Giorno 75 – Giornata karakalpaca

29 agosto 2018, Khiva-Moynaq (Lago d’Aral) – km. 524, tot. 26.149

Secondo e ultimo risveglio a Khiva. Dopo la colazione siamo in alcuni dei punti più caratteristici ed esterni alle mura per fotografare la nostra auto che nel giorno di ieri ha meritatamente riposato. Un gruppo di donne locali sente il desiderio di essere fotografata assieme a noi e alla Toyota Hilux, come del resto negli ultimi giorni molti bambini hanno manifestato la propria cordialità nei nostri confronti salutandoci con un “hello”.

Lasciamo definitivamente la bella città storica per dirigerci, dopo circa un’ora di viaggo, a Beruniy dove ad attenderci c’è di nuovo Gajrat con il quale avevamo condiviso l’ottimo pranzo di lunedì. Ci riforniamo di metano nella sua stazione, aperta negli ultimi anni grazie alla collaborazione con Fornovo. Sempre con il suo aiuto riusciamo, in un altro luogo di Beruniy, a fare un rabbocco di rarissimo gasolio per poter raggiungere il confine kazako senza problemi. Anche in questa occasione la qualità del gasolio lascia a desiderare, come del resto la pompa stessa apparentemente molto vecchia e semiabbandonata. Pure stavolta dobbiamo sorvolare e accettare la situazione visto che ora abbiamo la consapevolezza che con questi due pieni potremo arrivare al confine con la Russia.

La successiva meta di giornata è Nukus, capitale della Repubblica di Karakalpakstan, soggetto federato all’interno dello stato uzbeko. Qui pranziamo spendendo la modica cifra di poco più di un euro a testa. Nukus è una città abbastanza anonima e costruita nel corso del XX secolo con i classici palazzoni sovietici che almeno qui sono ornati e decorati con caratteristiche tipiche della cultura locale. In linea teorica non ci dovrebbe essere nulla di particolare che la possa differenziare dalle altre città delle stesse dimensioni costruite nel Novecento. In pratica qualcosa di particolare c’è: nel centro della molto pulita e ordinata città sorge un grande museo che ospita delle collezioni molto originali. Nel corso di molti anni il pittore e archeologo sovietico Igor Savickij ha raccolto  un elevato numero di opere di pittori avanguardisti sovietici, spesso artisti non in perfetta sintonia con le indicazioni politiche dello stato sovietico. Accumulò queste opere a Nukus dove le autorità locali permisero l’esposizione all’interno di un museo allestito per questo e per ospitare anche raccolte di oggetti legati alla storia del popolo e della cultura karacalpachi. Il risultato è che oggi ci sono persone che vengono a Nukus, davvero fuori da ogni itinerario turistico, appositamente per vedere questo luogo. Vedere, ma senza fotografare visto che gli zelanti addetti al museo chiedono quasi venti euro per il permesso di scattare foto e contestualmente obbligano alla consegna del cellulare. Il sequestro del telefono non ci era accaduto neppure nell’escursione in Corea del Nord a fine luglio. Molto interessanti le scene di vita quotidiana che avvengono nella piazza vicino al museo, con sposi che utilizzano questo scenario per le proprie foto di nozze e numerosi bambini che chiedono di fare selfie assieme ai turisti. Noi ribaltiamo la cosa e chiediamo agli entusiasti bambini karacalpaki di fare un selfie con noi. Loro accettano con grande gioia. A lato della piazza sventolano due enormi bandiere, quella uzbeka e quella karacalpaca, molto simili tra loro ma con una banda orizzontale di colore arancione invece che bianca per il soggetto politico locale. Una volta indipendente l’Uzbekistan faticò a rapportarsi con il Karakalpakastan. Sembra che nei primi anni ‘90 si sviluppò un movimento locale indipendentista, subito stroncato dalle autorità centrali. Di fatto l’aspetto somatico delle persone è di nuovo cambiato rispetto a Khiva o Samarcanda, stavolta prevale la somiglianza con i vicini kazaki.

Lasciamo Nukus e la sua gentilissima popolazione a metà pomeriggio per dirigersi verso Monyaq, circa ottanta chilometri al di fuori del nostro percorso, ma meta di grande interesse per il nostro viaggio. Qui arrivava la sponda del Lago di Aral prima della catastrofe ecologica che ha visto quello che fu il quarto lago più grande del mondo arretrare di centinaia di chilometri fino quasi a sparire. Appena usciti da Nukus attraversiamo per l’ultima volta l’Amu Darya, uno dei due emissari dell’Aral. Il fiume è praticamente asciutto visto il prelievo irriguo destinato alle piantagioni di cotone e frutta che rendono viva l’economia di questo territorio. La strada che ci porta a Monyak non è affatto una delle migliori percorse negli ultimi giorni, ma con qualche attenzione ci permette di arrivare nella cittadina un tempo lacustre poco prima del tramonto. La città ha ancora come simbolo un pesce, almeno questo si capisce dal grande monumento ad inizio paese. Entrando siamo rallentati da una marea di gente che si sta recando nello stadio centrale per una festa cittadina della quale non abbiamo compreso il significato. Forse una specie di patrono locale, ci sembra di capire dalla conversazione con una persona del luogo.

Prima del calare della notte facciamo in tempo a scorgere dall’alto il cimitero di barche che si trova nel pressi del vecchio porto. Decidiamo di rinviare la visita al mattino di domani vista l’ora non idonea per avventurarsi nel greto asciutto del lago. Ceniamo e dormiamo in delle yurte in riva all’ex lago. Curiosa l’iniziativa di una famiglia del luogo che ha costruito queste tende proprio attorno all’ex faro del porto e che riesce a noleggiarle ai pochi turisti che vengono a Monyak. Grazie alla quasi assenza di pubblica illuminazione possiamo godere di un cielo stellato stupendo arricchito anche dal sorgere della luna direttamente da quello che resta del lago.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Nella parte nord del lago di Aral le autorità kazake sono riuscite, grazie alla costruzione di una diga, a riportare il livello della parte settentrionale del lago molto vicino ai livelli del passato. Anche in Uzbekistan il nuovo presidente dimostra interesse sull’argomento, nonostante qualsiasi tipo di progetto per invertire la tendenza sia ancora in alto mare.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina

Giorno 73 – Nel deserto del Kizilkum tra uzbeki, kazaki e karakalpachi

27 agosto 2018, Bukhara-Khiva (442 km. – tot. 25.625)

Di primo mattino, dopo la consueta abbondante colazione, lasciamo il piacevole hotel Edem gentilmente messo a disposizione da Fornovo Uzbekistan. Partiamo alla volta di Khiva assieme a Nozimjon, ormai nostra personale guardia del corpo. La distanza che ci separa dalla città storica obiettivo di giornata è di poco superiore ai quattrocento chilometri, ma con una parte di strada dal fondo non eccellente. Khiva era nel mirino anche della Torino-Pechino 2008, ma a causa del conflitto russo-georgiano dell’agosto di quell’anno fummo costretti a cambiare itinerario e rinunciare a questa bella città.

I primi cento chilometri di strada sono, come previsto, davvero pessimi, con i famosi avvallamenti dovuti al peso dei mezzi pesanti. A seguire comincia una superstrada in cemento, con quattro corsie, nella quale si superano in massima tranquillità i cento km/h. Entriamo nella Repubblica di Karakalpakstan, un soggetto autonomo all’interno dell’Uzbekistan dove vivono ben oltre un milione di persone suddivise in tre gruppi etnici equivalenti: uzbeki, kazaki e karakalpachi. Le lingue ufficiali sono l’uzbeko e il karacalpaco. Il territorio di questa zona è caratterizzato dalla presenza del deserto del Kizilkum che divideva l’emirato di Bukhara da quello di Khiva. Le uniche macchie di verde sono in lontananza lungo il corso del fiume Amu-Darya, che in questo tratto divide l’Uzbekistan dal Turmenistan. Avvistiamo il fiume e il confine tra i due stati più volte durante il trasferimento. In un punto qualsiasi del deserto decidiamo di inoltrarci tra le piccole dune per fare alcune fotografie. Sorprendentemente scopriamo un mondo nuovo, fatto di pecore e pastori. Le povere pecore hanno davvero poco da mangiare e si gettano tra i pochi cespugli dove sopravvive qualcosa di verde. Suscitiamo la curiosità dei pastori che probabilmente si chiederanno cosa siamo venuti a fare dall’Italia fino a questo luogo ameno.

Alle 14 siamo finalmente presso la cittadina di Beruniy dove ci aspetta Gajrat, titolare della locale stazione di metano. Naturalmente non ci occupiamo solo di fotografare il sito e di rifornire l’auto, ma come di consueto andiamo a pranzare assieme e non sarà uno spuntino leggero. Sul nostro tavolo, in un ristorante della zona compare anche il pesce dell’Amu-Darya oltre alle consuete verdure, ottima frutta e carne. Siamo in un’oasi, ulteriormente alimentata dalle acque del fiume che, come già detto, non ha più le forze per sfociare nel Lago di Aral. Gajrat ci presenta la prestigiosa vodka “Karatau”, pluripremiata tra le migliori esistenti in Russia e dintorni. Il capospedizione Guido, essendo impegnato nella guida, non può che assaggiare un piccolissimo bicchiere del prezioso liquido. Gajrat si adegua e ci regala una cassa da sei bottiglie da bere quando non guidiamo… Ringraziamo per la gentilezza e spieghiamo che torneremo alla stazione di Beruniy per rifornire anche quando lasceremo Khiva.

Ultimi quaranta chilometri e finalmente raggiungiamo la storica città dove prendiamo possesso di una stanza presso il centralissimo Hotel Islambek. A questo punto la missione di accompagnamento di Nozimjon si conclude e con un comodo passaggio d’auto, a metano, della durata di sedici ore ritornerà a Tashkent nella notte. Doniamo al nostro più accanito fan la maglia ufficiale della Torino-Pechino 2018 e lui gradisce molto il pensiero. La difficoltà a visitare la città di Khiva emerge anche quest’anno visto che, a causa di tutti gli impegni della giornata, cominciamo il tour turistico praticamente alle 19.00. Facciamo in tempo a percepire la bellezza di questo luogo anche grazie all’escursione in una delle torri più alte e panoramiche della città, da cui possiamo godere del tramonto. Durante la cena consumata in un piccolo locale all’aperto del centro cittadino emergono tutti i nostri dubbi sul restare o meno un giorno in più a Khiva per potere avere il tempo di gustarsela con calma. Ci sono aspetti positivi in questa scelta e altri negativi che ci potrebbero costringere a fare velocemente le visite successive. Ci prendiamo alcune ore per approfondire l’argomento e comprendere con esattezza quale potrebbe essere la scelta migliore.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– La morte del già Presidente Karimov, di cui il 2 settembre ricorre il secondo anniversario, ha portato al potere il suo ex primo ministro Shavkat Mirziyoyev, il quale ha molto alleggerito il controllo della polizia all’interno del paese. Uno dei cambiamenti più evidenti è la cessazione dei numerosi posti di blocco lungo le strade che opprimevano gli automobilisti.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale, Alessandra Cenci, Giulia Messina, Nozimjon Shermuhamedov