metano possa viaggiare ovunque e ben oltre i limiti del continente europeo, ci siamo concentrati sulle stazioni di metano, anche se abbiamo osservato come sia davvero frequente la possibilità di rifornire gpl e come timidamente compaiano, anche in luoghi impensabili, colonnine di ricarica per auto elettriche. La crescita delle stazioni di rifornimento di Gazprom, ma anche di molte piccole realtà private, ha portato la presenza del gas naturale fino a Kemerovo andando verso est e fino a Chabarovsk, Sachalin e la Kamčatka nell’estremo oriente. Mentre gli itinerari lungo i gasdotti che conducono nell’estremo nord hanno stazioni di metano posizionate in modo regolare per permettere soprattutto ai mezzi pesanti di rifornire, la strada Mosca-Vladivostok mantiene un “buco” infrastrutturale di oltre 3.000 chilometri oggi percorribili solo con carburanti tradizionali, o con un mezzo a gpl dotato di grande autonomia.

Cofferati superstar

Continua a brillare la stella del vespista Fabio Cofferati, che come noi sta percorrendo l’itinerario che da Milano conduce a Tokyo, ma a bordo di una Vespa del 1963. L’originalità del mezzo di trasporto ci costringe a numerose soste per agevolarlo a partecipare alle dirette di quasi tutte le più importanti radio nazionali. La nostra scelta di adeguare il nostro viaggio al suo, cambiando di poco le rispettive tempistiche, ci sta permettendo di ampliare il rispettivo pubblico e di beneficiare di maggiore visibilità. Non è ancora chiaro se una volta che saremo arrivati a Chabarovsk le due strade si separeranno oppure se sarà trovato il modo di percorrere assieme anche gli ultimi chilometri prima del difficile tentativo di sbarcare in Giappone. Nei rispettivi piani di “attacco” all’arcipelago nipponico l’auto sarebbe dovuta passare dall’isola russa di Sachalin e la Vespa da Vladivostok. Alla data di oggi i traghetti sono sospesi da entrambi i porti d’imbarco. Gli ultimi giorni di luglio saranno decisivi per entrambi i viaggi.

Articolo pubblicato originariamente su TeverePost.it.

Oltre gli Urali c’è l’Asia

La Milano-Cortina-Tokyo è finalmente in Asia. La corsa ad ostacoli che ha caratterizzato buona parte del primo mese di viaggio sembra aver trovato un equilibrio e la spedizione ha ricominciato la propria regolare corsa verso oriente. Con l’arrivo di Domenico Raguseo e dopo aver deciso di scortare il vespista Fabio Cofferati, la Toyota C-HR ibrida-gas naturale di Snam, allestita da Piccini con un impianto Landi Renzo, al momento si trova nei pressi di Omsk, nel cuore della Siberia. Da quando l’Italia ha vinto il campionato europeo di calcio ad ogni semaforo di ogni città gli autisti delle altre auto e perfino la polizia si complimentano con noi come se avessimo giocato e vinto la finale contro l’Inghilterra. Già prima non mancavano gli ammiratori del nostro viaggio, ma ora con il bagno di visibilità ottenuto dal nostro Paese il numero di attenzioni verso di noi è decisamente aumentato.

Tra Covid e burocrazia

Anche se le due cose si contraddicono, con l’esplosione della cosiddetta “variante Delta” di Covid-19 la Russia ha deciso di riaprire la propria frontiera ad alcune nazioni, tra le quali l’Italia. Di conseguenza si è notevolmente alleggerita la tensione relativa ai nostri documenti, ma in contemporanea sono cambiate le regole di prevenzione in alcune aree del paese. Al momento la situazione in Siberia appare tranquilla, ma la cautela invita a ponderare bene le scelte degli alberghi in cui fermarsi e dei punti di ristoro da frequentare. Alle nostre prudenze non corrisponde generalmente molta attenzione da parte della popolazione locale: come visto in passato, l’atteggiamento nei confronti della pandemia e della vaccinazione in Russia è completamente diverso rispetto all’Europa. Da una parte questo permette di vivere la quotidianità in modo più normale e senza apprensioni, ma dall’altra stona con quello che si legge sui mezzi di comunicazione italiani. Non sta a noi stabilire chi abbia ragione considerato che le nostre competenze sono altre.

Ecco l’Asia

La ripartenza dopo la lunga sosta in Tatarstan è avvenuta seguendo la strada più settentrionale tra quelle che da Kazan’ portano verso gli Urali. Ha prevalso la scelta del chilometraggio più breve e non della via qualitativamente migliore. Non a caso in questo itinerario internazionale, la E22, c’è ancora un ponte di barche sul fiume Vjatka e oltre trenta chilometri di strada sterrata o in terra battuta, probabilmente nelle stesse condizioni dell’epoca zarista. Tutto questo non aiuta la velocità del viaggio ma favorisce decisamente le prestazioni della nostra auto che ormai con un pieno di circa 12 kg di metano si avvicina notevolmente al traguardo dei cinquecento chilometri. A questa latitudine gli Urali sono docili, niente più che qualche collinetta che sembra impossibile possa essere investita del compito di separare simbolicamente due mondi. Se non si conosce il luogo è anche difficile cercare cippi o monumenti che comunichino al viaggiatore il passaggio da Europa ad Asia. Fortunatamente l’esperienza accumulata in passato ci permette di andare a colpo sicuro e di recarci in uno dei punti di confine più noti, più nuovi e già decisamente in decadenza rispetto al nostro transito di tre anni prima. Anche proseguendo verso Ekaterinburg è possibile incontrare altri punti dove qualche ristoratore o benzinaio ha stabilito un confine intercontinentale privato a favore dei propri clienti.

Benvenuti in Siberia

Ekaterinburg, oltre ad essere la porta dell’Asia, è anche quella della Siberia. L’immensa regione ha inizio proprio da qui e contrariamente a tutti i luoghi comuni in questo periodo dell’anno non è affatto fredda, anzi vive una sorta di primavera avanzata ed è tutta in fiore e ben ricca di insetti. Oltre al lungo nastro quasi sempre d’asfalto che percorriamo c’è un’altra compagna di viaggio molto più anziana della strada e che ha contribuito in modo fondamentale alla colonizzazione di questa parte di mondo: la Ferrovia Transiberiana, i suoi treni e le lunghe soste ai suoi passaggi a livello contribuiscono a non farci perdere l’orientamento come se fosse possibile sbagliare strada quando di fatto gli unici bivi sono le circonvallazioni dei paesi.

Tecnologia italiana al servizio del mercato russo

Gli ultimi giorni sono stati un’ulteriore occasione di verificare l’importante fetta di mercato russo occupato dalla tecnologia italiana dedicata al mondo del gas naturale e del gpl. Sia a Perm’ che a Ekaterinburg siamo stati ospiti di Automastergas, importante realtà che in una vasta zona di Russia commercializza gli impianti Landi Renzo. Abbiamo incontrato Ruslan e Maksim che ci hanno raccontato come da quando il governo russo ha avviato una seria politica di incentivi le installazioni degli impianti di gas naturale hanno raggiunto quelli di gpl. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, considerato il numero di bus, camion, taxi e anche molti veicoli privati in circolazione e che riempiono i punti di rifornimento, anch’essi in rapida espansione e aperti 24 ore al giorno per agevolare la possibilità di fare il pieno di metano. Ovunque siamo accolti con calore e amicizia. L’auto desta grande curiosità e gli installatori studiano sempre con attenzione ogni dettaglio dell’impianto che ha trasformato la nostra Toyota C-HR nel veicolo che secondo noi risulta essere la più economica del mondo a livello di consumi. Anche dopo questo ulteriore segmento di percorso, fatto interamente usando gas naturale, il veicolo ha confermato i circa 31-32 chilometri a metro cubo, pari a circa 40 chilometri a chilo se consideriamo l’unità di misura usata in Europa. Tradotto in euro questo significa quaranta chilometri con meno di un euro, sempre in base ai prezzi europei.

I media nazionali parlano di noi e della Vespa di Cofferati

Da quando viaggiamo assieme alla Vespa partita dall’Italia, oltre ad avere unito i nostri destini e ad aiutarci vicendevolmente, è nato anche un sodalizio mediatico. I rispettivi followers seguono entrambi i viaggi e anche i contatti nei media nazionali si sono di fatto uniti. La nostra storia è finita dentro alle interviste a Fabio come la sua avventura è ormai seguita anche dal mondo dedicato ai viaggi ecologici. Scopriamo vespisti appassionati di metano e numerosi metanautisti che si interessano al destino di una Vespa del 1963 e del viaggio di Roberto Patrignani che ispirò l’avventura di Cofferati. Nella città di Tjumen’ abbiamo anche usufruito dell’accoglienza e dell’ospitalità del locale Vespa Club, nato appena tre mesi fa. Fabio è stato il primo ospite illustre del mondo del vespismo nella città siberiana. A questo punto non resterebbe altro da fare che fondere le due avventure ipotizzando un futuro viaggio con una vespa a metano!

Articolo pubblicato originariamente su TeverePost.it.

Tra Mosca e il Tatarstan

Visita a Garant-Gas

Dopo le tempeste burocratiche e quelle meteorologiche è tornato il sereno su entrambi i fronti della spedizione italiana verso il Giappone. Successivamente alla lunga sosta alla frontiera russa e dopo la pausa programmata per consentire la partecipazione all’Ecorally del Portogallo, la Toyota ibrida-gas naturale di Snam ha ripreso il viaggio all’interno della Federazione Russa. A questo punto resta un’unica complessa frontiera da attraversare, quella tra Russia e Giappone, che al momento sembrerebbe impenetrabile. Il team a supporto della spedizione è al lavoro per ottenere gli ultimi permessi, consapevole che il momento della verità sarà tra circa novemila chilometri e otto fusi orari. Nel frattempo continuano le attività parallele al viaggio, come la visita alle officine Landi Renzo lungo il percorso.

L’accoglienza a Mosca

Non era facile pronosticare come e quando avremmo superato la frontiera viste le complicazioni che hanno costretto Domenico Raguseo e il sottoscritto a ripetere più volte le procedure di ingresso in dogana. Non abbiamo potuto dare neppure ventiquattro ore di preavviso a coloro che ci aspettavano a Mosca, con la conseguenza che l’appuntamento all’Ambasciata d’Italia sarà posticipato al viaggio di ritorno dal Giappone, mentre con nostra sorpresa una sola ora di preavviso è stata sufficiente per organizzare l’accoglienza presso l’officina Garant-Gas di Mosca. Dopo il rifornimento di metano alla stazione Gazprom ANGSK-11 situata a nord-ovest, non lontano dal MKAD, il raccordo anulare che gira attorno alla capitale, siamo arrivati nel quartiere di Chorošëvo-Mnëvniki dove ha la sede Garant-Gas, storico partner di Landi Renzo in Russia. Il titolare Arno e un intero esercito di meccanici hanno prima accolto e poi lungamente esaminato l’impianto installato sulla nostra auto. Oltre agli aspetti tecnici ha attratto l’interesse delle maestranze il particolare colore azzurro delle tre bombole da ventiquattro litri ciascuna installate nel bagagliaio della C-HR, nonché i particolari di come è stato attrezzato il bagagliaio e la conseguente riduzione dell’impatto che solitamente le bombole hanno sugli spazi e sull’estetica del vano bagagli. Giudicata interessante anche la scelta di “nascondere” la presa di carico all’interno dello sportellino del serbatoio. Oltre alle foto di rito con il persone dell’officina non è mancato un ottimo pranzo nel ristorante vicino e la promessa di accoglienza alla filiale di Juzno Sachalin della stessa Garant-Gas. Proprio dove terminerà la parte russa del nostro viaggio, sull’isola ad appena quarantatre chilometri dal Giappone, si trova una delle sedi degli installatori che operano assieme a Landi Renzo. Terminato l’incontro con Arno e i suoi uomini ci siamo avventurati nella tempesta d’acqua che ha colpito Mosca nel giorno del nostro arrivo determinando allagamenti e problemi alla circolazione. Nei dieci secondi utilizzati per fare le foto di rito nella Piazza Rossa ci siamo letteralmente inzuppati d’acqua come se avessimo fatto un tuffo nella Moscova.

Il viaggio verso il Tatarstan

A Podol’sk, dove vive la famiglia di Domenico, il nuovo membro della spedizione, abbiamo sperimentato le nuove regole Covid in vigore in Russia. Da qualche giorno in più di una regione non è infatti possibile accedere ai ristoranti e locali pubblici in assenza di vaccinazione o di test Covid recente. Naturalmente la stretta sulle regole complica il nostro viaggio, così come l’assurda vicenda del mancato riconoscimento reciproco tra i vaccini russi ed europei. Il tragitto da Mosca a Kazan’, meno di mille chilometri, vede un’ottima copertura delle stazioni di metano. Effettuiamo il primo rifornimento a Vladimir, storica città già capitale della Russia nel suo glorioso passato. Qui sono due le stazioni di metano e non c’è nessun problema per la presa di rifornimento europea presente in ben due colonnine. Dal precedente viaggio dual fuel del 2018 le infrastrutture stradali russe sono ulteriormente migliorate, e il fondo stradale, un tempo il vero terrore di ogni automobilista, conferma che anche l’amico Fabio Cofferati in Vespa troverà una situazione molto migliore rispetto agli anni precedenti.

Nižnij Novgorod, bella città alla confluenza tra Oka e Volga, vanta uno splendido cremlino e anche quattro stazioni di metano. La fila di camion, taxi, bus e furgoni ci ricorda ancora una volta come il gas naturale si stia velocemente espandendo in tutta la Russia. Nella città a metà strada tra Mosca e Kazan’ non troviamo l’attacco europeo Ngv-1, ma ci sono gli adattatori messi a disposizione dalla stazione di rifornimento. I restanti 450 chilometri per arrivare a Kazan’ non sono in una piatta pianura come tra Mosca, Vladimir e Nižnij Novgorod, ma salite e discese si alternano in quella che è la sponda destra del Volga, il fiume più lungo d’Europa. Non ne avremo bisogno poiché copriremo i 450 chilometri con l’ultimo pieno effettuato, ma in ogni caso avremmo avuto posti per rifornirci sia in Ciuvascia che alle porte del Tatarstan. Proprio il passaggio dalla terra dei ciuvasci a quella dei tartari è stato salutato da un nuovo collegamento radiofonico con Caterpillar, trasmissione di RadioDue che ha preso a cuore le dinamiche che ruotano attorno alla nostra avventura intercontinentale e contribuisce in modo netto a mantenere alta l’eco mediatica del nostro viaggio.

La sosta a Kazan’

Ancora una volta Kazan’ è il quartier generale avanzato del nostro viaggio. La scelta di una delle ultime grandi città prima dei Monti Urali è anche dovuta al fatto che è da alcuni anni il mio luogo di residenza e dove vive la mia famiglia. La sosta serve a riprendersi dopo le fatiche della prima parte della nostra avventura, ma anche a fare manutenzione al nostro veicolo e risolvere ulteriori aspetti burocratici che ormai contraddistinguono il nostro viaggio in tempo di pandemia. La variazione dell’equipaggio con l’arrivo di Domenico ci obbliga a mettere in regola la sua posizione per il resto del viaggio. Colui che ha risolto i nostri problemi di frontiera ha un visto in scadenza il 12 luglio e un altro che parte il 15 dello stesso mese. Per poterlo aspettare è quindi necessario fare una sosta, e Kazan’ è logisticamente il luogo migliore. Se i controlli all’auto necessiteranno di pochi giorni, non è ancora chiusa la pratica per cercare di raggiungere il Giappone. Avremo un invito ufficiale da parte di Ngv-Japan e prima o poi dovremo tentare di avviare la pratica di concessione del visto in uno dei numerosi consolati nipponici in terra russa. L’impresa è ardua ma ci è stato consigliato di rivolgerci ad uno di quelli più vicini all’arcipelago che ospiterà i giochi olimpici. Južno-Sachalinsk o Vladivostok sono le sedi diplomatiche migliori per tentare di superare l’ultimo scoglio burocratico e soprattutto l’ultimo braccio di mare che separa il continente euroasiatico dal Giappone. La sosta in Tatarstan sarà ulteriore occasione di rafforzare i legami tra i nostri viaggi e la città di Kazan’, dove si terrà anche un incontro con le autorità e i media locali nei prossimi giorni.

Numeri del viaggio tra sorprese e conferme

Le difficoltà avute lungo le strade europee hanno portato ad un notevole aumento dei chilometri previsti finora. Secondo il programma di viaggio all’arrivo a Kazan’ dovevamo aver percorso circa 4.500 chilometri. I numeri reali raccontano di poco più di duemila chilometri oltre il previsto. Il motivo è dovuto sia al doppio rimbalzo alla frontiera tra Lettonia e Russia, sia alla scelta di allungare via Estonia e San Pietroburgo. Solo la deviazione verso la città di Pietro il Grande e il passaggio obbligato da Riga è costata oltre mille chilometri, ma ha permesso il vantaggio di riuscire a rifornire metano con maggiore tranquillità, considerato l’ampio numero di punti di rifornimento tra San Pietroburgo e Mosca. Ad oggi su 6.571,2 chilometri percorsi abbiamo dovuto usare la benzina solo in circa 200, pari al 3% del viaggio. Di conseguenza è il 97% la parte di viaggio percorsa a gas naturale. Come più volte sottolineato i consumi si sono per ora attestati molto vicino agli auspicati 40 chilometri con un chilogrammo di metano che significa, tenendo conto dei prezzi europei, tra i 2 e 3 eurocent a chilometro, di gran lunga il consumo più basso mai registrato da quando effettuiamo lunghi viaggi. Solo più avanti, oltre il lago Bajkal, avremo modo di testare il consumo della nostra auto a benzina. Lo faremo laddove non sarà sempre possibile il rifornimento di metano. Il dato del consumo di benzina sarà determinante per scoprire il risparmio che l’impianto a gas naturale permette alla Toyota C-HR. Seppure irreali per il mercato europeo, è interessante comprendere come in Russia tutte le stime sull’aspetto economico del consumo abbiano un impatto diverso. Con la benzina che costa circa 0,55 euro al litro e il metano attorno ai 0,35 euro al chilo è evidente che il risparmio aumenta di tre volte, portando il nostro consumo a chilometro attorno ad un eurocent, o se preferite ottanta copeche.

Articolo pubblicato originariamente su TeverePost.it.

Milano-Cortina-Tokyo, dall’eco mediatica della partenza a una sosta in Lettonia

A Cortina d'Ampezzo

Anche un pizzico di Valtiberina ha avuto la propria ribalta nella stampa nazionale in occasione della partenza da Milano, lo scorso dieci giugno, di “Ripartiamo Insieme Milano-Cortina-Tokyo 2021”. Sia chi scrive che le aziende del nostro territorio, tra le quali Piccini Paolo Spa, installatore dell’impianto a gas naturale che ha modificato la Toyota C-HR ibrida protagonista del viaggio, hanno avuto grande visibilità nelle principali testate giornalistiche come Gazzetta dello Sport, La Repubblica, Quattroruote, ma anche la trasmissione di Radio Due Caterpillar e decine di giornali a carattere locale.

Sono convinto che in un periodo storico come questo probabilmente qualunque notizia di ripresa dopo la pandemia di Covid-19 è avvantaggiata rispetto alle drammatiche pagine di informazione degli ultimi mesi. Allo stesso tempo sono di facile veicolazione i due messaggi che il viaggio vuole comunicare, la ripartenza della vita e la promozione di una tecnologia rivoluzionaria per il mondo del trasporto su gomma. Tra l’altro un’auto ibrida che viaggia con metano e biometano è oggetto di interesse anche in tutti i luoghi dove ci fermiamo a fare rifornimento. In ogni caso il clamore attorno al viaggio è un aspetto che fa enormemente piacere sia a chi lo ha ideato sia a coloro che lo stanno sostenendo. Oggi facciamo il bilancio della prima settimana, che ha visto alternarsi emozioni, problemi burocratici e dati interessanti sui consumi del veicolo.

Le pre-partenze di Sansepolcro, Cavriago e Metanopoli

I principali compagni di viaggio della nostra avventura sono Piccini Paolo Spa, Landi Renzo Spa e Snam. Le tre aziende sono rispettivamente installatrice dell’impianto, produttrice dello stesso e proprietaria del veicolo. Per onorare tutte e tre le realtà industriali e le loro lunghissime storie abbiamo organizzato altrettante pre-partenze da Sansepolcro, Cavriago e Metanopoli. Roberto Chiodi, storico giornalista e pilota di rally con nel proprio palmarès la partecipazione a tre Pechino-Parigi, un giro del mondo per auto d’epoca, due MilleMiglia e molte altre importanti gare, era al mio fianco. Una vicinanza fisica per pochi chilometri, ma morale per tutto il viaggio. Chiodi è tra le vittime della burocrazia russa e per il momento non può infatti affiancarmi nel viaggio al di fuori dell’Unione Europea. La partenza di Sansepolcro è avvenuta con un pieno di biometano grazie alla postazione di rifornimento mobile di Piccini e contribuirà al nostro obiettivo di percorrere tutti i chilometri italiani del viaggio con l’ausilio del solo biometano. La sosta di pranzo è avvenuta nella sede della Landi Renzo Spa a Corte Tegge di Cavriago. Ottima accoglienza e interessanti conversazioni sull’importante crescita dell’uso del gas naturale nell’est Europa e nello spazio ex sovietico. Infine la sorpresa del giorno è avvenuta a Metanopoli, la famosa frazione di San Donato Milanese dove ha sede Snam, dove abbiamo avuto l’onore di essere accolti anche dall’amministratore delegato Marco Alverà, che ha potuto verificare con i propri occhi l’importante trasformazione della Toyota C-HR di proprietà proprio di Snam.

Milano, Fai e Cortina

L’ Arena civica di Milano ospitò nell’agosto del 1907 il ritorno della storica Pechino-Parigi vinta dall’auto Itala con a bordo Scipione Borghese, Ettore Guizzardi e Luigi Barzini. L’episodio è sicuramente di buon auspicio ed è un onore trovarsi in un luogo importante per la storia dell’automobilismo e in generale per molte discipline sportive come calcio, ciclismo e atletica leggera. L’idea di partire dall’Arena di Parco Sempione è stata del Comune di Milano, in particolar modo dell’assessorato allo sport, turismo e qualità della vita. La Palazzina Appiani, di fatto tribuna d’onore dello storico stadio, è stata solo il primo dei luoghi Fai visitati nel giorno inaugurale del viaggio. Il Villaggio operaio di Crespi d’Adda, la Vittoria Alata di Brescia e il Castello di Avio hanno arricchito di storia e vicende interessanti la nostra prima importante collaborazione con il Fondo Ambiente Italiano. Sempre proseguendo il viaggio usando solo biometano siamo andati poi a vedere un impianto di produzione Ies Biogas a Verolanuova. Abbiamo quindi avuto modo di vedere Cortina e le Dolomiti sia alla sera che al mattino, quando la luce regala scorci davvero belli. Nella città che ha ospitato le Olimpiadi del 1956 si è ripetuta una seconda partenza proprio dallo stadio del ghiaccio olimpico che ospitò i primi Giochi in Italia.

Un virus si aggira per l’Europa

Cortina d’Ampezzo resterà nella mia memoria anche per l’ultimo tampone effettuato in Italia e per un errore di trascrizione della data di svolgimento che ci avrebbe tenuti bloccati per un’ora alla dogana austriaca. Ebbene sì, il Covid-19 ha riportato l’Europa a quando c’erano le dogane e il tampone negativo fatto a Cortina vale 72 ore entro le quali dovremo varcare tutti i confini programmati. Non da tutte le parti il controllo è accurato come in Austria, altri paesi fermano a campione, alcuni prevalentemente gli stranieri, altri i propri cittadini. A parte il lungo problema per entrare che ci ha poi fatto avere un approccio di preoccupazione ad ogni successivo confine, l’Austria è filata via senza particolari problemi. La Repubblica Ceca ci ha regalato uno sconto del 50% sulle proprie autostrade grazie alla coraggiosa scelta di premiare metano e biometano. Vedersi riconosciuta la propria “ecologicità” è stata una sensazione molto piacevole. La Polonia è il paese più grande tra quelli che dovevamo attraversare da parte a parte, ma sapevamo di poter contare su un momento di relax proprio nella capitale Varsavia grazie alla bella accoglienza di Landi Renzo Polska, che ci ha offerto lavaggio dell’auto, un ottimo pranzo per noi e del gustoso metano per la nostra auto. L’accoglienza di Fabio e dei suoi colleghi della filiale polacca di Landi Renzo ci ha permesso di non pensare tutto il giorno a macinare chilometri, cosa che abbiamo poi ricominciato a fare sotto un temporale che ci ha accompagnato fino alla Lituania.

Il lungo ed imprevisto soggiorno in Lettonia

Un altro aspetto ancora sconosciuto in Italia è che nel resto d’Europa il rifornimento avviene da anni, e quasi sempre, in modalità self-service. Ecco perché a mezzanotte di un giorno qualsiasi a Vilnius, a Vienna o a Riga è possibile mettere il metano. In Italia è finalmente possibile fare la stessa cosa, ma il percorso burocratico continua a non essere facile. Molto prima della scadenza della validità del tampone Covid sono alla frontiera tra Lettonia e Russia. Come da testimonianze di molti italiani diretti a Mosca, recentemente è capitato che i lettoni non abbiano fatto passare persone con regolare visto di ingresso. Nel nostro caso i documenti personali per permettermi di entrare sono ok. Roberto Chiodi ha già lasciato il viaggio, altrimenti sarebbe stato questo il confine per lui al momento invalicabile. Se con la frontiera lettone tutto fila sorprendentemente liscio, non accade la stessa cosa sul lato russo, per quanto l’approccio nei confronti del nostro viaggio sia positivo e gli addetti ai controlli siano ben lieti di ascoltare i nostri progetti di raggiungere il Pacifico con il gas naturale. Nonostante questo emerge un problema burocratico relativo all’importazione del veicolo. Avrei potuto continuare il viaggio senza l’auto, ma naturalmente non è all’ordine del giorno un viaggio con i soli mezzi pubblici. Decido per la ritirata temporanea e di seguire i consigli dei doganieri su come risolvere la questione. Serve tempo e forse un documento generale dall’Italia. Decido di dormire in dogana ma non sono fiducioso su una rapida risoluzione del problema. Già al mattino del giorno dopo vado a Riga per attivare dalla capitale lettone tutto il necessario per spostare il mio volo che mi riporterà in Europa nei prossimi giorni, che inizialmente era previsto da Mosca. Sempre Riga diventa il luogo dove la nostra auto aspetterà il semaforo verde per ripartire.

Consumi vicino ai dati attesi

Sono 3.431 i chilometri percorsi nella prima settimana di viaggio iniziando a contare dalla pre-partenza di Sansepolcro. Nelle sei nazioni attraversate si sono alternate tratte in autostrada, traffico cittadino, percorsi di montagna e lunghe strade statali in pianura. Complessivamente l’auto è andata molto vicino al dato che abbiamo stimato per l’intero percorso di viaggio, ovvero percorrere quaranta chilometri con un chilogrammo di metano. Al momento vantiamo un picco massimo di 41,5 e un minimo di 32,1. I dati sono influenzati anche dalla conversione tra chilogrammo e metro cubo, considerato che non tutti i paesi usano lo stesso sistema di misurazione. Il metano acquistato in Lettonia è quello che ci ha regalato i risultati migliori, quello polacco i peggiori. Ad oggi possiamo affermare, tenendo conto del prezzo italiano attorno a 0,90 euro/kg, che la Toyota C-HR ha percorso realmente quaranta chilometri con un chilo di gas naturale.

Dal Baltico all’Atlantico

Per una settimana la Milano-Cortina-Tokyo si fermerà. Doveva sostare a Mosca e invece per i problemi raccontati precedentemente si fermerà nella capitale lettone. Grazie al fatto che il volo che ci porterà sulla strada verso il Portogallo parte di sera abbiamo avuto il tempo di andare a passeggiare sulle rive del Mar Baltico sapendo che tra qualche ora potremo fare la stessa cosa su quelle dell’Oceano Atlantico dalle parti di Lisbona. Proprio ad Oeiras, nei pressi della capitale portoghese, si svolgerà la terza prova del campionato FIA dedicato alle energie alternative al quale prendiamo parte da ormai dodici anni. Il viaggio verso il Giappone e l’Oceano Pacifico riprenderà mercoledì 23 giugno con il nostro ritorno in Lettonia e la ripartenza verso il sospirato confine russo.

Articolo pubblicato originariamente su TeverePost.it.