Giorno 69 – Gita tagika

23 agosto 2018, Osh-Panjakent (616 km – tot. 24.731)

Fin dall’inizio della Torino-Pechino il Tagikistan era uno degli obiettivi del viaggio, visto che nel 2008 non riuscimmo a visitarlo. Il ritardo di cinque giorni con il quale siamo arrivati ad Osh non risulta essere l’unico problema. Il valico di confine che volevamo attraversare per entrare in Tagikistan risulta chiuso a non tagiki o kirghisi. Quello spettacolare della strada del Pamir è invece al momento sconsigliato dopo i recenti attacchi terroristi ai danni di turisti stranieri. Rimane quello di Kyzyl-Bel, una remota località della Kirghisia occidentale, in teoria non raggiungibile a causa di una enclave uzbeka nella quale passa la strada di collegamento. Bruciare il nostro unico visto di ingresso uzbeko per questa enclave non vale la pena. Da ieri sera è emersa una novità. Sembra esserci a nord dell’enclave uzbeka di Sokh un nuovo percorso alternativo. A dire il vero le poco precise mappe di Google indicano tre sconfinamenti in Uzbekistan e Tagikistan su questo percorso. Yandex, il “Google russo”, indica invece che tutta la nuova strada è all’interno della Kirghisia. Un ingegnere russo ospite nel nostro stesso albergo ci conferma l’esistenza della strada. Decidiamo di provare questa nuova e rischiosa esperienza. Partiamo dopo la colazione e qualche foto commemorativa della nostra presenza ad Osh. La prima parte del nostro cammino è all’interno dei soliti paesini trasformati in enormi bazar. Questo significa che gran parte del viaggio avviene a passo d’uomo. Un’anomalia al pedale della frizione che tende a rimanere bloccato in posizione attiva ci costringe ad una sosta da un gentilissimo meccanico che non vuole neppure farsi pagare per il ripristino del funzionamento del pedale. A parte i paesini e un tratto di quindici chilometri terribile a causa dei lavori di miglioramento del fondo stradale, il resto del viaggio scorre sulla nuova e confortevole strada che ci era stata segnalata. In effetti il percorso lambisce più volte i confini di stato e proprio per questo, a volte, fa delle curve davvero anomale per evitare sconfinamenti. Nessun rischio di finire nel lato sbagliato visto che blocchi di cemento e filo spinato sono praticamente ovunque. Chi ha disegnato i confini delle repubbliche sovietiche doveva non avere in simpatia il Kirghizistan. È evidente che tutte le zone fertili delle vallate che tocchiamo sono sotto la bandiera uzbeka, mentre le parti aride sono tutte per Bishkek. A proposito di enclavi uzbeke, possiamo notare nella zona dove il confine è più confuso una miriade di pozzi di petrolio. Questa ricchezza sicuramente non aiuta ad accordarsi sulle parti contese della linea di demarcazione.

Nessuna indicazione per trovare la stazione di frontiera che stiamo cercando. Alla fine chiediamo alla polizia che ci indica la giusta direzione. Le strutture doganali appaiono squallide e semiabbandonate. Nessuna fila in dogana e il cancello in ferro si apre solo per noi. Lato kirghiso molto veloce con solo la richiesta di denaro per la tassa ecologica. Paghiamo i circa 1000 sum (più o meno 13 euro) con quindici euro, dei quali non avremo mai il resto. Ottimo l’umore dei doganieri tagiki. Tutti sorridenti e simpatici mentre controllano l’auto, il visto e naturalmente anche qui una tassa ecologica di ben 25 dollari. Stavolta il resto ci viene dato in moneta locale dopo che avevamo usato una banconota da 50 verdoni. La qualità delle strade tagike è sorprendente: sono nastri d’asfalto impeccabili se non per il fatto che non si trova neppure un cartello. La polizia però è ovunque e come quella kirghisa non ferma mai gli stranieri. Sembra una decisione imposta dall’alto quella di non disturbare i turisti, esattamente l’opposto di quello che avveniva in passato. Noi però ci fermiamo volontariamente ad ogni posto di blocco per avere la conferma della direzione nella quale stiamo andando. Ad ogni sosta ci viene elargita una stretta di mano da entrambi i membri della pattuglia. Proviamo a consumare i nostri “somoni” tagiki presso un ristorante lungo la strada che porta a Dushanbe. Come al solito il suino Bruno, non amato dagli islamici, rimane in auto a mangiare le ghiande kirghise mentre Guido siede da solo al proprio tavolo. Un camionista e due altri viaggiatori invitano Guido a sedersi vicino a loro per raccontare il viaggio che sta facendo. I tagiki sono molto ospitali e tutto il cibo del tavolo viene diviso tra tutti i presenti. Il conto sarà pagato da loro in cambio di un piccolo passaggio di un chilometro al paese vicino per uno dei commensali. La penuria di cartelli continua e trovare la dogana di Nov-Bekobod per raggiungere l’Uzbekistan diventa una vera impresa. Alla fine arriviamo alla stazione di frontiera, ma il cancello per noi non si apre. Trattasi di dogana pedonale e se vogliamo passare in auto c’è un punto di passaggio a sessanta chilometri a nord-est, cosa che allungherebbe la strada per Samarcanda. Tra l’altro la strada che dovremmo percorrere è sterrata. Ci pensiamo un attimo e poi torniamo sulla ottima strada per Dushambe che porta anche all’altra dogana verso l’Uzbekistan. In questo tratto è previsto un piccolo valico montano di quasi 3.400 metri. La saggezza impone di fermarsi in un albergo e aspettare il mattino, ma con nostro dispiacere scopriamo che in Tagikistan, oltre ai cartelli stradali, mancano del tutto le strutture ricettive lungo le strade. Le prossime città con alberghi sono Panjakent o la capitale Dushanbe. Entrambe sono a circa duecento chilometri da noi. Si parte, consapevoli che faremo una lunga parte di strada, per fortuna ottima, con il buio. La salita verso il valico è molto diversa dalle asperità affrontate in Kirghizistan. Anche qui la strada sale con pendenze disumane e con pochissime curve sempre a largo raggio, ma il panorama è molto meno alpino. Si arriva ai tremila metri con grande facilità e quasi senza accorgersene. Come ieri si supera il valico all’interno di una lunga e fumosa galleria. Peccato che l’oscurità impedisca di dedicarci alle fotografie del paesaggio, ma visto che la discesa è senza parapetti su burroni che conducono direttamente all’inferno, forse è meglio non vedere… Sulla sinistra i massi che si staccano dalla montagna, sulla destra il nulla. Procedere a passo lento e in fila dietro ad altre macchine diventa una necessità per avere punti di riferimento nell’oscurità. Tornati a valle si raggiunge con massima tranquillità la cittadina di frontiera di Panjakent, dove dormiamo all’hotel Umarion su consiglio del camionista con cui avevamo mangiato a pranzo. Piccola cena in un locale vicino dove, come quasi ovunque, non si servono alcolici. La passeggiata serale avviene tra tanti manifesti improbabili del Presidente tagiko Emomali Rahmon, in carica ininterrotamente dal 1994 e protagonista di quasi tutte le immagini ammirate nelle centinaia di chilometri di strada percorsa oggi.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La Kirghisia ha costruito una bella rete stradale per saltare tutte le anomalie di confine che rendeva molto complesso il viaggio da un luogo all’altro.

– Il Tagikistan fa pagare continuamente piccoli pedaggi stradali, ma ha le strade di gran lunga migliori dell’ex Unione Sovietica.

– La polizia di queste due nazioni non ferma mai gli stranieri. Dieci anni fa era lo sport preferito.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 68 – Kirghisia “coast to coast”

22 agosto 2018, Bishkek-Osh (655 km. – tot. 24.115)

Partenza prima delle sette per fare in modo di arrivare ad Osh, dall’altra parte del Paese, prima che faccia buio. Nessun problema per uscire dal traffico cittadino visto che la maggior parte degli automobilisti sta entrando nella capitale mentre noi ne usciamo. Manca del tutto la segnaletica che ci possa aiutare a capire la direzione giusta e siamo costretti ad affidarci all’intuito e chiedere conferma ai passanti. Una volta fuori da Bishkek, dopo aver sbagliato almeno due volte strada, imbocchiamo quella giusta, come conferma il pedaggio di quasi cinque euro che ci viene chiesto per percorrere questa strada speciale. La particolarità di questo percorso è la presenza di due valichi montani di 3.300 metri e 3.200. La strada è aperta tutto l’anno ed è anche in buone condizioni! L’inizio del percorso è spettacolare, dato che si affrontano subito dei tratti in salita costante al 12%. Pochissimi i tornanti, piuttosto ci sono lunghe curve a largo raggio per favorire il traffico dei camion. Si risale prima la valle del fiume Kara-Balta e poi quella di un suo affluente, l’Abla. Ogni cambio di direzione corrisponde ad un nuovo panorama, ma la parte più spettacolare è il passaggio sopra le nuvole. Il finale è costituito da una stretta galleria di tre chilometri completamente satura di smog. Sull’altro versante scopriamo numerosi villaggi fatti delle tipiche tende, le yurte, i cui abitanti, oltre a controllare i pascoli, gestiscono attività di vendita e degustazione di prodotti tipici, ristorantini e addirittura alberghi nelle tende. Il sole illumina le vallate e regala colori molto vivaci. Se nella prima salita predominava il rosso della pietra, ora è il verde dei pascoli a fare da cornice.

Nella cima della seconda salita incontriamo Valentina, una ciclista italiana che ci chiama riconoscendo la targa familiare dell’Hilux. È di origine trentina e sta tornando in Italia direttamente dal Vietnam. Percorre in circa due anni l’intera Eurasia in bicicletta, quasi sempre in solitaria. Ci fermiamo alcuni minuti a parlare delle rispettive avventure, ma la sua è davvero più ecologica della nostra! Sia per Valentina che per noi comincia una lunga discesa di oltre cinquanta chilometri che ci riporta ad altezze moderate, con temperature che ritornano sopra i 30°. La seconda parte di strada è meno bella dal punto di vista naturalistico, ma interessante da quello energetico. Una serie di centrali idroelettriche sul fiume Naryn creano alcuni laghi artificiali di un azzurro molto forte a contrasto con il rosso e il marrone delle rocce attorno. La strada sale e scende attorno ai laghi e alle dighe fino al secondo punto di pedaggio, dove paghiamo altri quasi cinque euro. Impressionante vedere la differenza tra le zone verdissime nei pressi dell’acqua e tutto il resto decisamente arido.

Lasciato il fiume, la strada compie una serie di deviazioni innaturali a causa del confine con l’Uzbekistan, che costeggia l’asfalto. Siamo nella Valle di Fergana, uno dei puzzle geopolitici più complessi al mondo. Ai tempi dell’Unione Sovietica la strada entrava e usciva più volte dai due stati federati senza creare problemi a nessuno. Oggi per raggiungere Osh, a causa del confine, ci sono tre modifiche del percorso che allungano il cammino di circa centoventi chilometri. Assai curioso vedere come i fatti del 1991 abbiano diviso queste popolazioni lasciando in Kirghizistan una cospicua minoranza uzbeka e viceversa. A complicare il quadro ci sono anche numerose comunità tagike con lo stesso problema e separate dai connazionali da questo folle confine nel quale, come vedremo domani, ci sono anche numerose enclavi. Non è un caso che nella uzbeka Andjan e nella kirghisa Osh negli scorsi anni siano scoppiate rivolte che hanno portato a diversi sanguinosi scontri tra le due popolazioni. Il confine tra Kirghizistan e Uzbekistan è stato ufficialmente riaperto da pochi mesi e il nuovo presidente uzbeko sta cercando di accordarsi con i kirghisi per la definizione del pazzo confine.

L’ultima parte del viaggio ci vede attraversare una miriade di paesini pericolosissimi dove bambini, animali, guidatori indisciplinati mettono a dura prova la nostra pazienza. Procediamo con cautela anche a causa del fatto che qui non esiste l’assicurazione per l’auto e quindi ogni eventuale danno procurato o subito potrebbe generare grossi problemi. Poco prima di Osh superiamo il Kara-Darya, che pochi chilometri a valle, unendosi al già citato Naryn, crea il Syr-Darya, uno degli emissari del lago d’Aral. Il cospicuo prelievo d’acqua per le coltivazioni di cotone in Uzbekistan impedisce in molte annate al fiume di raggiungere ciò che resta del lago, contribuendo ad un disastro ambientale in atto da decenni.

Dopo tredici ore di viaggio, praticamente al tramonto, siamo finalmente ad Osh. Il traffico cittadino è quello tipico di una città araba con grande caos lungo le strade strapiene di negozi di ogni genere. Siamo alloggiati all’hotel Osh-Nuru, un residuo di epoca sovietica elegante e centrale. Infatti raggiungere a piedi la piazza principale con la relativa statua di Lenin è questione di pochi minuti. Questa sera ceniamo in un locale alla moda dove dopo le 22 comincia anche uno scatenato ballo tra i clienti. Il piatto tipico di Osh è la “samsa”, un impasto a forma triangolare con dentro di tutto. La proviamo ancora una volta con gusto pur conoscendo già di cosa si tratta.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– È stato riaperto il confine tra Uzbekistan e Kirghizistan. Se questo non fosse avvenuto alcuni mesi fa, adesso saremmo in un vicolo cieco dal quale sarebbe difficile uscire.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Giorno 67 – Festa a Biškek

21 agosto 2018, Bishkek (20 km, tot. 23.460)

La mattinata viene dedicata al turismo nella capitale kirghisa. Approfittando del deserto urbano motivato dalla ricorrenza islamica della “Festa del Sacrificio”, in centro non c’è quasi anima viva. Scattiamo foto nelle principali attrazioni cittadine che si concentrano essenzialmente nei pressi di Piazza Ala-Too. Al contrario di quello che succede in altre repubbliche post sovietiche, qui sopravvive una grande statua di Lenin. Riusciamo anche a procurarci una carta telefonica kirghisa, delle cartoline con francobolli alla posta centrale e una mappa della città e della nazione prodotta in occasione dei prossimi campionati mondiali di giochi nomadi che si svolgeranno in Kirghizistan. Una delle cose che più colpisce è la presenza di numerosi fiori ottimamente curati.

Passaggio dall’albergo e poi percorriamo i circa dieci chilometri che ci separano dalla stazione del metano Gazprom dove oggi saremo ospiti di un evento da loro organizzato. Lungo la strada ci sono numerosi negozi che si occupano di cambio di olio per auto. È impressionante che ognuna di queste strutture abbia tutte le marche possibili sia in taniche che in fusti da centinaia di litri. Bishkek sembrerebbe la capitale mondiale dell’olio per motore! Anche per questo scegliamo di fermarci al negozio Castrol 219, fornito anche di olio Toyota. Qui conosciamo i simpatici Rasul e Bakut che si occupano di cambiare olio e filtro, quest’ultimo non richiesto ma regalato da loro, alla Toyota Hilux. Dopo 34.000 chilometri è arrivato il momento di intervenire. Durante le operazioni di manutenzione, arriva un furgone che scarica una preziosa merce per questa giornata: la pecora, per la quale è prevista una fine non ottima, considerato la già ricordata tipologia di festività odierna. Altre persone arrivano dalle attività dei dintorni per assistere a quello che sembra essere un evento eccitante. Veniamo invitati a partecipare, ma per rispetto del loro momento di preghiera restiamo defilati dalla scena principale. Bruno, essendo un suino, non è ammesso all’evento, ma per Guido è stato riservato un posto d’onore in prima fila perché l’ospite è sacro anche in queste occasioni. La scena del lavaggio del coltello e del successivo sgozzamento della pecora è davvero cruenta, anche se siamo sollevati nel vedere che l’animale muore all’istante. Un signore anziano che percepisce la non serenità di Guido nell’assistere all’evento, con la propria saggezza ricorda che quell’animale è nato per essere ucciso e mangiato. Se non fosse stato oggi, sarebbe successo domani. Per fortuna che il cambio di olio si conclude prima del sezionamento della povera bestia e così Guido evita di doverne mangiare una parte.

Poco più avanti, senza montone, si consuma un veloce pasto per non arrivare in ritardo dagli amici di Gazprom. Finalmente avviene l’incontro di cui abbiamo discusso in numerose chat in giro per l’Eurasia. Per Gazprom Kirghizistan sono presenti il responsabile Ruslanbek e i curatori delle pubbliche relazioni Alibek e Karimbek. Di fronte a un cartellone con le scritte degli sponsor locali facciamo numerose foto, video e anche difficili interviste in russo! Naturalmente non manca il rifornimento gratuito offerto dalla Gazprom locale. Come in ogni bella occasione l’evento si conclude alla tavola di un ristorante nei pressi del confine kazako. I piatti nazionali kirghisi sono a base di cavallo e non ci sottraiamo alla cosa. Si parla del viaggio e delle strategie di Gazprom in Kirghizistan. Non manca l’idea di realizzare in futuro un altro viaggio dedicato solo ai cinque paesi dell’Asia Centrale. Ritorniamo nella capitale dove non avevamo previsto di dormire una seconda notte, ma vista la stanchezza accumulata nei due pranzi non si può fare a meno di riprendere un stanza di albergo per riposare nel modo migliore in vista della difficile giornata in alta montagna che domani ci porterà ad Osh. Causa tutto esaurito migriamo in un’altra struttura dello stesso quartiere. Nel centro cittadino, che oggi vive un grande clima di festa, avviene una passeggiata propedeutica alla leggerissima cena di nuovo al Concorde, il locale nella piazza principale dove avevamo cenato anche ieri. Citiamo questo ristorante perché il personale di sala ci ha accolto per due sere con una gentilezza e amicizia davvero sopra ad ogni aspettativa. Ci chiedono una foto prima del saluto definitivo di questa sera. Con il numero incredibile di pasti consumati quest’oggi abbiamo senza ombra di dubbio onorato tutte le tradizioni legate alla festa musulmana a cui abbiamo di fatto preso parte.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– In Kirghizistan non c’erano stazioni di metano. Oggi ne possiamo trovare cinque.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale e gli amici di Gazprom Kirghizistan