24 settembre 2018, Uralsk (24 km, tot. 29.155)
di Guido Guerrini
La vodka di Sergej condiziona il mio sonno che non mi permette di trascorrere una notte tranquilla. Nella mattinata di Uralsk, corrispondente alle prime ore del mattino a Kazan, arriva la telefonata che potrebbe cambiare i programmi di viaggio, ma anche di una vita intera. Il ricovero di Olga in ospedale è dovuto ai sintomi del parto. Sembra che il centounesimo giorno di viaggio sia quello buono. Come accennato nei diari precedenti, il sistema sanitario russo ha regole molto diverse da quello italiano o da quelli dei telefilm americani. Una volta che il paziente entra in ospedale non c’è il medico che esce e ti aggiorna. Questo significa che avrò notizie solo a parto avvenuto e direttamente dalla partoriente attraverso i normali sistemi di comunicazione. Ripartire per tornare a Kazan sarebbe inutile e di conseguenza stabilisco che diventerò padre in una città del Kazakistan dove non avrei mai pensato di essere nella mia vita, soprattutto in un momento come questo. Le ore precedenti al ricovero avevano evidenziato alcune problematiche che non possono trasmettere la tranquillità che le cose fileranno nel modo più sereno. Con questo clima inizio la mia giornata più lunga in quel di Uralsk. Oltre al silenzioso Bruno, l’unico punto di appoggio è il ristorante di Sergej dove a bordo di un taxi mi trasferisco all’ora del pranzo. Proprio il titolare e la cuoca Tanja sono gli unici amici. Li chiamo amici anche se li ho conosciuti 24 ore prima. Solo loro in questa città di trecentomila abitanti potranno
essere un punto di riferimento visto che la sera precedente avevamo parlato a lungo proprio di questa eventualità. Non arrivando comunicazioni dalla Russia la mia preoccupazione aumenta. I due kazaki si impegnano nel confortarmi, arrivando a propormi un salto nella non lontana moschea o se preferisco nella chiesa ortodossa. Pur rispettando tutti i culti non me la sento di ricorrere a questo sistema e scelgo un luogo laico dove concentrare le mie speranze. Non lontano dalla trattoria di Sergej c’è l’enorme memoriale delle vittime della seconda guerra mondiale, una delle poche cose
sovietiche rimaste ad Uralsk. Il memoriale è anche un balcone sul fiume Ural e quindi sulla vicinissima Asia. Qui trascorro del tempo provando a recuperare serenità. Saluto Tanja e Sergej promettendo notizie appena ne avrò. Rientrato nell’appartamento 47 della casa 17 della quarta microregione, ubicato nella parte orientale della città, entro nella stanza meno nobile dei 40 metri quadri che mi ospitano e squilla il telefono. È Olga che chiama e questo mi fa ben sperare. Ascolto le parole “3300 grammi per 51 centimetri” pronunciate in lingua russa e sento le urla di disperazione, uguali in tutto il mondo, di chi fino a
pochi minuti prima si godeva il caldo della pancia della madre. Sono le ore 16 in Kazakistan (le 14 a Kazan e le 13 in Italia), e quaranta minuti prima ero diventato padre di una bambina che avrà un doppio passaporto e che potrà viaggiare in tutto il mondo quasi senza visti, al contrario di sua madre e suo padre che anche per concepirla hanno dovuto avere un visto nel passaporto. Le
complicazioni pre e post parto costringono Olga a riposare e nella frenesia della comunicazione non mi conferma il nome che è stato scelto per la piccola, dato che ne avevamo concordati tre e lo avrebbe scelto lei al momento in cui avrebbe visto la bambina. Non conosco ancora il nome di mia figlia, ma so che posso festeggiare la nascita di colei che tre ore dopo sarà chiamata Alisa, come la protagonista di un noto telefilm sovietico, “Ospiti dal futuro”, che piace molto sia a sua madre che a suo padre. Il primo giorno di Alisa abbiamo deciso di godercelo in privato e la notizia circola solo tra i nostri stretti familiari con alcune piccole eccezioni, come Sergej, Tanja e gli altri del ristorante. Proprio con loro decido di passare la serata e corro in un supermercato a cercare dei vini e spumanti italiani riuscendo al terzo tentativo a trovare anche qualcosa di toscano. Mentre Olga si gode il riposo e la nostra bambina, per me è arrivato il momento di festeggiare come il copione prevede per ogni nuovo padre. Tutti gli amici che la sera prima erano al compleanno di Sergej si ritrovano una seconda volta per onorare Alisa e, terminati il vino e lo spumante, torna in campo la vodka kazaka, per fortuna accompagnata da qualche chilo di ottimo plov. Al tavolo si aggiungono altre persone nuove e tra le donne presenti conto almeno tre Olga, forse un avvertimento subliminale. A turno ognuno propone un brindisi che non sempre comprendo, visto che alcuni sono pronunciati in kazako. Sono comunque certo che le parole ascoltate siano tutte ben auguranti. Alcuni dei presenti hanno anche comprato un piccolo regalo per la figlia. Sono felice che questa serata lontano da Kazan e dall’Italia si sia rivelata foriera di cose belle e non triste come potevo immaginare al momento in cui sono stato costretto ad allontanarmi dalla Russia a causa dei noti problemi che la burocrazia ci ha regalato.
Come era ampiamente prevedibile, per la seconda sera consecutiva il Toyota Hilux rimarrà nel parcheggio del ristorante e il ritorno nella casa di Uralsk, alle 2 della notte, avviene di nuovo con un sicuro taxi.
Il giorno in cui termina il tempo della gravidanza di Olga coincide con l’inizio di serie preoccupazioni di non riuscire a vedere la nascita della bambina da parte di Guido. Il visto della durata complessiva di 90 giorni, senza ulteriori uscite dalla Russia terminerebbe il 29 settembre. Considerato che la Torino-Pechino dovrebbe partecipare ad un importante evento a San Pietroburgo nei primi giorni di ottobre, questo costringerebbe ad uscire dalla Russia il 28 settembre via Lettonia per rientrare il giorno stesso dell’evento dalla frontiera estone distante da San Pietroburgo appena 160 chilometri. A questo aggiungiamo che da Kazan, per arrivare al confine lettone, occorrono circa due giorni. Di fatto Guido dovrebbe lasciare la città il 26 settembre e il rischio di non assistere al parto o di non vedere la bambina è elevato.
giorni prima. Doppio spostamento di lancetta dell’orologio in avanti e arrivo in frontiera a sole quattro ore dalla mezzanotte. Le infinite auto di uzbeki stracarichi di ogni bene possibile spaventa Guido e Bruno, che tuttavia scoprono che in modo leggermente discriminatorio sono state allestite più file dove russi, kazaki e forse altre nazionalità protette passano prima. Così è, ed in appena un’ora il sospirato timbro russo è apposto sul passaporto di Guido. Il tempo della burocrazia si ferma e restano sette giorni da usare nel mondo migliore in attesa del parto di Olga. Circa cinquanta chilometri di guida notturna ed eccoci nella città dove passa il fiume Ural, storico confine tra Europa e Asia. Urge trovare una sistemazione e dei pasti caldi, per questo la scelta ricade di nuovo sull’Hotel Kurmet dove alloggiammo in precedenza e dove si può mangiare a qualsiasi ora del giorno o della notte. Qui finisce la giornata, dopo una passeggiata digestiva nelle climaticamente tiepide strade di Uralsk, e dopo avere visto la partita del mondiale di pallavolo tra Italia e Russia.
Il centesimo giorno di viaggio inizia con il più tardivo possibile check out dall’albergo per aumentare le ore di riposo. A seguire la riattivazione della scheda telefonica kazaka comprata in precedenza. Quindi in vista di una permanenza di più giorni ecco un bel giretto in auto per tutta la città per valutare alberghi, monumenti e ristoranti e capire come trascorrere il tempo. Nel corso della passeggiata automobilistica varchiamo il ponte che superando l’Ural riporta la Torino-Pechino per circa mezz’ora nel continente asiatico. Interessante la toponomastica della città dove tra tutti i nomi spicca il principale viale “Eurasia”. Nel primo pomeriggio decidiamo di trovare un luogo per pranzare tra i piccoli ristoranti situati nella sponda europea del fiume. Molti sono chiusi essendo già terminato il periodo estivo. Non lontano dal fiume e vicino alla 
giorno per Guido e Bruno e ci conduce personalmente ad una vecchissima stazione di metano che nemmeno gli amici di Ecomotori conoscevano. A circa dieci chilometri da Uralsk sorge un incredibile cimelio dell’Unione Sovietica. La stazione di metano risale agli anni ‘70 e in tutti i macchinari resiste la scritta “sdelano v CCCP” (made in URSS), con anni di produzione dei pezzi attorno all’inizio degli anni ‘80, ovvero in occasione dell’ultimo ammodernamento. Peculiare il fatto che l’unico rifornimento possibile si basa sul dichiarare la capienza delle bombole e pagare per intero senza la possibilità di far presente che a bordo potrebbe esserci, come nel nostro caso, un cospicuo residuo di gas. Paghiamo più del solito, ma siamo felici dell’esperienza museale vissuta. La giornata si conclude con un’altra, più solenne, cena per il compleanno di Sergej. Stavolta sono molti i commensali e la presenza di un “italiano vero” al tavolo porta come sempre a discutere di Al Bano, Toto Cutugno e del Commissario Cattani. Si susseguono i brindisi di compleanno e di auguri per il parto di Olga e la prossima paternità di Guido. A questo punto possiamo affermare di avere degli amici ad Uralsk e la paura di affrontare i brindisi in occasione della nascita della figlia senza compagnia lascia spazio all’ipotesi di brindare assieme a dei nuovi conoscenti. I fiumi di vodka costringono Guido a lasciare Bruno e l’auto nel parcheggio della trattoria e rientrare al nuovo appartamento in taxi.
targa europea. Alla fine il milite molla la presa e dopo oltre due mesi la Torino-Pechino mantiene la verginità in fatto di multe nelle strade centroasiatiche. Risolto con successo anche questo piccolo inghippo ci lanciamo nell’ottima strada che, costeggiando il Mar Caspio, conduce alla città petrolifera di Atyrau. La giornata di oggi è caratterizzata dal raggiungimento della minore altitudine dell’intero viaggio. Abbiamo toccato i meno venti metri sul livello del mare essendo il Caspio situato in una depressione. In un villaggio prima di Atyrau riusciamo a pranzare, mentre sempre
nello stesso posto troviamo chiusa una stazione di metano che ci era stata segnalata in precedenza. Inutile la nostra attesa e il tentativo di chiedere informazioni alle stazioni di benzina circostanti. I gestori del ristorante dove abbiamo consumato il pranzo ci ricordano che oggi è la “Festa della Costituzione” e che probabilmente alcune attività sono chiuse per questo. Anche per cambiare i nostri soldi siamo costretti ad usufruire dei servigi di una anziana ed esperta signora che gestisce un piccolo negozio di generi alimentari, che pretende una commissione di circa tre dollari.
Ci consoliamo con l’ottima qualità del fondo stradale che ci fa sperare di riuscire a recuperare il ritardo accumulato ieri dopo la dogana uzbeka. Si percorrono circa cento chilometri ogni ora nonostante alcune brusche frenate per evitare di impattare contro cammelli e dromedari che affollano i bordi della strada. Il sud del Kazakistan è arido e l’unico colore differente dal marrone della sabbia desertica è il bianco del fondo dei laghi salati che in questa stagione sono asciutti. Da dopo Atyrau la strada risale il corso del fiume Ural, il confine geografico tra Asia ed Europa. L’Ural colora di verde il paesaggio creando una cerniera di vita che interrompe i deserti circostanti. Nel piccolo paese di Inderbor avviene lo storico passaggio del fiume. Oltrepassato il ponte siamo di nuovo in
Europa dopo cinquantasette giorni di Asia. Pur non essendo collegato al passaggio da un continente all’altro, notiamo come avvenga un interessante cambio nella vegetazione che ci circonda. All’arido terreno della steppa desertica si sostituisce un verde sempre più intenso. Finisce la parte desertica del nostro viaggio per tornare ad una situazione di normalità, o perlomeno di similitudine con i panorami a cui siamo più abituati. Con le prime luci della sera entriamo finalmente ad Uralsk, in kazako Oral. Abbiamo percorso oltre novecento chilometri e siamo ad appena seicento da Kazan dove da domani la
Torino-Pechino dovrebbe sostare. Uralsk non è la prima volta che diventa sede di tappa di un nostro viaggio. La cittadina è attraversata dal fiume Ural e molte cose sono legate alla particolarità di essere a cavallo tra i due continenti. Non mancano le insegne, anche bizzarre, legate al tema dell’Eurasia.
La prima parte della strada di oggi non è pessima, un asfalto non sempre ottimo ma senza buche o avvallamenti. Attorno a noi la steppa kazaka che caratterizzerà la nostra giornata. Oltre ai pochi e malmessi villaggi, possiamo ammirare numerosi cimiteri islamici con tombe di famiglia che sembrano palazzi in stile barocco e vecchi sovkoz abbandonati. In una deviazione stradale attraversiamo un piccolo villaggio abitato ma in completa decadenza. All’inizio del paesino, un cartellone con il Presidente Nuzarbajev ci ricorda il “Piano 2050” che porterà prosperità all’intero Kazakistan. Per ora basterebbe un poco di asfalto per non uccidere di polvere gli abitanti di questo gruppo di case.
Dopo la pausa pranzo avvenuta in un luogo sperduto e senza nome, riprendiamo il viaggio con la strada in netto peggioramento. Arrivando dalle piste mongole tutto sommato l’asfalto deforme kazako ci sembra una cosa bella. Alle sei del pomeriggio dobbiamo decidere se fermarci o percorrere altri duecento chilometri prima della prossima città dove poter alloggiare. Andiamo avanti con la consapevolezza che finiremo di viaggiare dopo il tramonto. La luce nelle ultime ore del giorno, qui nella steppa, è molto bella. Purtroppo con la scomparsa del sole la strada peggiora notevolmente e dopo aver centrato alcune buche senza danni apparenti, siamo costretti
a scendere ad una andatura attorno ai trenta orari. Tanto per cambiare gli ultimi chilometri diventano un calvario a cui fatichiamo ad abituarci. Finalmente arriviamo ad Usharal, pochi chilometri fuori dal nostro itinerario. Qui, scovato via internet, c’è il mediocre hotel Kabanbay che ci ospiterà per la notte. Nel parcheggio del ristorante a fianco della struttura ci sono una Marbella e una Fiat Uno con targa italiana con tre italiani e uno svizzero ticinese. Si tratta di due uomini, Fabio e Marco, e due donne, Giuditta e Paola, impegnati nel Mongol Rally, con cui abbiamo la possibilità di trascorrere la serata scambiando finalmente due chiacchiere nella lingua di Dante. Vengono da Almaty e quindi siamo reciprocamente utili per scambiarci informazioni sulle rispettive strade da fare. Più tardi del solito saliamo nelle nostra camere per dormire e ricaricare le pile per la giornata di domani.
