Nicola Ventura e Guido Guerrini (Ecomotori Racing Team) vincono il Rally di Montecarlo ad Energie Alternative

La 500 Ecoabarth con impianto Cavagna-Bigas sul tetto di una delle più prestigiose gare.

Due gare e due vittorie: ecco i brillanti numeri dell’Ecomotori Racing Team e della 500 EcoAbarth con impianto a metano Cavagna-Bigas nel corso della stagione sportiva 2015. L’esordiente coppia formata dal brianzolo Nicola Ventura e dal toscano Guido Guerrini si impone anche al prestigioso Rally di Montecarlo, la più complessa gara del calendario della Fia Alternative Energies Cup, che ha visto competere per la vittoria ben 87 equipaggi.
Il team italiano ha prevalso dopo 7 prove speciali distribuite su oltre mille chilometri di gara. Dopo un inizio di attento studio (nono posto dopo le prime tre prove) Ventura e Guerrini hanno risalito la classifica portandosi in testa già alla quinta speciale. Le ultime due prove hanno consolidato un primato netto, permettendo di distanziare di mezzo minuto il Campione del Mondo uscente, Massimo Liverani, classificatosi secondo.
Degno di massima considerazione è pure il risultato del Team Ecomotori nella classifica combinata tra consumi e risultato sportivo. Ventura-Guerrini sono decimi, superati solamente da nove auto ibride ed elettriche, veicoli fortemente avvantaggiati dai coefficenti assegnati dagli organizzatori rispetto ai combustibili gassosi o liquidi. “Il rendimento dell’impianto a metano Cavagna-Bigas è stato eccezionale”, sottolinea Guido Guerrini nell’incontro con i giornalisti svoltosi a fine gara presso il Fairmont Hotel di Montecarlo, aggiungendo che “il risultato sportivo è di quelli senza precedenti: vincere nel Principato è un sogno che qualsiasi amante dell’automobilismo coltiva fin dall’infanzia”.
Per il pilota Nicola Ventura c’è massima soddisfazione anche perchè “Montecarlo era una delle poche vittorie assenti dal brillante palmares raggiunto in questi anni dall’Ecomotori Racing Team”. A proposito del positivo risultato nella classifica consumi Ventura ricorda “l’importante lavoro tecnico fatto da Bigas alla vigilia della gara, che ha permesso alla 500 EcoAbarth di avere un ottimo rendimento sportivo nelle difficili salite che portano a colli mitici come il Turini, senza penalizzare affatto l’aspetto dei consumi che sono stati davvero limitati”.
In una nota stampa diffusa nelle prime ore successive alla gara, l’Ecomotori Racing Team ha evidenziato come questa vittoria sia stata la vittoria di un team unito che in questi giorni si è potuto avvalorare anche del supporto tattico e delle informazioni telemetriche in tempo reale da parte di Emanuele Calchetti, Isabelle Barciulli e Monica Porta.
Una doppietta italiana nel Rally di Montecarlo non si era mai verificata nelle sedici edizioni svoltesi fino ad ora. Di comune accordo tutti i team italiani presenti alla gara monegasca hanno dedicato i proprio risutati all’amica Sarah e al suo compagno Franco, impegnati in una importante e decisiva lotta contro un destino per nulla favorevole.
Nicola Ventura, Guido Guerrini e la 500 EcoAbarth, con questo straordinario risultato hanno incrementato il proprio vantaggio nella classifica dedicata a piloti, copiloti e costruttori della Coppa del Mondo Energie Alternative. Il prossimo appuntamento del campionato sarà alla metà di maggio con l’Ecorally San Marino-Città del Vaticano, altro interessante test che vedrà tutto il circus del mondiale ecologico attraversare le strade che collegano la repubblica del Titano con il cuore di Roma.

L’ultimo scontro con il Generale Inverno

Giorno 13 – 9 gennaio 2015 – Chisinau-Sebes  (630 km)

Lasciamo l’Ezio Palace per andare a fare rifornimento di metano in uno dei sei distributori che circondano Chisinau. Lo sviluppo di questo tipo di carburante, in Moldavia, è in crescita esponenziale. Nessuno è in grado di dirci quanti siano i distributori presenti ed in fase di apertura. Un aspetto significativo è che in tutti quelli aperti recentemente, che di solito sono marchiati Lukoil, c’è una colonna di erogazione con l’attacco Ngv1 e una con il sistema ex sovietico. Tutto questo ci permette di rifornire senza dover utilizzare l’adattatore. Circa venti metri cubi di metano moldavo vanno a fare compagnia ai restanti di quello di Odessa. Il Gpl costa 0,45 centesimi di euro, mentre benzina e gasolio sono attorno all’euro.

C’è grande curiosità da parte dei gestori della stazione di servizio ubicata proprio alle porte della capitale, lungo la strada per Hincesti, per un veicolo con gli adesivi di Ecomotori. Solitamente siamo noi a fotografare i punti di rifornimento, mentre stavolta sono loro ad immortalare noi. La novità di oggi, oltre al fatto che torneremo in Unione Europea passando dalla Moldavia alla Romania, è il ritorno alle salite e discese che occuperanno il posto delle enormi pianure ucraine. Molti sono i valichi, tutti sotto i mille metri, che affronteremo. Si comincia dai rilievi che separano Chisinau dalla Romania dove inizia anche a nevicare. La velocità media scende a meno di cinquanta chilometri orari e l’asfalto scompare lasciando il posto a neve e ghiaccio. La temperatura è sempre quella degli ultimi giorni e stavolta nessuno spazzaneve sembra intervenire per provare a mantenere un itinerario internazionale, forse il più importante della Moldavia, in qualche modo pulito. Il risultato è che raggiungiamo il fiume Prut, sul quale passeremo attraverso un ponte che collega alla Romania,  dopo oltre due ore di marcia. Non c’è fila sul lato moldavo del confine e grazie a ciò passiamo in pochi minuti alla parte romena e quindi comunitaria. Qui la coda di auto è immensa per passaporti non comunitari, mentre per quella che riguarda la nostra situazione siamo solo due auto. Di fatto non veniamo neppure controllati, si parla un poco di Toscana e dell’amore del doganiere di turno per l’arte musicale del grande Totò Cutugno ed eccoci a pagare la vignetta stradale romena.

La pulizia dell’asfalto migliora solo in parte. Quando si passa da un dipartimento amministrativo all’altro le strade possono migliorare o risultare molto peggiori di prima. Per trovare una situazione accettabile dobbiamo aspettare la città di Bacau dove sostiamo una mezzora per pranzare. In questa occasione ritorniamo, per la prima volta da dopo aver lasciato Kiev, a rivedere il segno positivo sul termometro. Prima di questo abbiamo vissuto una delle più bizzarre avventure del viaggio quando abbiamo superato uno dei passi che separa la Moldavia rumena dalla Transilvania su una strada quasi vergine dal punto di vista della ripulitura post nevicata. Ci consoliamo del ritardo accumulato sulla tabella di marcia riguardando le belle foto scattate nel valico in precedenza affrontato.

Senza la neve sulla strada il nuovo pericolo diventa il buio, situazione dove in Romania è meglio non viaggiare. Il problema sono adulti e bambini che camminano lungo le strade nella più completa oscurità oltre ai carretti trainati da cavalli che di notte non dovrebbero neppure circolare. Anche il numero dei cani randagi, come raccontato numerose volte in precedenti occasioni, caratterizza questa nazione e la sua sicurezza stradale. Il numero di cani morti lungo la strada fa comprendere la pericolosità del fenomeno oramai storicizzato. I cani rumeni hanno raggiunto un livello superiore di evoluzione rispetto a quelli italiani visto che prediligono lo stazionamento presso semafori e passaggi a livello rimanendo in attesa delle cose che posso essere gettate dai finestrini. Nel tardo pomeriggio, presso il capoluogo della Transilvania Brasov, terminiamo con un buon risultato di 425 chilometri il pieno di metano moldavo-ucraino. Ancora una volta l’impianto Bigas-Cavagna ci regala numeri soddisfacenti anche considerando che non abbiamo potuto tenere un passo regolare a causa dei frequenti rallentamenti dovuti alle condizioni meteo e stradali. I prossimi 400 chilometri del viaggio, quelli che ci porteranno nella città ungherese di Zseged, saranno quelli meno ecologici tenuto conto che dovremmo farli utilizzando la benzina. Non si comprende il perché la Romania sia rimasta l’unica nazione, di ques’area geografica, a non avere punti di erogazione del metano per auto. C’è in abbondanza il gpl al costo di circa 60 centesimi di euro al litro mentre benzina e Gasolio sono attorno a 1,15 euro.

Nei pressi di Sibiu la nostra strada si congiunge a quella che da Bucarest va verso l’Ungheria. Da anni è in progetto un’autostrada che dovrà collegare la capitale rumena e Budapest, ma fino a poco tempo fa la moderna quattro corsie si limitava a girare intorno a Sibiu. Con nostra sorpresa è stato aperto un nuovo tratto che ci fa raggiungere con rapidità la città di Sebes dove, vista la tarda ora, ci fermiamo a dormire in attesa di scoprire fino a dove ci porterà domani la nuova autostrada.

A metano nello Stato che non c’è: cronaca di una giornata in Transnistria

Giorno 12 – 8 gennaio 2015  (Odessa-Chisinau km 245)

Dopo i postumi dei festeggiamenti natalizi comincia il vero e proprio rientro per l’equipaggio di Ecomotori.  Abbiamo attentamente esaminato le previsioni metereologiche dei prossimi giorni e ci siamo rassegnati a dover affrontare la perturbazione glaciale che sta flagellando questa zona di Europa. La giornata di oggi non prevede grandi disagi stradali, ma solo eventuali problematiche burocratiche visto che attraverseremo da parte a parte la fantomatica Repubblica di Transnistria.

Come ogni mattina, grazie alle temperature notturne polari, le strade di Odessa sono ricoperte di ghiaccio e bisogna muoversi con la massima prudenza. Non riusciamo a scendere nella parte bassa della città per fotografare il nostro Peugeot Expert davanti alla Scalinata Potemkin. La scivolosità delle stradine che scendono verso il mare è tale che le autorità locali hanno chiuso quelle più ripide. Trovare una via alternativa per raggiungere la base della scalinata si rivela un’impresa complessa alla quale dopo mezzora di tentativi dobbiamo rinunciare. Non demordiamo, invece, nell’impresa di fare rifornimento di metano presso la stazione di Odessa 2, dove la scorbutica cassiera del self service ci costringe a mostrare i documenti dell’auto e far effettuare una verifica dell’impianto Bigas-Cavagna ad un tecnico dell’azienda di distribuzione metano. Ottenuto il via libera carichiamo i consueti 40 metri cubi prima di lasciare Odessa. Sono circa 60 i chilometri che separano la città ucraina da quello che un tempo era il confine amministrativo con la Moldavia. La strada è sempre diritta e una delle due corsie è sommersa dalla neve. Per la prima volta, nonostante splenda il sole, vediamo il termometro del veicolo scendere a sedici gradi sotto lo zero.

Superato il controllo doganale ucraino non si trova quello moldavo come erroneamente riportano tutte le carte geografiche, ma quello della Transnistria. La Moldavia non esercita più alcun controllo su queste terre dall’epoca dello scioglimento dell’Unione Sovietica. Curiosamente lo stemma e la bandiera della Transnistria sono quelli della Repubblica Moldava federata nell’Urss, cosa che fa di questo stato, non riconosciuto, l’unico al mondo ad utilizzare nella propria simbologia la falce ed il martello. In linea di massima questo territorio si sviluppa ad est del fiume Dnestr e la popolazione è russofona, contrariamente al resto della Moldavia dove si parla prevalentemente una lingua neolatina quasi identica al rumeno. In ogni caso, anche se decidessimo che questa nazione non esista, dovremmo fare i conti con la sua dogana, i suoi poliziotti e la sua moneta: il rublo della Transnistria. Un tempo le forze di polizia di questo posto avevano la fama di essere dei veri vampiri capaci di importi mazzette per attraversare i cinquanta chilometri sotto il loro controllo. La situazione è notevolmente migliorata visto che il tempo che perdiamo è solo per gestire l’aspetto burocratico finalizzato a concederci il visto di transito valido ben dieci ore, regolarizzare il passaggio dell’Expert e fargli pagare cinque euro di tassa ecologica. Una bella strada a tre corsie, quella centrale è per entrambi i sensi di marcia, ci accompagna fino alla capitale Tiraspol. I nomi delle strade sono rimasti quelli di epoca sovietica come la monumentalità delle statue di Lenin e dei memoriali a ricordo della Seconda Guerra Mondiale e di quella dei primi anni ’90 con la Moldavia. Di fatto questa striscia di terra è un protettorato russo com’è dimostrato dalla presenza di una base militare di Mosca e dai tanti soldati dell’Armata Rossa a spasso per la città. L’amicizia con la terra di Putin è ricordata anche dai colori dei bus del trasporto pubblico di Tiraspol che compongono le due bandiere russa e della Transnistria che si incrociano. Pochi anni fa, con un referendum, la stragrande maggioranza della popolazione chiese l’annessione di questo territorio alla Federazione Russa. Quest’ultima ha più volte minacciato di collocare postazioni missilistiche in Transnistria se la Nato facesse altrettanto in Polonia o Repubblica Ceca.

Nessuna nazione al mondo riconosce l’autodeterminazione di questo popolo e l’indipendenza de facto. Ci fermiamo a pranzo nel centro di Tiraspol per provare a vivere qualche ora in un luogo che non esiste nelle carte geografiche. Scattiamo foto, compriamo souvenir cambiando euro con rubli locali e infine, prima che cali la sera, lasciamo questa curiosa terra. Ci colpisce la presenza di numerosi distributori di metano, soprattutto dei due situati a ridosso del confine sia in entrata che in uscita. A giudicare dalle file, sembrerebbe che il metano sia molto utilizzato. Il prezzo è di circa 40 centesimi di euro a metro cubo, benzina e gasolio sono attorno agli 80 centesimi mentre un litro di Gpl ha lo stesso prezzo del metano.

Anche in uscita i doganieri non si dimostrano avidi visto che risolviamo tutto con il costo di un solo pacchetto di sigarette, come ai tempi dell’Unione Sovietica.

Lasciata la dogana, dopo pochi metri si incontra il posto di controllo delle forze di pace con mandato Onu, anche se di fatto sono tutti russi. Infine c’è un posto di blocco della polizia moldava. Un tempo entrare in Moldavia dalla Transnistria era considerato un reato grave punibile come immigrazione clandestina. Il tutto nasceva dal fatto che nessun poliziotto della nazione moldava ti metteva il proprio timbro nel passaporto e quando uscivi dal Paese rischiavi di pagare un multa. Ora che la strada e la ferrovia tra Chisinau ed Odessa sono tornate ad essere relativamente frequentate la Moldavia ha trovato un compromesso. Uscendo da Tiraspol non c’è una dogana vera e propria, ma un ufficio immigrazione che ti mette il timbro sul passaporto e ti fa pagare la tassa stradale per circolare nelle strade locali. DI fatto la Moldavia sembra doversi rassegnare a perdere la Transnistria.

La giovane nazione moldava è considerata dalle statistiche la più povera d’Europa e si trova a vivere un conflitto politico simile a quello della vicina Ucraina. Anche le recenti elezioni non hanno dipanato la questione visto che il fronte europeista ha conquistato un solo punto percentuale in più di quello che vorrebbe rimanere legato alla Russia. Anche qui, come in Ucraina, la contrapposizione tra i due fronti è alle stelle e il rischio che la tensione accumulata possa esplodere è alto. Senza una mappa e senza un navigatore funzionante in questa nazione, dopo qualche tentativo con il puro senso dell’orientamento riusciamo a raggiungere l’Ezio Palace Hotel, un pacchianissimo albergo, prenotato via internet, ed ubicato vicino alla sede della Tv di Stato. Nonostante il freddo pungente e la scarsità di fascino della capitale moldava decidiamo di cenare in centro presso il ristorante uzbeko Caravan. I caldi piatti centroasiatici ci fanno dimenticare il gelo che continua a circondarci.

Natale al freddo e al gelo

Giorno 11 – 7 gennaio 2015

Quando si viaggia in queste parti d’Europa è necessario tenere in seria condizione le previsioni del tempo. Per questo motivo da alcuni giorni ci eravamo convinti di fare una sosta ad Odessa almeno un giorno intero per evitare di cominciare il viaggio di ritorno in condizioni meteo proibitive.

La giornata più fredda del viaggio è oggi, la temperatura minima è quasi venti sotto zero e la massima non si avvicina a meno dieci nonostante il cielo sereno e il sole che splende sopra le nostre teste. Se consideriamo che la città è letteralmente piena di neve e che tutto il fondo stradale è una lastra di ghiaccio, sarà perfettamente comprensibile il motivo della nostra prudenza. Anche passeggiare per la città diventa un’impresa da equilibristi complicata ancora di più dalle raffiche di vento che arrivano dal Mar Nero.

La città si sviluppa su una lunga rupe che si eleva fino ad un massimo di 50 metri rispetto al mare. La parte più alta di Odessa si collega al porto attraverso strade e grazie al monumento che ha reso celebre questo luogo: la scalinata Potemkin.

La cinematografia ha immortalato questo manufatto in due celebri film di cui uno noto al pubblico di tutto il mondo e del quale ricorre quest’anno il novantesimo anniversario. L’altro film è conosciuto solo in Italia e trattasi de “Il secondo tragico Fantozzi” di Luciano Salce. “La Corazzata Potemkin”, capolavoro di Sergej Eisenstein, vede la scena più nota del film ambientata lungo questa scalinata progettata da un russo ed un italiano nei primi anni del XIX secolo.

Non riusciamo a contemplare il monumento, ma neppure l’orribile porto che si è sviluppato alla base, a causa del vento gelido che soffia in questa parte esposta della città. Ci rifugiamo in un caffè per la necessità di recuperare il calore corporeo perso. Odessa è una città giovane, fondata nel 1794, ma allo stesso tempo antica essendo scampata alle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, cosa piuttosto rara visto che molte altre grandi città ucraine sono state rase al suolo durante gli scontri tra tedeschi e sovietici. Per la popolazione ebraica di Odessa, che fino al 1941 era una delle principali comunità cittadine, il periodo bellico si sovrappose con una deportazione sistematica.

Esclusa la scalinata non esistono importanti monumenti, ma allo stesso tempo è una città bella con molti edifici ottocenteschi e con una vitalità impressionante. Palazzi, chiese ortodosse, giardini, viali alberati, strade in pietra e le rinomate spiagge estive fanno di Odessa una meta molto turistica. Come abbiamo avuto modo di ricordare quando siamo arrivati qui, questa è una città dove si parla russo e dove nell’ultimo anno sono avvenuti episodi di grandissima tensione. La visita al Palazzo dei Sindacati, dove sono morte circa 50 persone lo scorso 2 maggio, è uno dei momenti più toccanti della giornata natalizia. Davanti al palazzo, che è transennato e sembrerebbe sotto sequestro, ci sono le foto e tanti fiori a ricordo di coloro che sono morti nell’incendio doloso alla struttura. La dinamica di questo episodio non è chiara. L’unica cosa certa è che coloro i quali hanno cercato rifugio nell’edificio, al centro di un’enorme piazza nei pressi della stazione ferroviaria, sono rimasti bloccati all’interno e non hanno avuto scampo. Quasi tutti i morti appartengono allo schieramento filorusso. Anche in questo caso, almeno fino ad oggi, non ci sono colpevoli per la strage. Particolare curioso è che tutto lo spazio circostante ospita i camion che raccolgono la neve dal centro cittadino. Di fatto la piazza si è trasformata in una discarica di ghiaccio.

Nel corso della giornata natalizia facciamo una visita anche alla Cattedrale Preobrazhensky (della Transfigurazione) ricostruita nello stesso sito dove fu demolita negli anni ’30. Vista l’importanza della festività di oggi la chiesa pullula di fedeli che, oltre a pregare ed accendere candele, donano alimenti e bevande su due tavoli dei quali uno è dedicato ai monaci e l’altro ai poveri.

Prima di dedicarci al pranzo di Natale in uno dei ristoranti più tipici del centro cittadino, abbiamo ancora il tempo di fare delle foto con Babbo Natale e assistente visto che qui le feste non sono ancora terminate. L’episodio avviene sotto gli attenti occhi delle statue di Puskin e di Caterina la Grande situate tra il comune e il grande teatro cittadino. La statua della zarina ha preso qualche anno fa il posto di quella dedicata agli ammutinati della corazzata più famosa del mondo. I marinai, ad oggi, sono scesi nella parte bassa della città a fare la guardia al porto. Anche questa delocalizzazione ha creato strascichi polemici in città visto che la zarina è un personaggio caro alla popolazione russa, ma non agli ucraini che avrebbero preferito che i marinai restassero nel loro sito originale.

Il nostro menù di Natale prevede Borsh ucraino, carni con patate, pesanti dolci tipici, vino della Crimea, il tutto accompagnato dalle piacevoli canzoni dello storico gruppo di musica tradizionale in lingua ucraina “Chervona Ruta” (fiore rosso). Il pranzo è talmente abbondante da costituire un pasto unico per l’intera giornata. Anche a Natale molti dei negozi in centro sono aperti e se non fosse per le banche chiuse sembrerebbe quasi un giorno feriale. Il Natale non è molto diverso dal solito per i numerosi senza tetto che rovistano nei bidoni della spazzatura lungo le stradine che collegano il centro cittadino al nostro albergo.

Meriterebbe un significativo premio la figurante che interpreta la Madonna nel presepe vivente ospitato davanti ai giardini pubblici nell’isola pedonale. Dopo la fuga di San Giuseppe e dopo che Gesù Bambino è stato sostituito da un bambolotto, l’unica figura umana a far compagnia al bue e l’asinello, anch’essi reali, è proprio lei nonostante la proibitiva temperatura.

Ci prepariamo a lasciare Odessa con la preoccupazione che in questa città, dove la tensione tra gli esponenti più facinorosi dei due gruppi etnici è percepibile, possa trasformarsi in un futuro non troppo lontano in un nuovo luogo di tensione tra Russia ed Ucraina. Confidiamo nel buon senso di una popolazione che ha saputo evitare la distruzione della propria città in più occasioni, dalla Guerra di Crimea alla Seconda Guerra Mondiale.

Vigilia di Natale verso sud

Giorno 10 – 6 gennaio ’15 (Odessa-Kiev km 531)

Chissà se Papa Gregorio XIII avrebbe mai pensato che oltre quattro secoli dopo la sua riforma del calendario il mondo religioso sarebbe stato ancora diviso da quegli 11 giorni cancellati dal mese di ottobre del 1582. Quelle giornate sono diventate tredici col passare dei secoli grazie alle alchimie matematiche ed astronomiche che regolano il nuovo calendario. Ecco perché oggi in una parte d’Europa è il giorno dell’Epifania e in un’altra parte è la vigilia di Natale. Forse è proprio per questo che dopo giorni di tregua con temperature attorno allo zero il gelo è tornato a farci visita regalandoci numeri negativi in doppia cifra.

A Kiev già dalle prime ore del mattino il traffico è intenso e con fatica riusciamo a raggiungere una delle stazioni di rifornimento metano presenti nella tangenziale. La fila è decisamente lunga, considerando i 4 erogatori funzionanti su 8 e i vari camion in coda con noi. Comprendiamo che il rischio di passare il Natale in tangenziale potrebbe essere elevato. Ripartiamo privi del combustibile ecologico consapevoli che 70 chilometri a sud della città, lungo la autostrada per Odessa, c’è un altro punto di rifornimento. In realtà subito dopo aver lasciato Kiev vediamo caotici cartelli che indicano un nuovo metano a due chilometri dalla nuova strada. Con sorpresa abbiamo scoperto un nuovo punto di rifornimento, con operatore e quindi non self service, dove ci accolgono senza il particolare stupore che di solito contraddistingue l’arrivo di un’auto occidentale a metano. Neppure l’ottima guida di Oriano, edita recentemente, prevedeva questo distributore.

Il cammino verso Odessa prosegue senza intoppi significativi e possiamo anche apprezzare che la statua di Misha ubicata a sud di Kiev è in buone condizioni e non è stata nazionalizzata. I cartelli con colori giallo-blu diminuiscono sensibilmente rispetto alla strada che collega Kiev con l’ovest. La discesa verso sud prevede anche di entrare progressivamente nella parte di Ucraina dove si parla russo e dove la lingua di Taras Shevchenko può essere letta nei cartelli stradali, nei menù dei ristoranti, nelle istruzioni di un autolavaggio, ma non è parlata dalla maggioranza della popolazione. Andiamo verso una città che, contemporaneamente ai fatti di Maidan, ha visto la popolazione schierarsi in due modi diversi. C’è chi ha gioito per la cacciata di Yanukovich e ci sono coloro che guardano con simpatia al passaggio della penisola di Crimea alla Russia. Tra questi ultimi sono comprese alcune decine di persone, di cui ancora non si scoperto l’esatto numero, che hanno perso la vita il 2 maggio 2014 in un incendio dentro al palazzo dei sindacati ubicato nel centro della città. Le due parti si rimpallano la responsabilità dei fatti.

Dopo lo spuntino di tarda mattinata lasciamo l’autostrada per inoltrarci in un itinerario poco turistico, sempre che si possa parlare di turismo da queste parti. Dobbiamo raggiungere dei campi di grano situati nei pressi del confine tra le provincie di Kirovgrad e Mykolaiev. Dodici piani sotto il livello della campagna c’è un museo davvero particolare. Trattasi di una postazione missilistica a medio raggio, ovvero dei silos sotterranei dove erano nascosti missili nucleari destinati all’Europa occidentale in caso di guerra atomica tra le due superpotenze dell’epoca. E’ possibile visitare sia i silos, sia vedere grandi missili “Satan” stesi in orizzontale sopra i campi innevati e l’affascinante sala-bunker di controllo nella profondità della terra. Raggiunta la sala con i vecchi ascensori di epoca sovietica è possibile sedersi vicino al telefono un tempo collegato con Mosca e far finta di prepararsi a premere il bottone che avrebbe contribuito a far terminare la vita sul pianeta Terra. Peccato che queste emozioni che avremmo voluto vivere non siano realmente avvenute. Non ci riferiamo alla terza guerra mondiale, ma alla visita della base missilistica di Pervomaisk resa impossibile dalla tanta neve ben distribuita nella stradina che collega la strada statale con il museo. Prima di provare a valutare se rischiare di tentare un passaggio proviamo a fare il tragitto mancante a piedi nonostante il freddo pungente. Ci sono tratti percorribili, ma altri con circa mezzo metro di neve accumulato dal vento.

Il senso di responsabilità che dobbiamo avere nei confronti di coloro che ci hanno messo a disposizione il veicolo e permesso di fare questo viaggio ci costringe a desistere. Il museo sarebbe anche aperto, ci conferma via telefono un addetto alle visite, ma l’unico modo per arrivarci sarebbe un carro armato o un fuoristrada molto alto. Percorrere un chilometro e mezzo a piedi all’andata e un altro al ritorno lasciando il veicolo lontano da qualsiasi parcheggio sicuro non è una buona idea. Sconfitti ripartiamo in direzione Odessa consapevoli che qualche centinaio di metri hanno momentaneamente fermato un viaggio di quasi 3.000 km.

Per tornare verso l’autostrada dobbiamo percorrere circa cinquanta chilometri nella strada internazionale che collega il centro dell’Ucraina con la capitale moldava Chisinau. La strada non è stata pulita di recente e l’alternarsi di crateri sull’asfalto con cumuli di neve rischia di rovinare l’atmosfera natalizia che c’è a bordo dell’Expert grazie alle radio locali che ci bombardano di canzoni natalizie in lingua russa.

Gli ultimi cento chilometri sarebbero di ottima strada, ma la neve che il vento trasporta dai vicini campi rallenta la nostra corsa. Nel frattempo abbiamo la fortuna di ascoltare gli auguri per un felice Natale a reti radio unificate da parte del Presidente Petro Poroshenko.

Arriviamo ad Odessa nel tardo pomeriggio prendendo alloggio all’Hotel Oktybrskaya.

L’ingresso in città è stato caratterizzato da due sorprese molto diverse tra loro. La prima riguarda l’enorme quantitativo di neve presente in tutta Odessa e che limita tutte le possibilità di parcheggio oltre che rischiare di farci rompere qualche articolazione quando proviamo a camminare in centro. La seconda è il fatto che il parcheggio privato del nostro albergo è una base dei paramilitari di Pravy Sektor, una dei gruppi più attivi, e in alcuni casi anche violenti, del nazionalismo ucraino.

Serata nel centro cittadino aspettando la mezzanotte cercando di capire cosa accade durante la veglia del Natale ortodosso.

Kiev, una capitale in movimento.

Giorno 9 – 5 gennaio 2105

Per la prima volta ci regaliamo una giornata completamente a chilometri zero ampiamente meritata dopo l’intensità dell’esperienza vissuta a Chernobyl. Il glorioso Peugeot Expert metanizzato Bigas-Cavagna può godersi qualche ora di pace nella tranquillità e sicurezza del parcheggio dell’Hotel Slavutich. Ci incamminiamo verso la stazione della metropolitana da dove testeremo l’efficienza ed efficacia della rete di trasporto urbano cittadino, considerata dagli abitanti della capitale la più economica del mondo. Un gettone per entrare nelle tre linee ferroviarie sotterranee costa circa 10 centesimi di euro, mentre l’autobus addirittura 15! In entrambi i casi non ci sono limiti orari, quindi in situazione di freddo intenso si può vagare nelle stazioni anche per ore. Purtroppo, con la svalutazione della moneta locale, anche qui si prevedono aumenti nelle prossime settimane, forse addirittura raddoppio delle tariffe.

Appuntamento in Piazza Maidan con l’amica Yaryna che abbiamo avuto modo di conoscere, grazie alle sue interessanti corrispondenze in lingua italiana, durante la rivoluzione di quasi un anno fa. A dire il vero è la prima volta che ci incontriamo di persona, ma dopo le tante mail scambiate in passato ci sembra di conoscerla da sempre. Yaryna sarà la nostra guida per la giornata odierna, ed essendo lei stessa protagonista della rivolta di Kiev, ci darà modo di ascoltare i fatti e visitare i luoghi con una reale testimone dell’accaduto.

Maidan Nezalezhnosti, che in realtà significa Piazza dell’Indipendenza, è il cuore pulsante della città. Si sviluppa su due piani: quello sotterraneo ospita negozi, sottopassaggi e la profondissima stazione della metropolitana, quello superiore fontane, cupole di vetro, statue, palazzi giganteschi ed è sovrastata dalla mole dell’Hotel Ucraina. Crocevia di molte delle strade più importanti della città, ha ospitato le più grandi manifestazioni popolari di rivolta. Le più famose sono la fallita “Rivoluzione Arancione” del 2004 e l’insurrezione che ha portato alla deposizione di Viktor Yanukovich tra novembre 2013 e febbraio 2014. La piazza fu occupata durante una manifestazione nata quando l’ex presidente rifiutò di firmare l’atto che avrebbe avviato trattative con l’Unione Europea per un avvicinamento dello stato slavo alle istituzioni comunitarie. La politica di Yanukovich guardava verso il rafforzamento dei legami con la Russia, ma la cosa non era in linea con il pensiero della maggioranza della popolazione, almeno qui a Kiev e nella parte occidentale del Paese. Incidenti tra manifestanti e forze dell’ordine si susseguirono per settimane, ma l’intensità più drammatica si ebbe in febbraio quando negli scontri, anche armati, rimasero prive di vita quasi cento persone. Parte di questi furono colpiti da cecchini ed ancora oggi non è stato chiarito chi fu a sparare. Tutte le colpe, anche per comodità e per non toccare i nuovi interessi scaturiti dal post-rivoluzione, sono state affibbiate all’ex Presidente che a sua volta è scappato in Russia. In sostanza, ad oggi, non esiste una o più persone che abbiano fatto almeno un giorno di galera per la morte dei manifestanti. La parte meridionale della piazza, rialzata rispetto a tutta la zona circostante, è ricca di foto degli eventi di Maidan, fiori e candele a ricordo dei defunti. Anche il muro di via Instytutska ospita un ricordo di chi non c’è più. Una lunga fila di fotografie con nomi, cognomi e provenienza permette di vedere le facce, non solo giovani, dei martiri della rivoluzione. Si prosegue il cammino, sempre con le preziose notizie fornite da Yaryna, fino all’ingresso dello stadio della Dinamo Kiev, uno dei punti dove la violenza raggiunse i livelli più intensi nel mese di febbraio ’14. In questo luogo, vero tempio dello sport, si può scorgere anche il monumento al grande allenatore Valerij Lobanovs’kyj, plurivincitore di coppe e scudetti sia in epoca sovietica che in periodo ucraino . Sullo stesso sito è presente anche un memoriale dedicato ai calciatori della Dinamo che durante la seconda guerra mondiale dovettero giocare una partita, prima contro i soldati tedeschi e poi contro una rappresentativa calcistica vera e propria della Germania nazista. La loro ostinazione a non far vincere sul campo l’invasore, nella celebre “Partita della Morte”, costò la vita a molti componenti della squadra. Questo episodio ha ispirato il film “Fuga per la Vittoria” del 1981 con protagonista anche Pelè in veste di attore. Nel film i protagonisti diventano stranamente prigionieri occidentali e l’ambientazione è in un campo di prigionia ben lontano da Kiev.

Nel quartiere mercantile di Podil giunge il momento del pranzo presso un ristorante georgiano dove assaporiamo ottimi piatti a base di formaggio bagnati con il prestigioso vino della regione di Kakheti.

Davanti alle prelibatezze caucasiche abbiamo modo di conoscere meglio Yaryna e il suo amore per l’Italia, paese che ha visitato più volte e del quale ha voluto approfondire la lingua, una delle quattro che parla regolarmente. La nostra amica ha lavorato nel mondo del cinema e collabora con giornalisti ucraini e soprattutto esteri, ma il suo principale obiettivo e la letteratura, settore nel quale ha grandi progetti. Non è un caso che ci proponga un brindisi per l’odierno compleanno di Umberto Eco, autore sul quale ha sviluppato la sua tesi di laurea.

Per completare la visita di ieri a Chernobyl decidiamo di visitare il museo che Kiev ha dedicato alla tragedia nucleare. La scalinata che conduce al piano superiore dell’edificio museale è sovrastata dai cartelli di ingresso alle città e paesi evacuati nei giorni successivi all’incidente. La nostra accompagnatrice ci fa notare i nomi dei paesi vicini a quello dove vive la sua famiglia. Yaryna ci svela che quel 26 aprile c’era anche lei a circa 70 chilometri dalla centrale, seppure sarebbe nata solo tre mesi dopo in un villaggio al confine con la Moldavia dove avevano traferito i suoi genitori. Chernobyl, per alcuni dei giovani più intraprendenti tra quelli che facevano vacanze estive nei paesi occidentali, è stata anche un’opportunità vantaggiosa. Molti hanno imparato la lingua del luogo dove facevano vacanze o hanno avuto il sostegno di una famiglia occidentale grazie al quale hanno potuto realizzare progetti di vita.

Le famiglie italiane, in quel periodo, sono state tra le più generose, ed in una famiglia trentina ha passato numerosi estati anche la nostra Yaryna.

Dal quartiere di Podil ci incamminiamo attraverso l’acciottolata e pittoresca salita di Sant’Andrea fino alla parte più alta della città. La chiesa dedicata al primo predicatore cristiano in queste terre, proprio Andrea, fu costruita dal grande Bartolomeo Rastrelli, lo stesso che realizzò il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo. Negozi turistici e storici palazzi fanno da cornice ad una delle strade più note di Kiev. Tra coloro che abitarono qui non possiamo non ricordare lo scrittore Mikhail Bulgakov. La sua casa museo è visitabile. Nella piazza davanti alla cattedrale ortodossa di Santa Sofia abbiamo modo di attraversare i mercatini di Natale molto simili a quelli che si trovano in Baviera o in Tirolo. Il fermento è quello tipico dei giorni precedenti alle feste natalizie che, secondo il calendario giuliano adottato dalla chiesa ortodossa, raggiungeranno il culmine tra il 6 e il 7 gennaio.

Non possiamo che concludere la lunga e fredda passeggiata con un transito notturno in Piazza Maidan per poi rifugiarsi in un locale sotterraneo, forse meno elegante di quelli vicini alla nota piazza, ma decisamente più interessante ed accogliente.

Beviamo qualcosa di caldo e ceniamo con tipici piatti ucraini arricchiti dagli interessanti racconti di Yaryna. Neppure dopo un’intera giornata ad ascoltarla, riesce a stancarci o ad annoiarci.

Tanto rispetto per questa giovane ragazza che ha le idee chiare su quello che vorrebbe per la sua Nazione e che con determinazione ci fa comprendere come il percorso di cambiamento non sia finito con la rivoluzione, ma semmai appena cominciato. Nuove persone dovranno vigilare in modo che i vecchi manipolatori stiano lontano dai posti chiave dell’apparato politico. L’idea di sfruttare le sue capacità per trasferirsi all’estero non gli passa dalla testa, del resto qui c’è da ricostruire un Paese.

Gita fuori porta domenicale: destinazione Chernobyl (parte prima)

Giorno 8 – 4 gennaio 2015

Il meteo di oggi dice che la temperatura rimarrà attorno allo zero con la possibilità di qualche nevicata e successiva schiarita. Cosa c’è di meglio che passare la prima domenica del nuovo anno in una ridente località che ha reso famosa l’Ucraina quasi trenta anni or sono? Appuntamento alle ore 8.30 in Piazza Maidan e pronti per partire per l’ambita meta!

In realtà la centrale nucleare di Chernobyl è diventata anch’essa una destinazione, non definibile proprio turistica, ma senza dubbio interessante. Numerose agenzie di Kiev, ormai da oltre dieci anni, organizzano il tour del famigerato reattore numero 4 e delle città disabitate che sorgono attorno. Spesso era una vera e propria gara accaparrarsi un posto nei bus che accompagnano i “turisti” e i prezzi erano decisamente alti. La recente svalutazione della grivna ucraina ha di fatto dimezzato la spesa portandola da circa 200 dollari a testa a poco meno della metà. Accaparrarsi un posto d’inverno è più facile che riuscire ad entrare nella poco ambita lista di visitatori dei mesi estivi. Aggiungiamo anche che c’è una guerra in questa nazione e sarà facile capire perché siamo solo in nove a riempire il piccolo pulmino. Per la cronaca tre tedeschi, due olandesi di cui uno dotato di fidanzata ucraina, uno svedese e due italiani che ben conoscete. Completano la formazione l’autista e la guida, ovviamente indigeni.

Sbrigate le formalità economiche il viaggio può finalmente partire. Davanti a noi circa 100 chilometri risalendo il fiume Dnipro prima di arrivare al punto di controllo di Dytyatky che delimita la prima zona di sicurezza ad un raggio di 30 km dal reattore esploso all’una del mattino del 26 aprile 1986. Accompagna il nostro viaggio un simpatico schermo sul quale possiamo guardare documentari in inglese sul celebre disastro alternati a filmati di propaganda nazionale ucraina con video antiputiniani. Per riempiere il palinsesto video ci vengono somministrati anche alcuni interessanti clip musicali ambientati nella città fantasma di Prypiat che sorge ad appena due chilometri dalla centrale.

Il passaggio al punto di controllo di Dytyatky prevede l’identificazione dei presenti tramite passaporto. Numero di documento e generalità vengono solitamente fornite alle agenzie almeno dieci giorni lavorativi prima della visita, poi saranno proprio gli organizzatori del tour ad occuparsi delle procedure burocratiche per avere il lasciapassare per la zona di interdizione. Tra le raccomandazioni che ci vennero fatte via mail al momento della prenotazione c’è quella di indossare magliette e pantaloni lunghi onde evitare di esporre direttamente parti del corpo alle radiazioni. D’inverno, solitamente, nessuno dovrebbe contravvenire alla regola. Altra utile indicazione è quella di portare appresso acqua visto che l’ultimo negozio presente in zona ha chiuso i battenti sempre a primavera dell’86.

Il passaggio del checkpoint permette anche di viaggiare indietro nel tempo visto che tutta la cartellonistica e segnaletica è quella sovietica, non esistono cartelloni pubblicitari e i nomi delle strade sono quelli dell’epoca.

Il primo luogo che visitiamo è proprio la cittadina di Chernobyl che nonostante non sia la città più prossima alla centrale nucleare, ha donato il proprio nome all’infrastruttura. Chernobyl esisteva prima del 1200, mentre Prypiat fu fondata solo nel 1970 come centro per ospitare i lavoratori della centrale, quindi al momento della costruzione del sito atomico esisteva solo la città più vecchia.

Chernobyl non è completamente disabitata, gli uffici pubblici sono attivi e qualche abitante è tornato a viverci dopo l’iniziale evacuazione. I contatori geiger di cui siamo dotati registrano la stessa radioattività di Kiev o di qualsiasi luogo urbanizzato del pianeta. Stessi dati possono essere letti nel contatore geiger pubblico situato a due passi dal parco che ricorda i nomi degli oltre cento paesi evacuati in Ucraina e Bielorussia presenti nel raggio di 30 km dalla centrale.

Molte case di Chernobyl sono vecchie izbe in legno, quasi trenta anni di abbandono hanno permesso alla natura di riappropriarsi degli spazi urbani e in alcuni casi gli alberi e la vegetazione hanno contribuito al crollo delle casette. Singolare che in una casa in buone condizioni circondata da altre semi crollate, il proprietario abbia sentito la necessità di scrivere sul portone che la casa è regolarmente abitata. Il giro del paese continua con la visita alla caserma dei vigili del fuoco che per primi misero mano all’incendio successivo all’esplosione. Davanti alla struttura ancora in attività c’è il monumento che ricorda tutti coloro che per fermare la fuga radioattiva hanno perso la vita. I nostri contatori cominciano a suonare quando ci avviciniamo ai mezzi militari esposti sempre presso la caserma. Ancora oggi emettono radioattività molto sopra i livelli di guardia.

Ci spostiamo presso una struttura militare di epoca sovietica attraversando sei chilometri di fitta foresta equamente divisa tra Ucraina e Bielorussia. La visita di un’enorme antenna alta 150 metri e larga quasi 400, denominata stazione Duga-3 ci fa tornare nell’epoca della guerra fredda. Questa immensa e pazzesca struttura doveva servire ad ascoltare tutto quello che veniva trasmesso nell’Europa centrale. Il superamento della tecnologia non ha permesso che entrasse mai in funzione. La piccola escursione militare ci permette di ascoltare dalla nostra guida come la foresta circostante sia veramente ricca di animali selvatici compresi orsi, lupi e addirittura cinghiali! L’assenza dell‘uomo per lungo tempo, in un’area così vasta, ha permesso agli animali di proliferare in assoluta tranquillità creando una specie di parco naturale. Lasciamo la foresta, dove ha appena smesso di nevicare, per avvicinarci al sito dell’ex centrale nucleare.

Più ci si avvicina a Kiev e più si respira aria di guerra

Settimo giorno di viaggio – 3 gennaio 2015

Tantissimi mezzi militari sorpassati nella strada che conduce alla capitale

Con la partenza da Novovolynsk si conclude la parte solidale più sostanziosa del nostro viaggio. Le informazioni raccolte durante le nostre visite alle strutture sociali della città mineraria serviranno sicuramente per nuovi progetti di solidarietà in un futuro non troppo lontano. I volti delle persone incontrate durante questi quattro giorni ci rimarranno nella testa per molto tempo.

Non finisce l’aspetto ecologico del viaggio, i circa cinquecento chilometri che ci separano dalla capitale ucraina saranno coperti utilizzando solamente metano. Oggi non avremo il gelo a farci compagnia, visto che fin dal mattino la temperatura è al di sopra dello zero, ma le buche dell’asfalto in versione maxi pozzanghera a volte impossibili da schivare. Il termometro sale fino a 4 gradi durante la giornata regalandoci anche un’oretta di sole.

Proviamo a lavare il Peugeot Expert per rendere leggibili i nomi degli sponsor, ma la pulizia esterna del veicolo durerà appena una ventina di chilometri, giusto il tempo di documentare il rifornimento di metano nella periferia est di Volodimir-Volinsky. Si torna ad usare lo straordinario adattatore tra il sistema NGV1 e quello ex sovietico. Come in passato lo strumento è stato messo a disposizione dal nostro amico Oriano, grande viaggiatore ecologico nella tratta Romagna-Ucraina. Superato il classico scetticismo del tecnico della stazione di rifornimento si effettua il pieno di metano al prezzo di circa mezzo euro al metro cubo. I prezzi dei carburanti in Ucraina sono, calcolati in euro, circa 80 centesimi per benzina e gasolio e circa 45 centesimi per il Gpl. Non è un caso che le stazioni di Gaz (gpl) siano innumerevoli contro le circa 250 di metano ben disposte in tutto il territorio nazionale.

Si riparte verso Kiev, anzi, verso Kyiv se si usa la lingua ucraina, la sola presente nei cartelli stradali. Ovviamente le scritte sono in cirillico, ma l’alfabeto si distingue per alcune lettere da quello russo. I primi 200 chilometri di oggi sono su strade statali piene di vecchie Lada, furgoni e fuoristrada Uaz, camion Kamaz e neppure un veicolo con targa straniera se non un paio di polacchi ed un lituano. Proprio in questo tratto ci troviamo a sorpassare una colonna di circa una decina di vecchi bus con all’interno molti giovani diretti al fronte. Alcune facce sono preoccupate altre apparentemente baldanzose, la cosa che più ci impressiona è l’età media molto bassa dei ragazzi. Per un attimo pensiamo che con noi sulla nostra stessa strada ci sono circa 500 persone tra le quali, purtroppo, alcune torneranno indietro dentro una bara tornita dai colori giallo-blu. In questi momenti ci rendiamo conto della differenza tra nascere in un luogo o in un altro del nostro pianeta, della fortuna che ad oggi la nostra generazione ha avuto e del fatto che molti dei problemi quotidiani che abbiamo a casa nostra siano marginali di fronte a quello che ci poteva capitare se vivevamo qui. Sono i primi, ma non gli ultimi, mezzi militari che incontreremo oggi.

Da dopo la città di Rivne la nostra strada si ricongiunge a quella che percorremmo nel 2008 durante il viaggio che ci condusse fino a Pechino. Al posto della scalcinata strada comincia una bella “autostrada”, termine con il quale si indica una strada a 4 corsie, con spartitraffico, ma pure con attraversamenti a raso. A volte si deve condividere la corsia di marcia con trattori o carretti che ci aiutano a non superare il limite di 90 chilometri orari o quello di 60 nei pressi dei centri abitati. Poche buche ed un asfalto in buone condizioni ci permettono di guidare con serenità e tentando di non consumare inutilmente il metano.

Dopo l’ennesimo incontro con veicoli militari diretti sempre verso est decidiamo di fermarci per uno spuntino a base di vareniki e thè verde. Attorno alla strada, rispetto a sei anni fa, sono sorti come funghi piccoli ristorantini, bar, distributori di benzina che fanno dimenticare i tempi in cui si doveva portare in auto le taniche, vista la scarsità di punti di rifornimento. Invece, nonostante qualche miglioramento negli ultimi anni, torna il poco piacevole momento di discutere con la famelica polizia locale. Veniamo individuati da lontano probabilmente per la targa italiana, fermati, e attentamente esaminati assieme all’Expert. Ogni volta la fantasiosa polizia deve inventare qualcosa per estorcere denaro, la scelta ricade nel fatto che il nostro veicolo non è dotato di sedili posteriori, tolti da noi prima della partenza per creare spazio al carico di aiuti. Ormai abbiamo una certa esperienza nel gestire queste situazioni, come prima cosa si deve mantenere la calma, poi non cedere ai ricatti. Visto che non ci sono infrazioni reali e che quindi abbiamo ragione si decide di puntare tutto cercando di spiegare che non siamo businessmen o imprenditori, ma volontari che hanno portato doni per bambini e anziani in Ucraina. Citiamo la città dove siamo stati, il nome delle chiese e altre informazioni anche casuali e prive di senso. Alla fine il vorace poliziotto che parla con noi molla la presa. Gli facciamo perdere preziosi minuti e visto che deve sfruttare la giornata di tempo buono per fermare altre auto ci riconsegna i documenti e ci lascia ripartire.

Un’altra novità della cartellonistica che indica l’inizio di ogni città o paesino è la presenza dei colori nazionali giallo e blu, spesso dipinti a mano, che fino ad un anno fa erano assenti. Anche molte fermate dell’autobus sono colorate degli stessi colori e quasi ovunque si può notare murales con le scritte “Slava Ukraini” (gloria all’Ucraina). Tutto questo è frutto della fase storica che stiamo vivendo che vede un Paese cercare di affermare una propria identità. Se il giallo ed il blu sulla cartellonistica possono risultare anche piacevoli da osservare, tutto cambia quando ad essere ridipinti sono alcuni monumenti che ricordano la seconda guerra mondiale o addirittura la statua dell’orso Misha, mascotte delle Olimpiadi di Mosca ad 80 chilometri da Kiev. Con noi, a contemplare la vandalizzazione di uno degli orsi più noti del mondo, decine di soldati scesi da camion militari per una sosta fisiologica.

Il lungo attraversamento di mezza Ucraina si conclude a Kiev dopo oltre 500 chilometri percorsi in una delle traversate invernali più piacevoli che possiamo ricordare. Un’altra grande notizia è la resa dell’impianto a metano Bigas-Cavagna che tolti i 700 kg di carico passa ad una resa di 500 chilometri con un pieno con 20 kg di prezioso gas.

Dopo aver preso alloggio all’Hotel Slavutich, nella parte orientale di Kiev, ci dedichiamo ad una passeggiata nel centro cittadino che fino a pochi mesi fa ospitava i manifestanti della rivolta che ha portato l’Ucraina al centro della scena internazionale.

Il 2015 tra guerra e speranza

Notte di Capodanno e 1-2 gennaio 2015

Per la seconda volta consecutiva passiamo la notte di capodanno in Ucraina. Alle 23.55 a reti unificate irrompe il Presidente della Repubblica Petro Poroshenko per ricordare a tutti il difficile periodo per questo Paese. Chiede un minuto di silenzio, poi 10 rintocchi di campana e l’anno nuovo comincia. Le poche persone presenti nella Pizzeria Castello di Novovolynsk brindano al futuro nella speranza che la guerra non continui, la crisi economica finisca e la svalutazione della moneta nazionale si fermi. Purtroppo sarebbe già un miracolo che uno solo di questi desideri si avveri. La sfiducia verso la classe politica è massima, la cacciata del precedente Presidente, del precedente governo, dei precedenti partiti di maggioranza non ha portato quel cambiamento che tutti aspettavano. Usa ed Europa non stanno mantenendo le promesse di aiuto, la Russia si è tirata indietro. Poroshenko, oltre che essere presidente, è pure uno degli uomini più ricchi di Ucraina. Detiene il quasi monopolio del commercio del cioccolato in tutta l’ex Urss. Cerca quotidianamente di rimanere in equilibrio tra il forte rinato nazionalismo e la necessità di dialogare anche con la Russia. Di fatto scontenta tutti, ma è pur vero che chiunque al suo posto sarebbe in difficoltà. Questo è un paese diviso in due, un’anima ucraina che parla ucraino e che vorrebbe avvicinarsi all’Unione Europea e un’altra anima che si sente più vicino alla Russia, parla russo e vorrebbe che i stretti rapporti tra i due paesi rimanessero in essere. A mettere d’accordo tutti, alle 24:02 è Toto Cutugno che, sempre a reti unificate, apre il concerto di Capodanno.

 

In giro per le strade ci sono quasi unicamente giovani a festeggiare il capodanno e il tasso alcolico è decisamente elevato. Al risveglio, sotto l’albero di Natale, i bambini troveranno i doni che regaleranno il primo sorriso del 2015. La nostra giornata di inizio anno trascorre riposando, facendo visita agli amici e coordinando i numerosi impegni del giorno successivo, quando faremo visita a tutte le strutture sociali attive da parte delle comunità religiose locali.

Una premessa è d’obbligo, dopo anni dove lo stato sovietico incoraggiava l’ateismo, la libertà religiosa è arrivata in modo improvviso e con conseguenze curiose. Proselitismo da parte di molte nuove confessioni hanno riempito di chiese tutta l’Ucraina. Essenzialmente gli ucraini sono ortodossi, ma divisi in due patriarcati separati: quello di Kiev e quello di Mosca. Inutile specificare che chi si sente ucraino tende a frequentare le chiese fedeli a Kiev e chi si sente russo le altre. Ci sono cattolici vista la vicinanza con la Polonia e ci sono gli organizzatissimi evangelici. Abbiamo scelto di collaborare con la chiesa evangelica per due motivi; il primo per non infilarsi nel ginepraio delle due chiese ortodosse, il secondo per l’assenza a Novovolynsk di strutture cattoliche. Come abbiamo già detto i centri evangelici sono aperti anche ai credenti delle altre confessioni e i rapporti con le due chiese ortodosse sono buoni visto che i pastori di questo culto evitano di schiararsi sulla crisi ucraina.

 

Accompagnati da Igor e da terzo sacerdote di nome Vladimir (davvero curioso che i tre pastori si chiamino tutti così!) passiamo la giornata a fare visita a tutte le strutture presenti in città e nelle vicinanze.

 

Si comincia dal centro di riabilitazione motoria: ubicato nel secondo piano dell’ospedale pubblico della città, questo centro esiste dal 2003. Lo Stato ha concesso lo spazio, ma non mette a disposizione neppure una grivnia, la moneta locale. Il centro è diurno, ci lavorano persone quasi volontarie visto che lo stipendio è di poco più di 30 euro mensili. Prelevano coloro che devono fare riabilitazioni di ogni genere alla mattina, si occupano delle visite e delle attività fisiche, mangiano assieme, riposano e naturalmente pregano. I macchinari sono spesso obsoleti, timidamente la responsabile del centro ci chiede se gli possiamo trovare una cyclette di seconda mano. Ci viene naturale pensare quante ne vengono gettate via nelle discariche o inceneritori italiani.

 

Le comunità per alcolizzati e tossicodipendenti: fuori città e lontano dalle tentazioni ci sono sette casette in campagna destinate a questa diffusa categoria di persone. Visitiamo una izba, a circa 10 chilometri dal centro cittadino. Vivono nella struttura due operatori e 5 ospiti dalla faccia decisamente sofferente. Non c’è neppure l’energia elettrica, solo una batteria da automobile permette il minimo funzionamento delle lampadine. Una bella stufa in ghisa sostituisce il riscaldamento. Gli ospiti allevano animali, coltivano l’orto, tagliano la legna, si preparano i pasti, leggono testi sacri e naturalmente pregano. Dopo sei mesi di isolamento vengono riportati in città per vedere se il percorso rieducativo ha funzionato. I risultati negativi sono alti, i più fortunati riescono a reinserirsi, chi non riesce, se vuole, torna nella casetta in campagna.

 

Il centro diurno per bambini: e’ più di un dopo scuola, visto che molti bambini con difficoltà familiare si rifugiano qui per passare qualche ora serena lontano dalla famiglia. Molte situazioni vedono un genitore o entrambi fortemente alcolisti con le conseguenze che molte frustrazioni vengono scaricate sui loro piccoli. Il centro sta cercando di trasformarsi in un luogo aperto 24 ore che possa essere rifugio per questi bambini. Alcuni degli ospiti sono orfani che grazie a qualche parente più o meno prossimo non sono finiti in un orfanotrofio. Si passa le giornate studiando, imparando a cucire, cucinare, giocare e naturalmente pregare.

 

La casa famiglia di una giovane coppia: Sasha e Tania hanno meno di trenta anni e quattro figli. Con loro vive anche una diciottenne che si è allontanata volontariamente da casa. Stanno finendo di costruire la loro abitazione con  l’aiuto della chiesa. La casa ospiterà almeno dieci bambini orfani che verranno affidati a questa struttura. L’obiettivo è quello di creare una casa famiglia dove i due giovani sposini, con l’aiuto di qualche volontario, cresceranno assieme sia i propri figli che quelli che gli verranno dati in affidamento. La casa è davvero bella e Sasha ci tiene a raccontare che tutto il lavoro di costruzione è passato attraverso le sue mani. Ormai due piani su tre sono completati e con l’aiuto di varie donazioni anche l’arredo delle camerette è pronto. Dovrebbe essere imminente l’arrivo dei primi ospiti che si aggiungeranno ai figli naturali della coppia. L’attività in questa struttura sarà quella di vivere come una grande famiglia allargata dove la normalità della vita e la riscoperta degli affetti dovranno essere, assieme alla preghiera, protagonisti.

 

Quello che emerge da queste giornate è una cosa che avevamo ben compreso anche l’anno passato in Russia. Dopo la caduta dell’Urss lo stato sociale non esiste più. Se dipendesse dal governo russo o ucraino malati, orfani, diversamente abili, portatori di handicap o anziani non in grado di mantenersi economicamente sarebbero abbandonati a loro stessi. Solo le chiese e le varie confessioni spesso ben coordinate tra loro, si occupano del sostegno dei meno fortunati. Ecco perché gli aiuti che vengono portati dalle persone più diverse nel corso del tempo fanno la differenza nella crescita di queste realtà indispensabili.

 

In ogni occasione di incontro, in tutte le strutture visitate, le parole di ringraziamento e le numerosi benedizioni a noi e per il proseguo del nostro viaggio sono state davvero tante. Speriamo di poter continuare a fare qualcosa per tutte queste persone.