VIDEO: Da Sansepolcro a Volgograd, un’avventura in dual fuel

È online una breve clip che ripercorre il viaggio compiuto dai membri dell’Associazione Torino-Pechino nel dicembre 2013 da Sansepolcro a Volgograd a bordo di un Iveco Daily dual fuel diesel-metano. Nelle immagini la lunga traversata dell’Europa orientale e l’incontro con i volontari dell’Associazione Giovanni XXIII in Russia.

Ritorno a Volgograd – Giorno 5

Sveglia mattutina a temperature più basse del solito. Affacciarsi alla finestra e vedere l’adiacente lago gelato, ora illuminato dalla luce mattutina, ci fa sentire molto lontani da casa. La signora che gestisce il motel è molto orgogliosa del panorama invernale di cui si può godere e conveniamo con lei sul fatto che sia decisamente “krasìvo” (bello). Lo specchio d’acqua è popolato da diverse persone: oltre a quelle impegnate a pescare c’è perfino un ragazzo che, armato di mazza, disco e ginocchiere, si allena da solo a giocare ad hockey. Anche noi ci avventuriamo in una veloce passeggiatina sulla superficie ghiacciata, per poi salutare tutti e riprendere il viaggio.

La strada è ancora in buone condizioni fino alla periferia di Char’kov. Ormai da tempo, e sempre più man mano che ci addentriamo nell’Ucraina orientale, quasi tutte le scritte che incontriamo, a parte i cartelli stradali ufficiali, sono in russo e non più in ucraino, a conferma del fatto che in questa parte del Paese la popolazione russofona è netta maggioranza.

Char’kov, con il suo milione e mezzo di abitanti, è la seconda città più grande dell’Ucraina. A differenza delle vicine Dnipropetrovs’k e Donets’k, che sono il cuore minerario della nazione, è il cervello industriale. Non a caso alla fine degli anni quaranta del Ventesimo secolo proprio qui si è sviluppata l’industria nucleare sovietica. Char’kov è inoltre il luogo in cui i resti delle divisioni italiane sbaragliate in Urss nell’inverno 1942-1943 si radunarono dopo la battaglia di Nikolaevka per ritornare verso casa. I pochi che riuscirono ad arrivare in città in quel contesto avevano percorso 250 chilometri a piedi, vedendo morire nel tragitto la gran parte dei propri commilitoni, abbattuti da freddo, fame, malattie, partigiani e soldati sovietici.

Attraversiamo Char’kov percorrendo una complicata tangenziale ricca di svolte ma povera di cartelli. Qui facciamo un nuovo rifornimento di metano in un obsoleto distributore. Il nostro Iveco Daily è ben accompagnato dallo storico camion ZiL-130 e da un altro antiquato ma affascinante mezzo pesante.

Cento chilometri più a sud sostiamo per il pranzo in un altro luogo di concentrazione di truppe italiane, stavolta nel viaggio di andata verso il fronte orientale nell’estate del 1942. Si tratta della cittadina di Izium, scalo ferroviario dal quale degli increduli alpini furono inviati a combattere non, come credevano, fra le montagne del Caucaso, ma sulle pianure lungo il fiume Don a nord di Stalingrado. L’episodio è descritto in molti libri, tra cui l’interessante e dettagliato “La ritirata di Russia” di Egisto Corradi, edito da Longanesi nel 1965. Anche in questo caso i soldati, dopo giorni e giorni di treno, dovettero spostarsi a piedi da Izium al fronte, distante circa 200 chilometri.

In questo tratto di strada non c’è traccia dei lavori di miglioramento che in Ucraina hanno interessato molte tratte in occasione dei Campionati europei di calcio dello scorso anno. Di conseguenza viaggiamo su una striscia d’asfalto considerevolmente dissestata che più si conforma alla canonica definizione di “strada russa”; ciò ci impone velocità basse e un’enorme attenzione alle tante buche in mezzo alla carreggiata e al ghiaccio che si stende ai lati.

Provati dagli scossoni raggiungiamo la destinazione odierna, la città di Lugans’k, a soli 50 chilometri dal confine di Krasnodon tramite cui abbiamo in programma di entrare nella Federazione russa. Prima di sistemarci nel comodo hotel che porta il nome della città, un’imponente struttura sovietica che era stata tappa anche del viaggio estivo a Volgograd nel 2012, facciamo un altro rifornimento di metano. In questo caso il sistema è davvero interessante, perché si tratta di quello pionieristico scomparso dai distributori italiani ormai da diversi anni: la pompa non calcola automaticamente il gas erogato, bensì la pressione che, combinata con la capacità delle bombole, permette di determinarne lo spazio vuoto, e da quello i soldi da pagare.

Dopo una doccia ristoratrice, ci incamminiamo lungo Ulica Sovetskaja (Via Sovietica) che, con temperature ben al di sotto dello zero, presenta marciapiedi completamente ghiacciati. Ammiriamo operai spalare a mano cumuli di neve che vengono poi trasferiti tramite ruspa dentro molti camion con destinazione ignota. Ci chiediamo in senso ironico se tutta questa neve verrà portata nella città di Soči, dove si svolgeranno dal prossimo febbraio i Giochi olimpici invernali.

Ci fermiamo in uno dei tanti locali in cui nella tappa dell’anno scorso non eravamo riusciti a trovare posto, a causa dei tanti ucraini che affollavano i ristoranti per guardare la sfortunata partita della loro nazionale ai Campionati europei di calcio contro l’Inghilterra. Come sempre cerchiamo piatti tradizionali, e questa sera ci dedichiamo in particolare agli šašliki, buonissima carne di maiale arrosto, accompagnati da birra Černigovskoe.

Rientrati in albergo seguiamo al telegiornale gli sviluppi dell’importante incontro odierno tra il Presidente ucraino Janukovič e quello russo Putin a Mosca. A quanto pare la Russia comprerà 15 miliardi di dollari di bond ucraini e abbasserà di un terzo il prezzo del gas venduto al Paese vicino. Janukovič ha così ottenuto dalla Russia agevolazioni e liquidi di un valore pressoché pari ai 40 miliardi richiesti ma non ottenuti bussando alla porta dell’Unione Europea. Tutto questo piacerà alla parte orientale e filo-russa del Paese mentre alzerà probabilmente la tensione nella parte occidentale.

Ritorno a Volgograd – Giorno 4

"Cinghiali" sul lago ghiacciato di Valki.

"Cinghiali" sul lago ghiacciato di Valki.

Cominciamo la nuova settimana tuffandoci nel traffico di Kiev per raggiungere, risalendo le rive del fiume Dnipr, l’officina Global, referente dell’azienda Landi Renzo per l’Ucraina. Qui abbiamo in programma un incontro con responsabili e meccanici che esaminano il nostro impianto Dual Fuel che mescola metano e gasolio. Non ci sottraiamo mai a questi impegni perché è sempre piacevole valorizzare la collaborazione con i rappresentanti dei nostri partner. Tra l’altro questa visita ci è utile perché nell’occasione ci viene messo a disposizione un adattatore che, a differenza di quello in nostro possesso, collega direttamente l’attacco italiano del nostro impianto alle pompe di metano in uso in Ucraina e in Russia.

Dopo le foto di rito e una chiacchierata sulla rivoluzione anche con i tecnici dell’officina, è il momento di fare un nuovo rifornimento di metano. Ci rechiamo in una desolatissima stazione dove probabilmente sono arrivati di rado (o forse mai) veicoli italiani ad energie alternative. Prima che il gasista si convinca a procedere alla ricarica dobbiamo dimostrare tramite il libretto di circolazione che il veicolo è correttamente alimentato a metano e che le tre bombole sono state opportunamente collaudate. Il nostro interlocutore esamina di persona le bombole stesse e infine effettua il lento rifornimento. Tale piccolo contrattempo non si era verificato nel precedente rifornimento ad Užgorod, data probabilmente la maggior frequenza di automobili straniere in una zona molto più vicina ai confini occidentali del Paese. Speriamo che anche il nostro viaggio, portando un veicolo occidentale in rotte ben poco consuete, contribuisca a far diminuire la diffidenza dei gestori delle stazioni di rifornimento.

Lasciamo infine Kiev attraversando il Dnipr, e non possiamo non ricordare come proprio le acque di questo fiume raffreddassero i reattori della centrale nucleare di Černobyl’, ubicata a meno di centro chilometri da qui. Imbocchiamo la strada M-03, che ci porterà verso il confine russo, distante ancora, nella rotta che intendiamo seguire, circa 850 chilometri. Nonostante un po’ di neve caduta in nottata, il clima odierno non è avverso e l’unica cautela è quella di prestare attenzione al ghiaccio e al consueto stile di guida “euforico” dei camionisti locali.

L’obiettivo della giornata è avvicinarsi alla città di Char’kov, i modo che, se il tempo non farà brutti scherzi, si possa raggiungere Volgograd nel giro di due giorni. Il nostro tragitto è come sempre allietato dalle radio locali che trasmettono spessissimo brani italiani, e non manchiamo di stilare una classifica in tempo reale degli artisti più gettonati: dopo due giorni di ascolto guidano questa “hit parade” Adriano Celentano e un Pupo più sorprendente del solito, davanti a Ricchi e Poveri, Umberto Tozzi e Al Bano e Romina. Ancora indietro cavalli di razza come Riccardo Fogli e Toto Cutugno, mentre per i Matia Bazar c’è la consolazione di una serie di cartelloni pubblicitari di un loro futuro concerto a Kiev (per i fans l’appuntamento è per il 9 febbraio).

Nei pressi di Poltava incontriamo un distributore di metano lungo la strada. Stavolta convincere il custode del punto di rifornimento ad autorizzarci a fare il pieno è più facile del previsto. Dopo pochi metri riusciamo anche a rabboccare il gasolio. Esaminando i dati di quest’ultimo tratto di strada, notiamo con sorpresa di essere riusciti con un’andatura costante a raggiungere un ottimo risultato: poco meno di 350 km con circa 18 litri di gasolio, pari ad una media di 20 km con un litro. Il consumo così buono, raggiunto grazie ai circa 15 kg di metano, ci fa supporre che il metano ucraino abbia un potenziale maggiore rispetto a quello con cui ci riforniamo in Italia. In definitiva, nei 350 km esaminati abbiamo “speso” circa 25 euro!

Lo stop della tappa odierna è 50 km prima di Char’kov, a Valki, paesino con un simpatico motel vicino alla strada principale. All’Ezers spendiamo 50 euro in tre per pernottare e cenare abbondantemente. Intanto il Daily è parcheggiato lungo le sponde di un lago completamente ghiacciato dove alcuni pescatori, nel buio della notte, si dedicano alla propria attività con la tecnica del buco sul ghiaccio.

La vicina statua di Lenin in perfetta salute, sulla piazza a lui dedicata lungo il viale omonimo, testimonia che siamo passati nell’Ucraina orientale, la parte abitata dai filo-russi e che vede positivamente la politica di Janukovič. Ricordiamo per l’ennesima volta che Lenin in questi contesti non è tanto un simbolo politico, quanto un segnale della presenza russa su questo territorio.

Non a caso anche la conversazione con le simpatiche e attempate cuoche si svolge esclusivamente in russo e i commenti delle tre donne sui manifestanti di Kiev e sulla richiesta di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea sono ben poco benevoli. Continuiamo a chiacchierare mentre consumiamo pel’meni, carne, patate, birra e infine un pesante pirožok, la tipica pastella ripiena, tipico cibo russo che può essere ripieno di carne, patate, cavolo o, come in questo caso, frutta.
Sazi, ci ritiriamo a dormire presto per essere il più in forma possibile nelle ultimissime tappe che ci separano dalla destinazione.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3 sera

Una barricata in piazza Majdan.

Dopo esserci installati nel tardo pomeriggio all’hotel Slavutyč di Kiev, decidiamo di recarci in centro a vedere con i nostri occhi cosa succede nell’area di piazza dell’Indipendenza, nota come Majdan, cuore del presidio antigovernativo. Saggiamente decidiamo di lasciare il nostro Daily nel sicuro parcheggio dell’albergo e utilizziamo i mezzi pubblici, che come in tutti i paesi dell’ex Urss sono molto funzionali e anche economici (basti pensare che con l’equivalente di un euro acquistiamo le sei corse in metropolitana per l’andata e il ritorno). Già durante il viaggio incontriamo diversi manifestanti con bandiere ucraine o delle forze politiche di opposizione. Giunti alla fermata Teatral’na assistiamo ad un evento curioso che per certi aspetti ricorda un flash-mob. Ma probabilmente non si tratta di uno degli eventi estemporanei di moda in Occidente organizzati da ragazzi tramite social network: protagonisti sono infatti tantissimi anziani, alcuni dei quali in costumi tipici, che ballano abilmente musiche tradizionali suonate da musicisti di strada.

Usciamo all’aperto e ci imbattiamo nella prima barricata che blocca la via principale impedendo a veicoli, polizia e malintenzionati il transito verso piazza Majdan. Prima di recarci in quella direzione, tuttavia, ci rechiamo dalla parte opposta a sincerarci delle condizioni della statua di Lenin di Piazza del Mercato Bessarabia, recentemente abbattuta dai manifestanti: i resti del monumento sono ormai stati rimossi e sul piedistallo vuoto campeggiano due bandiere di forze politiche di estrema destra. Lì assistiamo ad un pesante diverbio tra alcuni dimostranti e un automobilista: quest’ultimo si ferma ad inveire contro i presenti (noi compresi!), accusandoli di essere dei vandali fascisti, ottenendo per tutta risposta un lancio di bottiglie contro il proprio veicolo.

Torniamo a ritroso verso piazza Majdan e man mano che ci avviciniamo troviamo sempre più gente accampata in una diffusa e organizzata tendopoli che occupa gran parte dell’area centrale della città. Numerose altre barricate, fatte di blocchi di neve ghiacciata, pali, casse di legno, cartelli, pneumatici e oggettistica varia, sbarrano tutte le vie di accesso alla piazza, comprese scalinate e sottopassaggi della metropolitana. I varchi nelle barricate, rigorosamente pedonali, sono presidiati da energumeni in tuta mimetica e spesso con il volto coperto. In piazza Majdan è in corso la conclusione della manifestazione odierna e su un palco si alternano comizi ed esibizioni di gruppi musicali.

Da piazza Majdan è paradossalmente ben visibile un grande arco illuminato che fa parte del complesso monumentale dedicato all’amicizia tra il popolo russo e quello ucraino: si tratta di una imponente realizzazione di epoca sovietica su un belvedere che domina il centro cittadino e il fiume Dnipr. Ci rechiamo sul posto e constatiamo che proprio intorno al monumento è stata realizzata una pista di pattinaggio su ghiaccio che (come ha tenuto a dirci lo zelante guardiano) aprirà i battenti tra pochi giorni.

Tornati in piazza Majdan ceniamo in un gradevole ristorante che offre una cucina legata alla tradizione dei Tatari di Crimea. Consumiamo una indispensabile minestra bollente, il borsch, utile ad attenuare il freddo, e il tipico risotto plov. Il pasto è accompagnato dalla proiezione, nel grande schermo del ristorante, di un documentario sulla Crimea che propone ininterrottamente le riprese da una camera-car della strada litoranea Sebastopoli – Jalta – Simferopoli. Si tratta di una strada che avevamo percorso lo scorso anno, nota per ospitare il più lungo marciapiede del mondo, che la accompagna per circa 150 chilometri, e una linea di filobus di ben 85 chilometri.

Prima di rientrare in albergo non possiamo fare a meno di entrare nel quartier generale dei manifestanti, installati all’interno del palazzo del municipio, occupato come altri palazzi pubblici. All’ingresso dobbiamo presentare i documenti e sottoporci a perquisizione, dopodiché possiamo accedere nei locali utilizzati anche come cucina, infermeria e dormitorio, oltre che come base operativa.
Anche qui notiamo come una componente ben visibile, forse la meglio organizzata, della manifestazione sia quella delle fazioni di estrema destra. Apparentemente è contraddittorio vedere i nazionalisti ucraini battersi per l’ingresso nell’Unione Europea, quando le forze di estrema destra all’interno dei Paesi Ue sono ostili alle politiche comunitarie. Come ci hanno spiegato alcuni interlocutori, la posizione di partiti come Svoboda o Udar è tuttavia più comprensibile nel momento in cui si interpreti la richiesta di adesione all’Unione Europea non tanto in sé, quanto come pretesto per svincolare l’Ucraina dalla storica influenza della Russia.

Va detto che la protesta non riguarda soltanto l’estrema destra, ma coinvolge anche forze politiche convintamente europeiste come il partito di ispirazione liberale legato all’ex premier Julia Tymošenko e una parte non trascurabile della società civile. Secondo alcune delle persone con cui abbiamo parlato all’interno del municipio, a supportare la protesta sarebbe l’80% circa della popolazione. Ciò non si è tuttavia tradotto in analoghe percentuali nelle elezioni suppletive per il Parlamento che si sono tenute proprio oggi in cinque distretti ucraini, e che hanno rispecchiato una divisione più o meno a metà tra le forze governative e quelle di opposizione.

Rientrati in albergo con una comoda combinazione di metropolitana e maršrutka (il tradizionale pulmino privato che copre capillarmente le vie delle cittadine ex sovietiche) riposiamo alcune ore in vista del prosieguo del viaggio.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.L’hotel Europa di Brody è confortevole e pulito, ed è ubicato proprio nel centro della cittadina. Con i suoi 23.000 abitanti, oggi Brody è una sonnolenta comunità dell’Ucraina occidentale. Fino al 1941 era la città dell’ex Unione Sovietica con la più alta percentuale di popolazione ebraica. Con l’invasione nazista durante la Seconda guerra mondiale, gli Ebrei furono tutti deportati e quasi nessuno fece ritorno a casa. La toponomastica della città ci ricorda tuttora quest’importante presenza, mentre l’architettura ha subito la normale ricostruzione del dopoguerra alternando qualche edificio di valore storico con strutture funzionali ma bruttine.
Conoscevamo già la città di Brody grazie all’amicizia che ci lega a due ragazzi provenienti da questo luogo e che oggi abitano a Sansepolcro, i fratelli Vitalij e Viktoria Ivančuk, a conferma dell’importanza dell’amicizia con gli stranieri che vivono a Sansepolcro come occasione di scambio e di approfondimento culturale.

Il sabato sera a Brody non è il massimo della vitalità: diamo un’occhiata a due o tre locali presenti in centro ed optiamo per il ristorante Orion, collocato nella piazza centrale, vicino alla statua del poeta Taras Ševčenko. Dentro una grande sala arredata con quello stile un po’ trash che rimanda direttamente alla tradizione sovietica pasteggiamo insieme a una tavolata che festeggia un compleanno rallegrato da musica dal vivo. Veniamo ben presto coinvolti nei brindisi degli altri avventori che ci convincono persino a ballare le hit della tradizione locale, come la celeberrima “Kakaja ženščina!” (Che donna!). Intanto il brillante sessantenne Anatolij ci tesse le lodi delle poche ragazze presenti e si avventura in una digressione sul cinema citando il famoso (almeno nell’ex Urss) film italo-sovietico del 1973 “Una matta, matta, matta corsa in Russia”. Siccome il titolo originale è “Incredibili avventure di italiani in Russia”, Anatolij ride molto cambiandolo in “Incredibili avventure di italiani a Brody”. La nostra serata a Brody non si rivela così avventurosa, ma comunque ci divertiamo a calarci in una realtà decisamente insolita. Dopodiché, dopo 42 ore senza dormire, crolliamo in un indispensabile sonno ristoratore.

Più in forma che mai nelle prime ore del mattino, con temperature poco al di sotto dello zero, lasciamo Brody e ci incamminiamo lungo la strada M06 in direzione di Kiev. Nonostante qualche fiocco di neve che ci accompagna per tutto il percorso, i “cantonieri” ucraini hanno il merito di tenere questo tratto di asfalto in perfette condizioni. Scegliamo di consumare un caldo pasto nei pressi di Žitomir, dove facciamo amicizia con tre cani randagi a cui doniamo con piacere alcuni avanzi.

Recarsi a Kiev proprio oggi per certi aspetti può non essere la scelta più saggia: è infatti in programma una imponente manifestazione dell’opposizione al Governo, al culmine di una situazione di grande tensione politica che sta pesantemente agitando le città dell’Ucraina occidentale  da diverse settimane. Tuttavia domani mattina è previsto un incontro con i responsabili della sede locale dell’azienda Landi Renzo che ha realizzato il nostro impianto di alimentazione Dual Fuel e decidiamo di fare comunque tappa nella capitale. D’altra parte, al di là di qualche piccolo rischio, recarsi a capire di persona quello che sta accadendo a Kiev è per noi motivo di grande interesse, visto che le tematiche geopolitiche ci appassionano da sempre e sono uno dei motori dei nostri viaggi.

Prima di arrivare a destinazione, a circa 80 km dalla capitale, ci fermiamo a salutare un vecchio amico: si tratta dell’orso Misha, mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, che figura in diverse grandi statue situate sulle arterie principali che conducono a Kiev. In particolare, questa statua è la stessa che benedisse il transito della Marea della Torino-Pechino nell’estate del 2008.

Giunti nella capitale prendiamo alloggio, anche per precauzione, in un hotel situato al di là del fiume Dnipr rispetto allo scenario centrale della manifestazione politica. Lasciamo il Daily ben protetto nel parcheggio dell’albergo e decidiamo di recarci con i mezzi pubblici verso piazza Majdan e i luoghi occupati dai manifestanti.

Approfondimento: la crisi ucraina

Riguardo alla crisi ucraina, va detto che forse la verità è più complessa di ciò che ci raccontano. I nostri media ci deliziano quotidianamente su quello che sta accadendo a Kiev, e spesso corrispondenze improvvisate dipingono le giornate di protesta con estrema semplicità e con grande leggerezza. C’è spazio per una sola chiave di lettura, quella di un popolo oppresso che si ribella ad una autorità lontana dai cittadini e fortemente repressiva. Le cose, probabilmente, sono invece un po’ diverse, e un cronista obiettivo dovrebbe almeno ricostruire la storia degli ultimi anni cercando di spiegare perché in Ucraina esista un’opinione pubblica spaccata in due.

L’Ucraina diviene indipendente nel 1991, contestualmente allo scioglimento dell’Unione Sovietica, ed è guidata per i primi anni da esponenti del vecchio Partito Comunista che all’improvviso diventano indipendenti, patriottici o nazionalisti. Nei primi anni i presidenti Leonid Kravčuk (1991-‘94) e Leonid Kučma (1995-2005) riescono a mantenere una politica di buon vicinato con la Russia, concedono l’uso della base navale di Sebastopoli in Crimea alla marina russa e conciliano le esigenze dei due popoli che vivono nel paese: gli ucraini che parlano ucraino, stanziati  prevalentemente nella parte nord-occidentale del Paese, e gli ucraini che parlano russo, concentrati soprattutto nell’area sud-orientale.
È della fine del 2004 la prima crisi che porta centinaia di migliaia di persone ad affollare le piazze della capitale Kiev, la cosiddetta Rivoluzione Arancione. Il tutto nasce dal risultato delle elezioni presidenziali che vedono il pupillo del presidente uscente Kučma, Viktor Janukovyč, sostenuto dalla Russia, prendere al primo turno gli stessi voti dell’avversario Viktor Juščenko, presidente della Banca Nazionale, finanziato dagli Stati Uniti. Russi e statunitensi sostengono alla luce del sole i rispettivi candidati. Al ballottaggio tra i due Viktor la spunta il filorusso Janukovič, ma immediatamente a Kiev scoppia il finimondo. Imponenti manifestazioni guidate da Jushenko e dall’alleata Yulia Tymošenko, la ricchissima magnate del gas, denunciano brogli elettorali avvenuti nell’est del Paese, Usa e Unione Europea non riconoscono le elezioni e la tensione in Ucraina sfiora la guerra civile. La Corte Suprema ucraina decide di ripetere le elezioni e stavolta vince il filo-occidentale Juščenko che nomina primo ministro Yulia Tymošenko. La Russia risponde alzando il prezzo del gas, da cui l’Ucraina dipende, e chiudendo le forniture, mettendo in difficoltà il nuovo governo incapace di trovare una soluzione.
Nei cinque anni di mandato presidenziale, Juščenko non riesce ad imporre la svolta europeista che i suoi sostenitori volevano, ed è addirittura costretto a silurare la Tymošenko e sostituirla con il rivale Janukovič, per poi permettere un secondo mandato all’alleata, che per un periodo governa addirittura con i voti di Janukovič e senza quelli di Juščenko. Il caos è assoluto e i governi sono via via sostenuti da maggioranze diversissime. Nei due anni che la coppia Juščenko-Tymošenko tiene il timone della nazione sono stipulati alcuni atti importanti, come la richiesta di adesione all’Unione Europea e alla Nato e un discutibile accordo di rinnovo dei prezzi del gas russo che la primo ministro stipula senza un mandato del governo ucraino. Proprio per quest’ultima operazione la Timoshenko è oggi sotto processo e agli arresti in ospedale.
Le successive elezioni presidenziali, nel 2010, vedono i tre protagonisti della politica ucraina sfidarsi tra di loro: al ballottaggio il filorusso Janucovič batte la Timoshenko, e stavolta la comunità internazionale riconosce i risultati. Nel 2012 si tengono le elezioni politiche, nelle quali il Partito delle Regioni di Janukovič vince con il 30% superando il blocco di Yulia Tymošenko, nel frattempo agli arresti per lo scandalo del gas, che si ferma al 25%. Entrano in parlamento pure i Comunisti (13%), alleati di Janukovič, il partito del pugile Vitaliy Klyčko (14%) e l’estrema destra nazionalista Svoboda (10%). La coalizione governativa ha 254 voti su 450 deputati totali. La composizione geografica del voto è come prevedibile geopolarizzata: il Partito delle Regioni e i Comunisti sono radicati nel sud-est del Paese e l’opposizione nel nord-ovest. È significativo il risultato dell’estrema destra, fortemente nazionalista e xenofoba, che polarizza tutti i suoi voti nelle aree al confine con Polonia, Ungheria e Romania.
Nasce così il governo Azarov, che guarda verso la Russia e poco verso l’Unione Europea. Il primo ministro apre trattative con il potente vicino e con la nuova unione doganale alla quale hanno aderito Russia, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan e alle cui porte si appresta a bussare anche l’Armenia. Per Europa e Usa questo è un colpo pesante, perché quella che si è data il nome di Comunità Economica Euroasiatica appare come una realtà sovrastatale pericolosamente alternativa all’Unione Europea. Questo passaggio compromette i piani di Usa ed UE, che negli ultimi anni erano riusciti a destabilizzare l’area attorno al Mar Nero, sostenendo le coalizioni antirusse presenti in Georgia e Moldavia.

Ad oggi Europa, Usa e Russia si divertono a soffiare sul fuoco. Un eventuale incremento dello scontro potrà portare solo al collasso della nazione, con un possibile smembramento in due aree, una pronta ad avvicinarsi all’Europa e l’altra fagocitata dalla Russia. Il litorale del Mar Nero, compresi Odessa e la Crimea, ed i bacini carboniferi di Doneck, Dnipropetrovsk e Charkov andranno verso la Russia, mentre la capitale Kiev e le regioni come la Galizia, la Volinia, la Podolia e la Rutenia saranno facilmente europeiste. D’altra parte anche il recente abbattimento della statua di Lenin a Kiev non è stata un’azione anticomunista con 22 anni di ritardo, ma la distruzione di un simbolo di vicinanza alla Russia. Non è un caso che nell’est dell’Ucraina si trovino statue di Lenin o della zarina Caterina, mentre ad ovest di solito il posto del padre della rivoluzione russa viene preso dal poeta Taras Ševčenko, colui che per primo usò la lingua ucraina nella letteratura.
Questa è la vera partita che si gioca in questo pezzo di Europa, uno spazio largo oltre mille chilometri da est ad ovest e oltre 500 da nord a sud, abitato da circa 55 milioni di persone. Un tempo era il granaio dell’Urss ed esportava grano nel resto della nazione, mentre oggi, grazie a scellerate politiche economiche, non produce neppure per il proprio fabbisogno ed è costretta ad importare il frumento! Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno portato a concessioni agricole lunghe decenni a prezzi ridicoli, permettendo a molti italiani e francesi di produrre in Ucraina per rivendere in Europa. Alla faccia del chilometro zero.

Dopo questo approfondimento, è giunto il momento di recarsi a vedere con i nostri occhi costa sta succedendo a Kiev in queste ore…

Giappone, Palestina e Russia protagonisti del Festival del Racconto di Viaggio

A Sansepolcro la quarta edizione della kermesse. L’ultima sera cena con menù russo-ucraino.

È in programma dal 19 al 21 dicembre a Sansepolcro la quarta edizione del Festival del Racconto di Viaggio, rassegna organizzata dal 2009 dall’Associazione Culturale Torino-Pechino.
Il festival ha in questi anni ospitato in Valtiberina molti viaggiatori, che hanno raccontato al pubblico le proprie storie fatte di avventure con i più disparati mezzi di locomozione: dall’auto al camper, alla vespa, alla moto, alla bicicletta, senza escludere i viaggi a piedi e quelli in barca a remi o in canoa. Tra i protagonisti delle passate edizioni Oliviero Beha, Roberto e Rita Chiodi, Alex Bellini, Claudio Sabelli Fioretti, Danilo Elia, Franco Marchi e tanti altri che hanno intrattenuto gli spettatori con i loro avvincenti resoconti.
Quest’anno gli appuntamenti saranno tre: si comincia il 19 dicembre alle 21 con “Com’è la vita in Giappone… lo vorrei tanto sapere”: a raccontare, aiutato da interessanti contributi video, sarà il giovane biturgense Mosè Mondonico, reduce da una originale esplorazione dell’Estremo Oriente.
La sera successiva, sempre alle 21, sarà la volta di Simona Lucarini con “Ritorno alle origini: gli angeli di Betlemme”, descrizione dell’esperienza vissuta in Palestina in compagnia del sacerdote di Sansepolcro don Mario Corgnoli. Infine, venerdì 21 alle 19,30, con “Volga Express” Emanuele Calchetti e Guido Guerrini parleranno della loro ultima esperienza nell’Est Europa. Il racconto conclusivo sarà seguito poi da una particolarissima cena con menù russo e ucraino, curato dai cuochi ucraini Nelya Fulko e Vitalij Ivanchuk e la collaborazione del georgiano, ma ormai biturgense d’adozione, Emanuel’ Shevardnadze.
Sia i racconti che la cena (per cui è necessaria la prenotazione) si svolgeranno all’osteria Il Giardino di Piero di Sansepolcro: “Quest’anno, dati i tempi di crisi – dice il presidente dell’Associazione Torino-Pechino Guido Guerrini – abbiamo scelto di fare un’edizione del festival fatta in casa, o per meglio dire al ristorante. Abbiamo utilizzato un budget estremamente limitato, senza in alcuna maniera avanzare richieste di contributi pubblici, che in questo momento storico è probabilmente più opportuno destinare ad altro. Nonostante questo – aggiunge Guerrini – credo che le tre serate di questa edizione saranno sicuramente interessanti”.
Intanto è già in cantiere l’edizione 2013 del festival, che cambierà formula e si svilupperà durante tutto l’anno con incontri a cadenza mensile.

Ritorno a Volgograd per i ragazzi della Torino-Pechino

È arrivata a Novovolins’k, in Ucraina occidentale, la nuova spedizione organizzata dall’associazione Torino-Pechino. La realtà toscana, nata nel 2008 in occasione del viaggio il cui itinerario le ha dato il nome, è protagonista di un’altra avventura dai contenuti sportivamente forse meno impegnativi del solito, ma altrettanto ricca di molteplici significati.
Il viaggio di questa estate ha di nuovo come meta la città di Volgograd, nella Russia meridionale, e in particolare la casa-famiglia, gestita da un ragazzo italiano, che lì si occupa di assistere emarginati e senzatetto. Proprio con questa realtà la Torino-Pechino ha iniziato a collaborare in occasione del precedente viaggio, quello dell’inverno 2011, quando Guido Guerrini ed Emanuele Calchetti raggiunsero Volgograd a bordo di un fuoristrada Gonow alimentato a gpl, portando un cospicuo carico di aiuti (abiti invernali) raccolti tra la Valtiberina e Roma. Relativamente a quella esperienza i due viaggiatori di Sansepolcro hanno anche scritto un libro, “Via Stalingrado”, dallo storico nome della città di Volgograd, che al leader sovietico fu intitolata dal 1925 al 1961.
Il nuovo viaggio in Russia ha preso il via da Sansepolcro nel tardo pomeriggio di venerdì 15 giugno. Nella serata successiva, dopo una breve visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, la lunghissima prima tappa (1800 km) si è conclusa nella città ucraina di Novovolins’k. Qui l’equipaggio è attualmente ospite dei familiari di alcuni dei numerosi ucraini provenienti da questo luogo che vivono in Valtiberina.
Il veicolo utilizzato è proprio la storica Fiat Marea del ’99 a gpl, già protagonista di moltissime avventure, tra cui la stessa “Torino-Pechino” del 2008. L’auto, anche in questa occasione, è stipata di abiti invernali, ancora frutto della grande risposta della gente alla raccolta della volta precedente. Il caricò verrà consegnato alla casa-famiglia di Volgograd per essere utilizzato in vista delle rigidissime temperature che si riproporranno tra qualche mese. Per il caldo periodo estivo, invece, la Torino-Pechino fornirà alla città di Volgograd un volontario, che rimarrà sul posto a collaborare alle attività del centro.
L’ingresso in Russia, dopo alcune brevi tappe in Ucraina, è previsto intorno a mercoledì prossimo.