Giorno 60 – Affondati nel fango

14 agosto 2018, Arvajheer-Altaj (595 km) – Tot. 20.065

Consapevoli della durissima giornata che ci aspetta carichiamo la sveglia all’alba. All’interno della missione questo non cambia molto le abitudini visto che anche i sacerdoti e le suore si svegliano presto. Un ottimo caffè all’italiana e via verso occidente con il sole nascente alle nostre spalle. I primi duecento chilometri sono percorsi in due ore e mezzo comprensive di soste per fotografie al paesaggio. Arrivati al paese di Bajanhogor finisce l’asfalto e comincia il previsto tratto di pista. Sostiamo in un negozio per acquistare cibarie ed acqua utile in caso di problemi in mezzo al nulla che ci aspetta. La signora del negozio parla russo e alla domanda sulle condizioni della strada che percorreremo ci dice che con un mezzo come il nostro ci metteremo solo dieci ore per raggiungere Altaj, il luogo dove proveremo ad arrivare. Le parole ascoltate non sono affatto confortanti e neppure il primo tratto di pista dove sbagliamo direzione un paio di volte, anche per merito della inesistente strada caricata nelle mappe di google. Torniamo a declassare il telefonino a ruolo di bussola ed utilizzare la vecchia ed infallibile mappa cartacea, oltre a cercare di rimanere sempre assieme a camion che conoscono la giusta direzione e quale tra le decine di piste che vanno verso ovest sia quella con il fondo in migliori condizioni. Ogni venti-trenta chilometri chiediamo conferma della direzione anche ai pastori che spesso controllano i gregge usando motociclette da cross. Proprio uno dei pastori ci indica un elettrodotto poco distante che raggiunge Altaj e che quindi può essere un buon punto di riferimento. La media è di circa 30-35 chilometri ogni ora con punte massime di velocità che toccano i 50 km/h e in un paio di rare occasioni abbiamo usato anche la quarta marcia. La strada è sempre al di sopra dei 2000 metri, con un’altezza massima raggiunta di circa 2500. Gli alberi sono completamente assenti e il fondo stradale è prevalentemente in terra battuta che in questi giorni di pioggia tende a diventare fango. Non ci sono guadi significativi grazie ai numerosi ponti di recente costruzione. Questo aspetto non deve essere trascurato visto che tutti i fiumi sono in piena e un guado senza ponti sarebbe risultato impossibile anche per un carro armato. Non manca, a tal proposito, una bella pioggia intensa di circa due ore utile a complicare la guida.

Elenchiamo le soste effettuate negli unici punti di ristoro presenti anche a beneficio di coloro che un domani potrebbero avere bisogno di queste informazioni. La seconda colazione è avvenuta nei pressi di Bumbugur in un suggestivo luogo raggiunto dopo aver percorso alcuni chilometri nel bacino di un fiume in secca. L’ottimo pranzo come sempre a base di pecora, invece, alla fine della cittadina di Buutsagaan dove l’oste mongolo ci ha consolato spiegandoci che dopo circa 80 chilometri sarebbe tornato l’asfalto. La sofferenza per la difficoltà della guida è alleviata dallo stupendo panorama che si gode dall’altopiano che attraversiamo.

L’ultima parte di strada prima del luogo indicato dall’oste è però costituito da una zona molto acquitrinosa. Attraversiamo due difficili tratti sfruttando le quattro ruote motrici del nostro veicolo e al terzo tratto lungo una cinquantina di metri forse pecchiamo di superficialità visto che sprofondiamo nel fango. Per l’esattezza la macchina si impantana del tutto a meno di un metro dalla fine del tratto fangoso. Le ruote girano a vuoto nonostante l’uso delle marce ridotte. Non perdiamo la calma visti i due analoghi episodi del 2008 quando ci insabbiammo con la vecchia Marea. Di solito entro pochi minuti passa sempre qualcuno che può tirarti fuori. Ricordiamo che queste strade sono percorse anche da auto senza trazione integrale ed è educazione che i fuoristrada aiutino coloro che rimangono bloccati nelle varie situazioni possibili. Una jeep si offre di tirarci fuori e il paradosso è che possiamo agganciare la fune metallica alla parte anteriore della Hilux senza sporcarci visto che l’asciutto si trova veramente a pochi centimetri dal parafango oltre che dallo sportello lato passeggeri. L’impegno è minimo e in pochi secondi siamo fuori dal pantano con la nostra auto ben segnata dal marrone che ci ha avvolto. Lasciamo una ricompensa ai soccorritori che decidono di donarci il loro cavo metallico da traino per fare in modo che possiamo essere attrezzati in caso di future nuove difficoltà.
Ironia della sorte, circa tre chilometri dopo inizia l’asfalto che ci accompagna negli ultimi cento chilometri fino ad Altaj. La signora della bottega di Bajanhogor aveva ragione visto che abbiamo percorso il tratto in questione in nove ore e mezza.
Questa parte di strada è in ottime condizioni, nuovissima, e nonostante il limite di ottanta si viaggia in sicurezza, cammelli stradali permettendo, anche a cento. Nei poco meno di trecento chilometri di pista percorsa oggi abbiamo notato vari cantieri di costruzione della strada che collegherà Altaj a Ulan Bator e più in generale il confine russo-mongolo occidentale con la capitale. Al momento i tratti mancanti sono molti e i lavori di costruzione non semplici. Allo stesso tempo i tratti più vecchi cominciano a necessitare di manutenzione. Con ogni probabilità se dovessimo tornare qui tra qualche anno il percorso che facciamo in quattro giorni sarà possibile farlo in un giorno e mezzo. La stessa cosa è successa con la strada che collega Ulan Bator con la Cina attraverso il valico di Zamin Uud. Nel 2008 usammo tre giorni per percorrere questo tratto, oggi basta poco più di mezza giornata.
Arrivati nella piccola e non bella Altaj facciamo l’unico rabbocco di gasolio in tutta la parte mongola di viaggio. Grazie all’ultimo rifornimento di metano russo che non abbiamo voluto usare prima di oggi, abbiamo ora la possibilità di attraversare tutto l’ovest della Mongolia senza bisogno di ulteriori rifornimenti grazie ad una autonomia diesel-metano di circa 1500 chilometri.
Ci ospita un grazioso ed economico hotel lungo la strada dove abbiamo la fortuna di cenare con due attempati inglesi che stanno percorrendo il Mongol Rally. Ci scambiamo informazioni sulle rispettive strade che andremo a percorrere nella giornata di domani e scopriamo con piacere che almeno 400 dei prossimi 650 chilometri saranno su fondo stradale asfaltato. Loro sono molto meno felici delle informazioni che gli comunichiamo su quello che li aspetta domani.
Siamo a 2200 metri di altezza e nella passeggiata serale c’è decisamente bisogno di una giacca, che forse non servirà ad Andrea e Claudia che partiti questa mattina da Ulan Bator, trascorreranno un paio di giorni ad Istanbul prima del rientro in Italia.

Come è cambiato il mondo in dieci anni?
– Le infrastrutture stradali mongole sono in grande sviluppo anche se ancora lontane dal coprire del tutte le principali direttrici. Nel frattempo la costruzione di ponti, anche senza l’annessa strada, permette di eliminare del tutto i guadi sui fiumi.

Equipaggio del giorno: Guido Guerrini, Bruno Cinghiale