Giorno 55 – Verde Mongolia

9 agosto 2018

Team1: Erofej Pavlovic-Arej (km. 975) – Tot. 18.171

La sveglia del telefono suona ancora nel fuso orario di Vladivostok, quindi un’ora prima. Ci accorgiamo della cosa quando abbiamo già portato le valigie in auto e quindi di fatto partiamo in anticipo rispetto al programma. Ieri sera avevamo deciso di regalarci un’oretta in più di sonno, ma nei fatti questo non è avvenuto. Lasciamo lo sterrato che collega Erofej Pavlovich con la “Avtodoroga P-297” e riprendiamo la marcia verso ovest. Il tratto che affrontiamo oggi è quello che alcuni siti di viaggio inglesi chiamano “Zilov Gap”. Come già raccontato in precedenza fino a quindici anni fa questa parte di strada non esisteva e l’Unione Sovietica prima e la Russia poi erano divise in due. Unica cerniera era la Ferrovia Transiberiana. Nel 1995, un gruppo di motociclisti americani che si faceva chiamare “Moto Enduro”, capitanato da Austin Vince, protagonista di numerose trasmissioni Tv anglosassoni dedicate ai viaggi estremi, fu protagonista  di una singolare avventura. Nel loro giro del mondo in moto decisero che sarebbero riusciti a superare lo Zilov Gap. All’epoca la parte non esistente si limitava ai circa 600 chilometri da Chernyshevsk a Skovorodino. I bikers erano convinti che usando alcune stradine di manutenzione della ferrovia e altri collegamenti nei campi tra i vari villaggi sarebbero potuti in qualche modo passare. Il ragionamento in parte era giusto, ma restavano i circa trenta guadi, di cui almeno due molto più profondi dell’altezza di un uomo, e tutte le zone di fitta vegetazione e altre eternamente acquitrinose e paludose. Il ritmo era di meno di tre chilometri al giorno. La leggenda narra che dopo circa 300 chilometri le moto fossero ormai inutilizzabili e che grazie ai lavoratori di una miniera furono rimesse in sesto. Altri cento chilometri, e i nostri eroi rinunciarono all’impresa caricando le moto sul treno. Peccato che in realtà mancassero solo un paio di valli e poi avrebbero potuto seguire il fiume che passa proprio da Erofej Pavlovic e da lì raggiungere facilmente la strada vera a Skovorodino. Va precisato che la P-297 percorre 2165 chilometri completamente nuovi, evitando di sovrapporsi ai tratti di strada precedentemente esistenti, anzi spesso allontanandosi molto dal precedente percorso.

Nel frattempo i due team della Torino-Pechino riescono a sentirsi telefonicamente e organizzare l’incontro al confine russo-mongolo che avverrà domani tardo pomeriggio. Il fatto che Andrea e Claudia arriveranno in treno a Sükhbaatar definisce l’ultimo dubbio stradale di Guido e Bruno, ovvero da quale confine entrare in Mongolia. La scelta di fatto cade su quello di Kjachta, già attraversato nel viaggio del 2008 e che permette di percorrere molti chilometri in Russia su strada migliore delle piste mongole. Queste ultime non mancheranno di essere protagoniste della parte di viaggio successiva.

In tutte le poche stazioni di rifornimento presenti ci sono file molto lunghe visto che molti automobilisti non possono aspettare quelle successive a cento o duecento chilometri di distanza. Questo fatto ci fa apprezzare ancora di più la presenza del diesel-metano che ci permette di sostare per rifornirci di gasolio ogni 1400-15000 chilometri invece dei consueti 700-800 che il nostro veicolo senza metano avrebbe come autonomia.

La nota di colore più interessante di oggi è il verde imperante in ogni valle che attraversiamo e che caratterizzerà i prossimi giorni in Mongolia. Del resto proprio il verde dei boschi, dei campi, oppure dei pascoli è il colore che domina nel paese mongolo. Durante il viaggio di andata la pioggia e la nebbia disturbarono notevolmente la possibilità di apprezzare il paesaggio, ma oggi il sole e un cielo magnificamente azzuro ci regalano paesaggi spettacolari. Bruno più volte chiede e ottiene il permesso di fare piccole passeggiate nei verdi prati che circondano la strada.

Tra i vari caffè Rosneft e il pranzo a Chernyshevsk, a metà pomeriggio gli oltre 2100 chilometri della P-297 sono finalmente terminati con l’ingresso a Cita e le relative foto commemorative. Un brutto episodio accade nella specie di tangenziale che bypassa la città. In una zona transennata per impedire ai pedoni di invadere la carreggiata riservata alle auto, una signora anziana viene centrata da un motociclista. Va peggio alla signora che termina la propria vita sull’asfalto della tangenziale di Cita. Si tratta del primo incidente mortale a cui assistiamo dopo averne osservati almeno altri quattro dove non c’erano morti e neppure feriti gravi. Il fatto ci turba e ci fa ricordare l’importanza della prudenza in ogni situazione.

Forse è proprio per prudenza che il viaggio di oggi si ferma ad Arej, circa 230 chilometri dopo Cita e meno di 100 dall’altra città, Chilok, che poteva essere l’obiettivo di giornata. I chilometri alla frontiera di domani sono circa cinquecento, percorribili senza problemi per consentire il passaggio del confine nel pomeriggio. L’alloggio nel piccolo albergo lungo la strada non è certo il migliore di quelli dove siamo capitati, idem per il kafé del piano terra, ma la notte incombe e il numero elevato di animali vaganti incontrati nell’ultimo chilometro, in particolare mucche e cavalli, fa propendere per evitare inutili rischi.

Team 2: arrivo a Ulanbator
Il risveglio di Andrea e Claudia all’alba è reso lieto dal panorama fiabesco del deserto del Gobi che scorre sotto le rotaie del treno: mandrie di mucche, cavalli allo stato brado e le yurte, tipiche tende dei nomadi mongoli.
Sono le 9:30 quando il treno entra nella stazione di Ulanbator, molto affollata di gente e mercanzie varie. Dopo un breve confronto telefonico con il capospedizione Guido il team2, considerata positiva l’esperienza dell’appena trascorsa trasferta di 14 ore, prontamente acquista due ulteriori biglietti per raggiungere l’indomani la città di Sükhbaatar, meta definita per il ricongiungimento con il team1.
La giornata ad Ulanbator è dedicata al riposo ed alla visita dei principali siti della città tra cui il tempio di Gandan dove è custodita una imponente statua di Budda alta ben 26,5 metri.
Per la sosta Andrea e Claudia hanno scelto Wonder Mongolia, una graziosa guesthouse nei pressi del centro cittadino.
Ulanbator si conferma una capitale, come dieci anni fa, proiettata al turismo ed agli investimenti esteri. Tanti sono infatti i turisti occidentali incontrati in centro città.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Per la prima volta nella storia di Erofej Pavlovic due turisti, Guido e Bruno, tornano appositamente per dormire e mangiare in questa non ridente cittadina.

Equipaggio del giorno:

Team 1: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Team 2: Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio

Giorno 33 – Il metano finisce con l’ennesimo record

18 luglio 2018, Ulan Udé-Chita (km 667) – Tot. 11.554

Negli appartamenti il tormentone mattutino è se l’acqua ci sia oppure no, mentre negli alberghi il rituale si compie attorno alla registrazione del visto, noto adempimento burocratico che dobbiamo fare ogni tot giorni. Ieri il receptionist ci aveva garantito che non avremmo avuto alcun problema, ed infatti questa mattina la registrazione non c’è. Siamo costretti ad insistere, anche in modo burbero, per venire a capo della situazione. Mentre aspettiamo che la registrazione si compia andiamo a fare qualche foto alla nostra auto nella piazza principale di Ulan Udé. Al nostro ritorno la registrazione è compiuta con le scuse del personale dell’albergo. Si parte verso Chita, altro luogo mitico soprattutto per coloro che sono appassionati di Risiko. Appena fuori Ulan Udé c’è un interessante bivio tra la Torino-Pechino 2018 e quella di dieci anni fa. Infatti la mitica Marea a gpl non andò verso Chita e l’oriente ma si diresse a sud verso la Mongolia. Oggi quel bivio è una naturale fonte di ricordi e della Mongolia ci limiteremo a vedere qualche targa automobilistica di passaggio. In realtà attorno alla strada tutto ricorda la terra di Gengis Khan, visto che oltre le faccie di origine asiatica, anche la toponomastica e alcune insegne di kafè e ristoranti ci ricordano le origini del popolo buriato. In un verdissimo vallone ci fermiamo a fare foto nei pressi di un piccolo tempio buddista, oltre che ammirare lo sconfinato panorama tutto attorno a noi. Il paesaggio è molto diverso da quello incontrato finora, visto che per tutto il giorno percorriamo salite e discese sempre attorniati da montagne. Come già detto, il paesaggio è dominato dal verde in ogni sua sfumatura, potenziato ancora di più dalla vasta presenza di acqua di fiumi, laghi, stagni e oggi pure attraverso rovesci di acqua.

Pochi chilometri dopo il confine amministrativo tra Buriazia e Transbajkalia, oltre a cambiare di nuovo l’ora e portarci a +7 dall’Italia, finisce il pieno di metano di Bratsk, che ci ha permesso di stabilire un nuovo record di percorrenza. I chilometri percorsi sono 1288,5, cifra mai raggiunta fino ad ora. E’ bene ricordare che siamo arrivati in Transbajkalia dopo circa 11.000 chilometri, anzi 17.000 se consideriamo anche il prologo fino a Lisbona per unire i due oceani. Il nostro Hilux con i suoi 160 litri di bombole di metano è arrivato fino a qui: probabilmente nessun veicolo simile nella storia ha potuto fare altrettanto!

Da adesso i restanti circa 3.000 chilometri per arrivare all’Oceano Pacifico saranno fatti usando il solo gasolio, un test comunque utile per comparare i consumi e il risparmio che si può avere con il diesel-metano. Il viaggio continua lentamente per i consueti “remont” (lavori in corso) che ci bloccano spesso in lunghe code. Oggi le parti in terra battuta dove avvengono i lavori sono trasformate in un mare di fanghiglia che ostacola ancora di più la marcia dell’auto. Gli ultimi chilometri sono caratterizzati dallo straripamento di molti piccoli torrenti che costeggiano la strada. Anche Chita è piena d’acqua, al punto di assomigliare a Venezia. Prendiamo una camere in una specie di bed and breakfast periferico. Incredibilmente, qui con noi c’è anche un motociclista spagnolo che abbiamo incontrato più volte lungo il percorso negli scorsi giorni. Le nostre strade presto si separeranno visto che lui si dirigerà verso Magadan nella Russia nord-orientale. La serata si conclude prima in un piccolo ristorante non lontano dall’albergo dove intratteniamo il personale raccontando il nostro viaggio, poi nel piazzale dello stesso locale, dove subiamo una truffa molto di moda da queste parti e soprattutto in Mongolia: mentre uscivamo dal parcheggio in retromarcia, un taxi in assoluto silenzio e soprattutto in modo volontario si avvicina per farsi leggermente urtare dal nostro veicolo. Ovviamente la peggio spetta al piccolo taxi, che rimedia una ammaccatura alla carrozzeria. Il taxista è assolutamente conciliante e comprensivo, oltre a chiederci 5.000 rubli per i danni. Ne avrà la metà e resterà comunque soddisfatto della cifra raccolta. Osservando le numerose tracce di episodi simili sul veicolo del taxista abbiamo la conferma della sua ricerca volontaria di collisione. L’ora tarda, il non cercare storie con la polizia e la voglia di non perdere tempo ci convincono a cedere alle richieste del simpatico individuo che ci regala numerose strette di mano per ringraziare.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Da oggi e per le prossime due settimane le comparazioni saranno più complesse visto che ci stiamo addentrando in luoghi completamente nuovi. In ogni caso oggi abbiamo notato la completa assenza della polizia nell’intero percorso, cosa che dieci anni fa non era neppure immaginabile.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale