Giorno 54 – Il bivio che porta nello spazio

8 agosto 2018

Team 1: Birobidzhan-Erofej Pavlovich (km. 1150) – Tot. 17.196

Nella notte è avvenuto un episodio curioso. Premettiamo sempre che Stalin regalò la terra promessa agli ebrei sovietici di fatto destinandoli in una zona paludosa infestata di zanzare lontana dall’Europa. Attorno alle 2.00 della notte Guido si sveglia infastidito da un forte ronzio. Accendendo la luce scopre una scena apocalittica, almeno 50 insetti vivacemente attivi attorno al lampadario nonostante le finestre con le zanzariere chiuse. Dopo la visita di controllo dell’addetto alla reception viene consegnata una camera nuova senza i fastidiosi accessori. Rimane il mistero su come siano arrivate in camera. Il giudizio sull’hotel permane positivo anche per la registrazione del visto fatta senza che l’avessimo richiesta.

Lasciamo Birobidzhan e riprendiamo la marcia verso ovest mantenendo un ritmo sostenuto fino alla penultima città dell’Oblast Autonomo Ebraico, Izvestkovyj, dove ci fermiamo a fare colazione e salutare Vasilij che nel frattempo non ha risolto il suo problema con la poligamia. Poco più avanti, recuperata un’ora di fuso orario rientrando nell’Oblast dell’Amur, incontriamo una serie di tedofori con in mano una torcia simile a quella delle olimpiadi. Si tratta della staffetta della pace Mosca-Vladivostok che la Torino-Pechino del 2008 incontrò dalle parti di Kemerovo. Non comprendiamo se questo evento si ripeta ogni anno, ogni cinque oppure ogni dieci, resta il fatto che è davvero una bella coincidenza rivivere la stessa scena di allora.

Presso la città di Novoburejskij, dove sorge un importante ponte e diga sul fiume che porta lo stesso nome della città, vi è un grande monumento dedicato al completamento della P-297, che ha permesso la circolazione stradale da Mosca a Vladivostok fino a quindici anni fa impossibile. Qui decidiamo di fermarci a fare una foto visto che nel viaggio di andata il piazzale era pieno di camion. Tra le moto parcheggiate ne notiamo una con targa italiana. Sono Alex e Roswitha da Bressanone, impegnati in un quasi giro del mondo per festeggiare la pensione. Sono partiti il primo maggio e vengono dall’Asia centrale dopo aver attraversato Turchia e Iran. Fotografiamo le nostre auto e moto assieme a circa 12.000 chilometri dalla strade italiane.

Poco più avanti avviene, all’economico kafe Tranzit, il pranzo di oggi. La scelta del luogo non è stata casuale. All’andata ci eravamo persi un luogo interessante che sorge molto vicino a dove stiamo mangiando, il nuovo “Cosmodromo Vostochnyj”. Ciolkovskij, città intitolata allo scienziato russo tra i pionieri della cosmonautica, è una zona chiusa ed ospita il nuovo cosmodromo russo che nel lungo periodo dovrebbe sostituire quello storico di Bajkonur per ridurre la dipendenza dalla base ex sovietica oggi in Kazakhstan. In passato, e con un nome diverso, questa era una base missilistica. Naturalmente è impossibile avvicinarsi e ci limitiamo a raggiungere il primo posto di blocco situato a 23 chilometri dalla base. Da segnalare che nessun cartello indica la presenza del luogo che è assolutamente nascosto nella fitta vegetazione della taiga circostante. L’emozione di lasciare per pochi metri la P-297 con la speranza di imbarcarsi per una missione spaziale finisce dopo qualche centinaio di metri davanti a severi cartelli di divieto scritti pure in inglese. Foto di rito con la nostra Hilux a diesel-metano che per il momento non partirà per lo spazio. L’unico modo per vedere da vicino la rampa di lancio è osservare uno dei due lati della nuova banconota da 2.000 rubli.

Ci fermiamo a fare rifornimento di gasolio alla vicina stazione Rosneft dove avviene un cordiale scambio di opinioni sulla nostra auto e sulla vivacità economica che il cosmodromo sta regalando al piccolo paesino. Le dipendenti della stazione di servizio rimangono perplesse per il fatto che Guido non ha la tessera delle loro stazioni di servizio, tra l’altro quelle dove più spesso beviamo il caffè prodotto da una macchina automatica di fabbricazione italiana. Scopriamo solo ora che ogni quattro caffè ci sarebbe in regalo una tazzina. Se lo avessimo saputo appena entrati in Russia a fine giugno oggi avremmo almeno una quindicina di tazzine “Rosneft”!

L’obiettivo di percorrere un massiccio numero di chilometri è appena rallentato dalla pioggia che si alterna a schiarite. Stesso concetto per la radio, quella russa, che funziona solo vicino alle cittadine. Purtroppo quella cinese funziona anche in aperta campagna. Le temperature sono molto più basse del solito e l’arrivo dopo una lunga cavalcata di 1150 chilometri a Erofej Pavlovich avviene senza la presenza del sole. Fortunatamente sappiamo già dove dobbiamo andare e torniamo a dormire al “Fortuna” dove alloggiammo in precedenza. La cena tardiva avviene nell’unico posto aperto notte e giorno, ovvero la mensa del personale della stazione ferroviaria dove con due euro si può fare un pasto completo. Fine serata passeggiando, come tutta la gente del posto, lungo i binari della Ferrovia Transiberiana, osservando come quasi nessun treno passeggeri fermi alla piccola stazione di Erofej Pavlovich.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?

– Nell’Oblast dell’Amur c’è un cosmodromo che prima non c’era. Scusate se è poco…

Team 2

Erenhot – Zamin Uud – treno per Ulanbator

È passata da poco l’alba quando Andrea e Claudia arrivano nella città di Erenhot, dove si fermeranno giusto il tempo per contrattare il miglior prezzo per un passaggio utile a varcare la frontiera e raggiungere la ridente cittadina di Zamin Uud. Il simpatico diciottenne mongolo con il quale viene intavolata una trattativa parla un buon inglese e si definisce un comodo trasferimento in minivan al costo di 60 yuan a testa. A dieci anni di distanza Erenhot si rivela una tipica cittadina di confine, nodo di interscambio di merci prevalentemente dalla Cina verso la Mongolia. Con piacere, a differenza dei cinesi, i mongoli si dimostrano molto più inclini a comunicare con gli stranieri in inglese agevolando non di poco le piccole operazioni della giornata, quali l’acquisto di una sim-card mongola e i biglietti del treno per Ulanbator (24.600 tigrit mongoli pari a circa 8 euro). Sarà la seconda notte consecutiva che i membri del team 2 passeranno viaggiando su un mezzo di trasporto. Il treno, nonostante un aspetto di primo novecento e seppur privo di aria condizionata, ha delle confortevoli e pulite cuccette che renderanno la traversata del deserto del Gobi più agevole rispetto a quella fatta dieci anni da Guido ed Andrea a bordo della mitica Fiat Marea.

Come è cambiato il mondo in 10 anni
– Non è più presente il biliardo nella piazza principale della città che fu tentazione di gioco per Guido ed Andrea durante il precedente viaggio.
– Lo Zamin Uud Hotel ha ricevuto un’importante ristrutturazione e risulta di gran lunga migliore di dieci anni fa; i prezzi per una singola sono passati da 6 a 14 euro a notte.
– Dal finestrino del treno viaggiando in senso inverso rispetto a dieci anni fa abbiamo il piacere di veder scorrere una perfetta strada asfaltata che sostituisce la temibile pista di sabbia che tanto fece penare Guido ed Andrea.

Equipaggio del giorno:

Team 1: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale

Team 2: Andrea Gnaldi, Claudia Giorgio

Giorno 34 – P297, la strada che non c’è

19 luglio 2018, Chita-Erofej Pavlovic (816 km) – Tot. 12.370

Contrariamente ai programmi che prevedevano una levata mattutina molto audace, si ipotizzava di partire alle 5.00, decidiamo di lasciare il nostro alberghetto alla periferia di Chita alle 8.30.
La decisione tiene conto della stanchezza accumulata nella giornata di ieri e di qualche notizia confortante relativa alla strada che andremo a percorrere oggi, la P-297 “Amur”. Guardando qualsiasi vecchio atlante geografico si può notare come non esista alcuna strada che da Chita vada verso il Pacifico rimanendo all’interno dei confini russi. Allo stesso modo, se percorrete verso est la strada che da Chabarovsk costeggia il confine cinese, emerge che manca un collegamento stradale parallelo alla ferrovia Transiberiana. Questa strada che non c’è fu realizzata circa dieci anni fa, ma il completamento dell’asfalto e la percorribilità per normali auto è notizia molto più recente.
Coloro che hanno percorso la P-297 raccontano cose spesso contrastanti sullo stato della strada. Oggi è arrivato il momento di verificare chi abbia ragione.
Prima di prendere il via salutiamo Hugo Caneiro, il motociclista spagnolo che cercherà di raggiungere il Pacifico per la strada che conduce a Magadan. La pioggia di prima mattina non aiuta il suo cammino, ma del resto anche il suo programma di viaggio è molto intenso e non può permettersi grandi rallentamenti. Noi sì, visto che partiti da Chita imbocchiamo la strada che porta direttamente in Cina invece che quella per Vladivostok. Ci accorgiamo della cosa dopo 35 chilometri e fra tutto perdiamo una preziosa ora di viaggio.
Rifacciamo un nuovo rifornimento di gasolio poiché ci è stato consigliato di non affrontare la P-297 a serbatoio non pieno, vista la quasi assenza di stazioni di rifornimento. Se non avessimo fatto questo ulteriore acquisto di gasolio avremmo davvero avuto difficoltà visto che per quasi 600 chilometri non abbiamo trovato un altro rifornimento compatibile con il nostro motore. Forse avremmo fatto meglio a lasciare il metano di Bratsk per questa occasione, visto che sarebbe stato utile aumentare l’autonomia della nostra Hilux dai circa 700 chilometri che garantisce la versione diesel al quasi doppio del diesel-metano.
Lungo la strada continua il verde paesaggio con alternarsi di fiumi, laghi, valli, pianure e montagne. Tratti boscosi e altre parti di pianura fino a Chernyshevsk, dove pranziamo, visto che questo era l’ultimo paese raggiungibile con la vecchia strada riportata nella carte geografiche. Da qui comincia il nulla, visto che per circa cinquecento chilometri incontriamo un unico punto di ristoro, una stazione di servizio senza gasolio e un solo villaggio nei pressi della strada rimasto fuori dal tempo. Qui ci avventuriamo per le bianche strade, assaporando anche un terribile caffè nel bar locale, solo per capire come vive la gente in questo luogo dimenticato da tutti, tranne che dalla Ferrovia Transiberiana. Dopo oltre sei ore senza segnale telefonico ricominciano ad arrivare le notifiche dei messaggi ricevuti. Il confine tra la Transbajkalia e l’oblast dell’Amur rappresenta una sorta di ritorno alla civiltà. Infatti dopo circa trentacinque chilometri troviamo ad Erofej Pavlovich un albergo che ci era stato segnalato alla stazione di servizio senza gasolio 150 chilometri prima. Quasi piena di cinesi e molto cara, questa struttura lungo la strada, e quindi siamo costretti a spostarci dentro il villaggio che sorge attorno alla stazione della Transiberiana e che porta il nome dell’esploratore russo del XVII secolo Erofej Pavlovic Chabarov, cui è intitolata anche la città di Chabarovsk, nostra futura destinazione. Erofej Pavlovic non è certo il più turistico dei luoghi, ma dopo la quantità di desolazione affrontata oggi ci sembra una metropoli. Oltre all’albergo Udacha (Fortuna) riusciamo a soddisfare il nostro appetito alla mensa dei lavoratori della stazione ferroviaria. Seconda parte della serata in un interessante bar con palla specchiata in stile discoteca, dove si ritrovano alcuni dei giovani locali. Per coloro che non si possono permettere il bar c’è il piacevole passatempo di un sovrappasso ferroviario da dove guardare il passaggio dei numerosi treni in transito.
Ultimi esseri viventi incontrati nelle buie strade, prima di concederci un giusto riposo, sono tre mucche che sembrano avere smarrito la via di casa.
Anche oggi in oltre ottocento chilometri non abbiamo incontrato neppure una pattuglia della polizia. Temevamo questa giornata, soprattutto per l’impossibilità di soccorso o di comunicazione in caso di problemi nella zona non abitata attraversata. Per quanto riguarda la qualità delle spesso non piacevoli strade russe, va riconosciuto che la P-297 è stata una delle meno problematiche, come fondo stradale, affrontate finora.

Cosa è cambiato in dieci anni?

– Oggi è più facile del solito rispondere a questa domanda: c’è una grande strada che collega oriente e occidente che dieci anni fa non c’era, anzi era un cantiere a cielo aperto.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Emanuele Calchetti, Marina Khololei, Bruno il Cinghiale