Da una strada che non c’era a una lenta nave senza orario

(da www.teverepost.it) La cronaca dei dieci giorni che hanno deciso il destino della Milano-Cortina-Tokyo, arrivata nel punto più vicino al Giappone attualmente raggiungibile.

Le frenetiche giornate che hanno portato alla fine del viaggio di andata della Milano-Cortina-Tokyo sono state decisamente avventurose. Alle difficoltà che la strada sempre riserva si sono aggiunti i problemi per trovare una nave che ci permettesse di lasciare la Russia continentale e soprattutto la lotta burocratica per provare ad entrare in Giappone durante le Olimpiadi, superando le restrizioni legate al Covid.

La strada che non c’era

Qualsiasi carta geografica vecchia di almeno quindici anni non riporta alcuna strada che permetta di andare da Čita a Chabarovsk. Solitamente c’è una sottile linea nera o marrone dove si trova la ferrovia transiberiana. Altre carte segnalano l’esistenza di piccole strade che permettono di superare Čita fino a Černyševsk e in direzione opposta che collegano Chabarovsk a Skovorodino. Strade malmesse ma che esistevano fin dall’epoca sovietica. Ma per altri 650 chilometri non c’era nulla che potesse assomigliare ad una mulattiera. Nei diari di viaggio di alcuni avventurieri questa zona senza strade prende il nome di Zilov Gap, forse dal villaggio di Aksënovo-Zilovskoe, all’inizio dell’impervia zona senza strade. Quello che rendeva difficoltoso costruire una strada nei pressi della ferrovia era la presenza di numerosi corsi d’acqua, acquitrini, profonde valli spesso ricche di vegetazione. Negli anni novanta un gruppo di motoclisti americani impegnato in un giro del mondo su due ruote tentò l’impresa. Percorsero poco più della metà del tragitto danneggiando e rendendo inutilizzabili le loro moto. Furono costretti a salire sul treno per raggiungere Skovorodino. I primi italiani ad aver superato questa parte di Russia dovrebbero essere Danilo Elia e Fabrizio Bonserio nel 2006 a bordo di una vecchia Fiat 500. I due furono più fortunati degli americani dato che proprio in quegli anni era in costruzione la futura strada. Ebbero modo di percorrere cantieri e centinaia di chilometri di sterrato e scoprire località che per anni nessuno raggiungeva in auto ma solo in treno. Noi abbiamo scoperto lo Zilov gap solo recentemente, ma conserva un importante fascino. La nuova strada passa lontano dai paesini, anche da quelli che erano collegati a Čita e Chabarovsk dalle vecchie strade. Lungo la gran parte dei duemila chilometri della P-297 le soste per rifornimenti, pasti e soprattutto pernottamenti sono obbligate, essendo rari e sperduti i luoghi dove è possibile usufruire di questi servizi. In particolare il tratto quasi del tutto non civilizzato è quello tra Černyševsk e Erofej Pavlovič, 500 chilometri senza nulla in mezzo. Quest’anno abbiamo affrontato questa zona di Russia in assoluta tranquillità anche in base alle conoscenze che già avevamo, e ci siamo dedicati a fornire assistenza al vespista Fabio Cofferati che abbiamo costretto in un solo giorno a percorrere anche 800 chilometri.

La nave senza orario

Proprio nella sperduta località di Erofej Pavlovič abbiamo fatto la scelta di tentare di raggiungere il Giappone dall’isola russa di Sachalin e non da Vladivostok. Per arrivare a Sachalin bisogna attraversare lo Stretto dei Tartari che nel punto più favorevole è largo appena 8 chilometri. Già dai tempi di Stalin c’era il progetto di costruire un tunnel sottomarino per collegare l’isola alla terraferma con una ferrovia. Il progetto torna periodicamente di moda e sembrerebbe avere un futuro. Attualmente però la traversata avviene da Vanino a Cholmsk, in uno dei punti più larghi con tempi di quasi venti ore. In internet si trovano notizie non chiare e l’unico modo per capire di più è telefonare dopo aver riempito un modulo on line che successivamente assegna date del tutto casuali per la traversata. Parlando al telefono si scopre che la nave non ha orari e spesso non è in grado neppure di rispettare il giorno di partenza. Insistendo e spiegando le nostre ragioni riusciamo a convincere le gentili operatrici della DeltaTransService a trovarci dei posti sulla nave in partenza il 30 luglio. Ci viene detto di presentarci al porto di Vanino il pomeriggio di quel giorno anche se la nave dovrebbe arrivare e ripartire nella notte tra 30 e 31. Alla sera siamo prontissimi a salire a bordo e ci dicono che la nave sarà in porto alle 11.30. Erroneamente pensiamo di sera, mentre in realtà i ritardi accumulati spostano il viaggio al mattino del giorno dopo. Anche per raggiungere Vanino l’impresa non è delle più semplici. Tra Chabarovosk e Vanino ci sono 540 chilometri di cui gli ultimi 330 attraversano un parco naturale senza nessun segno di civilizzazione. Paesi e stazioni di rifornimento non ci sono, un solo kafé a metà strada e niente segnale telefonico. Ecco perché quando si intraprende il viaggio si deve telefonare al porto, così se non arrivi ti vengono a cercare! Però gli abitanti di questa amena località isolata da tutto si dimostrano gentili e accoglienti con noi, e più volte ci invitano a contattarli se dovessimo avere difficoltà o ulteriori ritardi del traghetto.

L’arrivo a Sachalin

240 chilometri coperti in quasi venti ore con una media da cicloturista agli esordi. Il Sachalin VIII, nave sovietica dell’84, non ha fretta. Usa un solo motore per allungare la vita di quelli a riposo. Qui per la verità nessuno ha fretta, e più è lunga la traversata e più a lungo i camionisti possono bivaccare e godersi la serata. In nave non si trovano alcolici ma ognuno a bordo ha portato la sua parte. Le cabine sono vecchie ma comode. Riusciremo a fare le dormite più lunghe del viaggio a bordo della nave nonostante un mare non del tutto tranquillo. Inutile sottolineare che sia per il personale della nave che per i passeggeri siamo un’attrazione. Tra tutti segnaliamo uno dei mozzi di bordo, il ventunenne Saša, che ama l’Italia e cita senza alcun tentennamento Dante, Savonarola, Verdi, Vivaldi, Sergio Leone e Fellini. Lavora in nave per pagarsi gli studi e sogna di visitare il nostro Paese. Già dalle prime ore del mattino avvistiamo Sachalin. È molto verde e spesso circondata da nebbia. Scesi a terra percorriamo le sue buone strade, quasi sempre con limiti di velocità più bassi del solito, e possiamo constatare come le piante siano più particolarmente alte. La grandezza della vegetazione è una delle caratteristiche di quest’isola e la differenzia dalla Russia continentale. I russi sono qui da meno di due secoli e i nativi non opposero resistenza nel sottomettersi allo zar. Dopo il 1905 nella parte meridionale dell’isola arrivarono i giapponesi, ma nel 1945 la zona fu bottino di guerra sovietico. L’isola ha prezzi più elevati di altre parti di Russia. Turismo e gas sono le principali risorse che rendono la vita a Sachalin migliore rispetto ad altre zone del Paese. Non a caso l’albergo che scegliamo stavolta è decisamente più caro del solito.

Il Giappone

Siamo a Južno-Sachalinsk, capoluogo dell’isola, per giocarci le ultime carte per provare ad entrare in Giappone. Qui siamo attesi al consolato giapponese al quale abbiamo affidato la nostra sorte. Se l’agognato visto arriverà, da qui potremo volare a Tokyo, comunque senza auto. Se la risposta sarà negativa non resterà che andare a sud dell’isola e salutare la terra del Sol Levante dalla spiaggia. Giappone e Russia qui sono separati da appena 43 chilometri di mare. Il consolato è una moderna palazzina di cinque piani che ospita molte attività legate ai rapporti tra Sachalin e Giappone. Veniamo accolti con gentilezza e ammirazione per il nostro viaggio da Takayuchi Adachi, console nipponico a Sachalin. Fin da subito è chiara la situazione: non potremo avere il visto né noi, né il vespista Fabio Cofferati. Non bastano i nostri inviti e neppure i contratti di lavoro fatti per l’occasione. L’ordine di impedire agli stranieri di entrare in Giappone durante le Olimpiadi e soprattutto in epoca Covid non conosce eccezioni, neppure per questi strani viaggiatori venuti da lontano. Siamo comunque gratificati dalle parole del console che ci invita a ritentare un viaggio simile quando la situazione tornerà tranquilla.

A questo punto alla Vespa e alla Toyota C-HR ibrido-metano non resta che raggiungere il punto di Sachalin più vicino al Giappone e celebrare lì la fine del viaggio. Scegliamo una spiaggia vicino a Korsakov dove c’è uno degli impianti di liquefazione di metano più grande della Russia. Qui scattiamo le foto di rito che consegniamo alla storia dell’automobilismo ecologico. Mai nessuno con un’auto alimentata a gas naturale è arrivato così lontano dall’Italia percorrendo almeno l’80% del tragitto usando metano e biometano. Abbiamo percorso quasi 16.000 chilometri, in parte dovuti anche a problematiche avute nella prima parte del percorso, riuscendo a spendere meno di 300 euro. Questo importo particolarmente basso è frutto sia del largo impiego del metano, sia del fatto che in Russia il carburante costa molto meno che in Italia.

Tokyo-Milano-Cortina

L’arrivo a due passi dal Giappone è di fatto il giro di boa del lungo drive test in cui è impegnata la Toyota ibrida-gas naturale di Snam, equipaggiata da un impianto Landi Renzo installato da Piccini Paolo Spa. Ora saranno monitorati i consumi ed eventuali problemi dell’altrettanto lungo viaggio di ritorno verso l’Europa. Ancora non è possibile indicare le date del rientro in Italia dell’equipaggio, ma sarà possibile seguire ancora attraverso i social le peripezie di questa incredibile avventura ecologica per le strade del continente euroasiatico.

Pubblicato originariamente su TeverePost.it.

7 commenti su “Da una strada che non c’era a una lenta nave senza orario”

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