Giorno 34 – P297, la strada che non c’è

19 luglio 2018, Chita-Erofej Pavlovic (816 km) – Tot. 12.370

Contrariamente ai programmi che prevedevano una levata mattutina molto audace, si ipotizzava di partire alle 5.00, decidiamo di lasciare il nostro alberghetto alla periferia di Chita alle 8.30.
La decisione tiene conto della stanchezza accumulata nella giornata di ieri e di qualche notizia confortante relativa alla strada che andremo a percorrere oggi, la P-297 “Amur”. Guardando qualsiasi vecchio atlante geografico si può notare come non esista alcuna strada che da Chita vada verso il Pacifico rimanendo all’interno dei confini russi. Allo stesso modo, se percorrete verso est la strada che da Chabarovsk costeggia il confine cinese, emerge che manca un collegamento stradale parallelo alla ferrovia Transiberiana. Questa strada che non c’è fu realizzata circa dieci anni fa, ma il completamento dell’asfalto e la percorribilità per normali auto è notizia molto più recente.
Coloro che hanno percorso la P-297 raccontano cose spesso contrastanti sullo stato della strada. Oggi è arrivato il momento di verificare chi abbia ragione.
Prima di prendere il via salutiamo Hugo Caneiro, il motociclista spagnolo che cercherà di raggiungere il Pacifico per la strada che conduce a Magadan. La pioggia di prima mattina non aiuta il suo cammino, ma del resto anche il suo programma di viaggio è molto intenso e non può permettersi grandi rallentamenti. Noi sì, visto che partiti da Chita imbocchiamo la strada che porta direttamente in Cina invece che quella per Vladivostok. Ci accorgiamo della cosa dopo 35 chilometri e fra tutto perdiamo una preziosa ora di viaggio.
Rifacciamo un nuovo rifornimento di gasolio poiché ci è stato consigliato di non affrontare la P-297 a serbatoio non pieno, vista la quasi assenza di stazioni di rifornimento. Se non avessimo fatto questo ulteriore acquisto di gasolio avremmo davvero avuto difficoltà visto che per quasi 600 chilometri non abbiamo trovato un altro rifornimento compatibile con il nostro motore. Forse avremmo fatto meglio a lasciare il metano di Bratsk per questa occasione, visto che sarebbe stato utile aumentare l’autonomia della nostra Hilux dai circa 700 chilometri che garantisce la versione diesel al quasi doppio del diesel-metano.
Lungo la strada continua il verde paesaggio con alternarsi di fiumi, laghi, valli, pianure e montagne. Tratti boscosi e altre parti di pianura fino a Chernyshevsk, dove pranziamo, visto che questo era l’ultimo paese raggiungibile con la vecchia strada riportata nella carte geografiche. Da qui comincia il nulla, visto che per circa cinquecento chilometri incontriamo un unico punto di ristoro, una stazione di servizio senza gasolio e un solo villaggio nei pressi della strada rimasto fuori dal tempo. Qui ci avventuriamo per le bianche strade, assaporando anche un terribile caffè nel bar locale, solo per capire come vive la gente in questo luogo dimenticato da tutti, tranne che dalla Ferrovia Transiberiana. Dopo oltre sei ore senza segnale telefonico ricominciano ad arrivare le notifiche dei messaggi ricevuti. Il confine tra la Transbajkalia e l’oblast dell’Amur rappresenta una sorta di ritorno alla civiltà. Infatti dopo circa trentacinque chilometri troviamo ad Erofej Pavlovich un albergo che ci era stato segnalato alla stazione di servizio senza gasolio 150 chilometri prima. Quasi piena di cinesi e molto cara, questa struttura lungo la strada, e quindi siamo costretti a spostarci dentro il villaggio che sorge attorno alla stazione della Transiberiana e che porta il nome dell’esploratore russo del XVII secolo Erofej Pavlovic Chabarov, cui è intitolata anche la città di Chabarovsk, nostra futura destinazione. Erofej Pavlovic non è certo il più turistico dei luoghi, ma dopo la quantità di desolazione affrontata oggi ci sembra una metropoli. Oltre all’albergo Udacha (Fortuna) riusciamo a soddisfare il nostro appetito alla mensa dei lavoratori della stazione ferroviaria. Seconda parte della serata in un interessante bar con palla specchiata in stile discoteca, dove si ritrovano alcuni dei giovani locali. Per coloro che non si possono permettere il bar c’è il piacevole passatempo di un sovrappasso ferroviario da dove guardare il passaggio dei numerosi treni in transito.
Ultimi esseri viventi incontrati nelle buie strade, prima di concederci un giusto riposo, sono tre mucche che sembrano avere smarrito la via di casa.
Anche oggi in oltre ottocento chilometri non abbiamo incontrato neppure una pattuglia della polizia. Temevamo questa giornata, soprattutto per l’impossibilità di soccorso o di comunicazione in caso di problemi nella zona non abitata attraversata. Per quanto riguarda la qualità delle spesso non piacevoli strade russe, va riconosciuto che la P-297 è stata una delle meno problematiche, come fondo stradale, affrontate finora.

Cosa è cambiato in dieci anni?

– Oggi è più facile del solito rispondere a questa domanda: c’è una grande strada che collega oriente e occidente che dieci anni fa non c’era, anzi era un cantiere a cielo aperto.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale

Giorno 33 – Il metano finisce con l’ennesimo record

18 luglio 2018, Ulan Udé-Chita (km 667) – Tot. 11.554

Negli appartamenti il tormentone mattutino è se l’acqua ci sia oppure no, mentre negli alberghi il rituale si compie attorno alla registrazione del visto, noto adempimento burocratico che dobbiamo fare ogni tot giorni. Ieri il receptionist ci aveva garantito che non avremmo avuto alcun problema, ed infatti questa mattina la registrazione non c’è. Siamo costretti ad insistere, anche in modo burbero, per venire a capo della situazione. Mentre aspettiamo che la registrazione si compia andiamo a fare qualche foto alla nostra auto nella piazza principale di Ulan Udé. Al nostro ritorno la registrazione è compiuta con le scuse del personale dell’albergo. Si parte verso Chita, altro luogo mitico soprattutto per coloro che sono appassionati di Risiko. Appena fuori Ulan Udé c’è un interessante bivio tra la Torino-Pechino 2018 e quella di dieci anni fa. Infatti la mitica Marea a gpl non andò verso Chita e l’oriente ma si diresse a sud verso la Mongolia. Oggi quel bivio è una naturale fonte di ricordi e della Mongolia ci limiteremo a vedere qualche targa automobilistica di passaggio. In realtà attorno alla strada tutto ricorda la terra di Gengis Khan, visto che oltre le faccie di origine asiatica, anche la toponomastica e alcune insegne di kafè e ristoranti ci ricordano le origini del popolo buriato. In un verdissimo vallone ci fermiamo a fare foto nei pressi di un piccolo tempio buddista, oltre che ammirare lo sconfinato panorama tutto attorno a noi. Il paesaggio è molto diverso da quello incontrato finora, visto che per tutto il giorno percorriamo salite e discese sempre attorniati da montagne. Come già detto, il paesaggio è dominato dal verde in ogni sua sfumatura, potenziato ancora di più dalla vasta presenza di acqua di fiumi, laghi, stagni e oggi pure attraverso rovesci di acqua.

Pochi chilometri dopo il confine amministrativo tra Buriazia e Transbajkalia, oltre a cambiare di nuovo l’ora e portarci a +7 dall’Italia, finisce il pieno di metano di Bratsk, che ci ha permesso di stabilire un nuovo record di percorrenza. I chilometri percorsi sono 1288,5, cifra mai raggiunta fino ad ora. E’ bene ricordare che siamo arrivati in Transbajkalia dopo circa 11.000 chilometri, anzi 17.000 se consideriamo anche il prologo fino a Lisbona per unire i due oceani. Il nostro Hilux con i suoi 160 litri di bombole di metano è arrivato fino a qui: probabilmente nessun veicolo simile nella storia ha potuto fare altrettanto!

Da adesso i restanti circa 3.000 chilometri per arrivare all’Oceano Pacifico saranno fatti usando il solo gasolio, un test comunque utile per comparare i consumi e il risparmio che si può avere con il diesel-metano. Il viaggio continua lentamente per i consueti “remont” (lavori in corso) che ci bloccano spesso in lunghe code. Oggi le parti in terra battuta dove avvengono i lavori sono trasformate in un mare di fanghiglia che ostacola ancora di più la marcia dell’auto. Gli ultimi chilometri sono caratterizzati dallo straripamento di molti piccoli torrenti che costeggiano la strada. Anche Chita è piena d’acqua, al punto di assomigliare a Venezia. Prendiamo una camere in una specie di bed and breakfast periferico. Incredibilmente, qui con noi c’è anche un motociclista spagnolo che abbiamo incontrato più volte lungo il percorso negli scorsi giorni. Le nostre strade presto si separeranno visto che lui si dirigerà verso Magadan nella Russia nord-orientale. La serata si conclude prima in un piccolo ristorante non lontano dall’albergo dove intratteniamo il personale raccontando il nostro viaggio, poi nel piazzale dello stesso locale, dove subiamo una truffa molto di moda da queste parti e soprattutto in Mongolia: mentre uscivamo dal parcheggio in retromarcia, un taxi in assoluto silenzio e soprattutto in modo volontario si avvicina per farsi leggermente urtare dal nostro veicolo. Ovviamente la peggio spetta al piccolo taxi, che rimedia una ammaccatura alla carrozzeria. Il taxista è assolutamente conciliante e comprensivo, oltre a chiederci 5.000 rubli per i danni. Ne avrà la metà e resterà comunque soddisfatto della cifra raccolta. Osservando le numerose tracce di episodi simili sul veicolo del taxista abbiamo la conferma della sua ricerca volontaria di collisione. L’ora tarda, il non cercare storie con la polizia e la voglia di non perdere tempo ci convincono a cedere alle richieste del simpatico individuo che ci regala numerose strette di mano per ringraziare.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Da oggi e per le prossime due settimane le comparazioni saranno più complesse visto che ci stiamo addentrando in luoghi completamente nuovi. In ogni caso oggi abbiamo notato la completa assenza della polizia nell’intero percorso, cosa che dieci anni fa non era neppure immaginabile.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale