A Berlino trent’anni dopo

(da www.teverepost.it) L’“auto del futuro” della Milano-Cortina-Tokyo è tornata in Italia. Il resoconto nella rubrica Oltre il Tevere con un focus sulla capitale tedesca.

Alla fine i chilometri sono stati quasi cinquemila più del previsto, le nazioni toccate dal viaggio dieci e i confini attraversati diciotto. Nei viaggi a cui abbiamo preso parte in passato il numero di Stati visitati e di confini percorsi era sempre stato maggiore, ma nell’epoca tormentata dal Covid-19 è già un grande risultato essere riusciti ad intraprendere un viaggio del genere che ci ha portato a soli 43 chilometri dal Giappone. Proprio l’ultimo confine, quello tra la Russia e l’Impero del Sol Levante, si è rilevato impossibile da attraversare, senza comunque svilire il senso del nostro viaggio. Certamente non abbiamo potuto visitare Tokyo durante i Giochi olimpici, ma allo stesso tempo siamo felici di aver compiuto il primo vero e proprio test drive dedicato ad un’auto con tecnologia ibrido-gas naturale. Adesso abbiamo finalmente dati importanti su cui riflettere e per confermare che questo tipo di mobilità è davvero una rivoluzione nel mondo delle quattro, e non solo quattro, ruote.

A distanza di tre decenni

Sono passati poco meno di tre decenni da quando ebbi il privilegio di visitare quella che stava per tornare ad essere la capitale della Germania. La prima volta che ci avevo messo piede c’era ancora un muro che divideva in due la città e la storia della Germania orientale era già agli sgoccioli. Quella successiva era dopo la riunificazione quando erano in corso le prima profonde trasformazioni che avrebbero del tutto cambiato la città. Oggi mi considero fortunato ad aver potuto osservare e scoprire Berlino senza dover ricorrere ai libri di storia. A distanza di poco più e poco meno di trenta anni ho visitato una terza Berlino molto diversa da quella di fine anni ‘80 e da quella di inizio ‘90. A dire il vero avevo avuto più volte l’occasione di tornare a mettere piede all’ombra della Porta di Brandeburgo, ma lo shock delle trasformazioni del 1993 mi avevano fatto comprendere che quando ci sarei tornato avrei visto qualcosa di molto diverso dalla Berlino legata alla mia infanzia. In modo non molto diverso ho lasciato passare molti anni anche tra le mie visite a Budapest e Praga degli anni ‘80 e le stesse città nel XXI secolo. Entrambe mi trasmisero un sentimento di delusione rispetto a ciò che da turista privilegiato ho potuto ammirare prima dell’apertura al turismo di massa. Nessuna analisi politica o sociale, ma solo la differenza tra quello che ho potuto osservare prima e dopo. Proprio l’effetto che mi fecero le capitali ceca e ungherese mi consigliarono di restare alla larga di Berlino per non avere contraccolpi ancora maggiori. Timidamente avevo già rimesso piede nel territorio della Repubblica Democratica Tedesca notando come le autostrade continuassero ad avere il fondo in cemento invece che in asfalto come nella Germania occidentale. Sempre la mancanza di asfalto è stata la cosa che ho notato superando il fiume Oder quando il nostro viaggio di ritorno dal Giappone è entrato in quello che un tempo era il territorio della DDR.

Avvicinandosi al centro della città ancora oggi è abbastanza percepibile quali quartieri appartenessero ad una Germania e quali all’altra. Le ricuciture urbanistiche sono state quasi sempre vaste ed importanti, ma pur ottenendo ottimi risultati non sono riuscite a cancellare alcune differenze sociali ed economiche neppure dopo trenta anni. Nessuna particolare sensazione osservando quello che resta del muro che da barriera di divisione di due mondi oggi è diventata una mostra d’arte a cielo aperto. Alexanderplatz invasa dalla pubblicità e la scomparsa del vecchio parlamento della Germania orientale mi hanno maggiormente colpito. La prima ha conservato molti elementi dell’architettura socialista nonostante nuove costruzioni che la rendono meno austera rispetto al passato. Il parlamento è stato demolito per lasciare spazio ad un finto castello di dubbio gusto. La variazione di questo spazio mi ha particolarmente infastidito. L’Unter der Linden, il viale sotto i tigli che collega il nuovo castello alla Porta di Brandeburgo, pur avendo subito qualche modifica ha mantenuto il solenne aspetto dell’epoca precedente. L’area attorno alla porta, al Reichstag e alle zone dove il muro divideva la città all’interno del suo cuore storico è profondamente mutata con il recupero o l’aggiunta di elementi in passato non presenti, come il memoriale dedicato alle vittime dell’Olocausto o tutta l’area di Potsdamer Platz. La parte occidentale della città l’ho trovata architettonicamente simile alla mia precedente visita, ma priva di una propria centralità probabilmente persa a favore del nuovo centro cittadino, tornato ad essere quello che nella Berlino post guerra era finito nella zona di occupazione sovietica. Da ragazzino ricordavo un forte degrado sociale a Berlino ovest che oggi appare evidente nell’intera città. A est, soprattutto in periferia regnava il grigiore, oggi solo parzialmente colorato dalle vivaci tinte attorno ai palazzoni costruiti nella seconda metà del ventesimo secolo.

Paese che vai, “green pass” che trovi

Attraversare l’Europa dal confine russo fino all’Italia ci ha permesso di sperimentare le diversissime regole in vigore nei vari stati dove abbiamo dormito o mangiato. Alcune delle esperienze vissute meritano di essere raccontate. In Russia, come è noto, non si avverte più l’emergenza Covid già da molti mesi. Questo non perché il problema sia stato sconfitto, ma semplicemente perché nessuno vuole più vivere con le restrizioni, seppure minime, che erano in vigore in precedenza. Questo porta a circa settecento morti al giorno, secondo le fonti ufficiali, ma ad una vita tornata quasi del tutto come prima della pandemia. Il celebre vaccino Sputnik non viene riconosciuto in molto paesi dell’Unione Europea costringendo il vaccinato in terra russa a non poter avere i green pass se non effettuando continuamente tamponi. Delle tre repubbliche baltiche solo la Lettonia ha delle regole che impongono di entrare con test recente o vaccinazione e almeno nelle frontiere principali ci sono anche controlli. Gli estoni si limitano a ricordarti che hai 24 ore per attraversare il paese, mentre i lituani non sembrano neppure ricordare l’esistenza del problema. Anche la Polonia non ha regole particolarmente restrittive, ma è ricca di luoghi dove poter fare tamponi dato che sia la Germania che la Repubblica Ceca applicano delle norme molto stringenti. In Germania vaccinazione o test vengono richiesti per sedere in qualsiasi ristorante o per entrare in albergo. Se il test è più vecchio di 24 ore si dovrà ripetere e con nostro piacere abbiamo scoperto come quasi sempre questo possa avvenire gratuitamente negli stessi ristoranti o alberghi. Solo al campo di concentramento di Dachau un kit per il test rapito lo abbia pagato tre euro a testa. Lo stesso kit in una farmacia lombarda, comprato per effettuare il test appena rientrati in Italia, lo abbiamo pagato 25 euro. Al nostro racconto il farmacista ci ha ricordato come l’esito del test in Italia sia certificato da un medico mentre in Germania da un ristoratore o albergatore. Peccato che per saper distinguere una linea (negativo) da due righe (positivo) non serva per forza una laurea, esattamente come per leggere un test di gravidanza. Dopo i continui controlli germanici abbiamo attraversato rapidamente l’Austria dato che avrebbe avuto verso di noi attenzioni simili a quelle tedesche. Infine molto curioso scoprire come al Passo del Brennero, all’ingresso verso l’Italia, il confine sia presidiato dalle nostre forze dell’ordine, mentre al non lontano Passo Resia o ai sempre vicini accessi dalla Svizzera nessuno controlli chi entra nel nostro Paese.

Ritorno in Italia e il primo mancato rifornimento dell’intero viaggio

Siamo passati dal Passo Resia per evitare le circa due ore di fila che la vecchia e la nuova strada che collegano Austria e Italia dal Brennero proponevano. Sul Resia neppure una macchina a sfidare la dogana sotto una leggera pioggerellina di fine estate. Come promesso alla partenza da Milano, siamo rientrati in Italia percorrendo la Valtellina e visitando alcune delle sua bellezze naturali e culturali. Non poteva mancare la sfida di salire sul Passo dello Stelvio per verificare il comportamento della nostra Toyota C-HR ibrida-gas naturale nelle condizioni estreme che offre la lunga salita che conduce ai 2.758 metri del valico alpino più alto d’Italia e della successiva discesa verso Bormio. Proprio in Valtellina abbiamo effettuato il test Covid di benvenuto in Italia che ci ha permesso di entrare per la prima volta in possesso del green pass. Ci va molto peggio con il primo rifornimento di metano italiano, dato che troviamo chiuso per un guasto tecnico il distributore dalle parti di Sondrio. Dopo circa sessanta rifornimenti sempre perfettamente riusciti dispiace avere il primo contrattempo proprio in Italia, la nazione europea con il maggior numero di distributori di metano. La corsa contro il tempo per raggiungere il punto di erogazione successivo ci vedrà, con rammarico, utilizzare per la prima volta in Europa, la benzina. Arriviamo un attimo prima della chiusura e riusciamo a fare il primo pieno italiano pochi minuti prima della chiusura della stazione di rifornimento. Come possiamo constatare il self service di metano o l’apertura h24 in Italia continuano ad essere una rarità, mentre nel resto d’Europa è la normalità.

Dopo la Valtellina decidiamo di restituire la visita al vespista Fabio Cofferati, compagno di avventura nel nostro viaggio verso il Giappone. Siamo suoi ospiti in quel di Salsomaggiore ripercorrendo le rispettive esperienze davanti ad un’ottima tavola ricca di prelibatezze. La tappa quasi conclusiva della Milano-Cortina-Tokyo è costituita da Sansepolcro e dalla Valtiberina, da dove sarà organizzato a breve un ritorno a Milano attraverso le sedi dei principali sostenitori che hanno reso possibile il doppio lungo viaggio lungo le strade del continente euroasiatico.

L’auto del futuro verso i trentamila chilometri

La cifra tonda sarà toccata e superata quando riprenderemo il cammino verso Milano dove restituiremo l’auto a Snam, la proprietaria. Qui a Sansepolcro avverrà un attento studio dell’auto e dell’impianto ibrido-gas naturale da parte di Piccini Impianti, l’installatore che appena un anno fa ottenne l’omologazione della nostra Toyota pronta per la sua seconda vita a base di gas naturale. A metà strada tra la cittadina toscana e il capoluogo lombardo sosteremo di nuovo a casa di Landi Renzo Spa per raccontare la nostra avventura che ha toccato anche le loro numerose officine lungo le strade del continente euroasiatico. Al momento del ritorno a Milano la Toyota C-HR di Snam avrà superato, come detto, i 30.000 chilometri di viaggio, ben oltre le previsioni che avevamo fatto prima della nostra partenza per Tokyo. Non occorrono particolari studi per ribadire i dati sui consumi emersi durante il viaggio. Nonostante in buona parte di quello di ritorno abbiamo tenuto ritmi più veloci rispetto all’andata, l’auto ha mediamente percorso quasi 40 chilometri con un chilogrammo di metano, più o meno 400 chilometri con 10 euro, considerando i prezzi italiani. Nel tratto siberiano privo di infrastrutture di rifornimento di gas naturale, l’auto ha percorso una media di 24 km con un litro di benzina con percorsi prevalentemente extraurbani.

Articolo pubblicato originariamente su www.teverepost.it.

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