Ritorno da Volgograd – Giorno 2

Con il corpo a Odessa, con la testa a Volgograd
Le notizie in arrivo dalla ex Stalingrado condizionano il nostro viaggio di ritorno.

Sveglia di buon ora nella cittadina di Berdjans’k, visto che prima di partire verso Odessa dobbiamo fare aggiornamenti al sito internet e commissioni bancarie nella brulicante piazza del paese. Mentre facciamo colazione nell’austero albergo che porta il nome del paese dove ci troviamo, apprendiamo la nuova terribile notizia appena arrivata da Volgograd: la tv annuncia un nuovo attentato. Subito entriamo in contatto con Emanuele che ci conferma la notizia, il considerevole numero di morti e feriti e l’inquietante fatto che stavolta il luogo dove il kamikaze si è fatto saltare è un mercato periferico molto vicino alla casa della Associazione Giovanni XXIII. Per l’esattezza è il mercato Kachinskij, dove si ferma il tram che solitamente ci portava nel centro cittadino ed a pochi metri dalla palestra dell’Istituto Tecnico che abbiamo frequentato per giocare a pallavolo nei giorni scorsi. È davvero fastidioso pensare che entrambi i luoghi degli attentati siano zone della città dove siamo più volte passati, dove ci siamo spesso fermati, dove abbiamo trascorso piccole parti delle nostre giornate. Esattamente come quelle persone che entravano alla stazione ferroviaria nella mattinata di domenica o che andavano al lavoro con il filobus di lunedì. Magari mentre eravamo in questi luoghi, vicino a noi poteva esserci colei o colui che prendevano riferimenti e misure per l’azione che avrebbero fatto nei giorni successivi. Solo a pensare questa cosa vengono i brividi.
Emanuele ci racconta l’umore dei suoi coinquilini e degli altri amici che vivono in città, come del resto ci conferma la sua ferma intenzione di non mettere in dubbio il prosieguo della sua presenza in città. Anche Guido e Giacomo, ormai dalla lontana Ucraina, condividono l’opinione di Emanuele anche se scherzando si dicono pronti a tornare indietro per un eventuale recupero.

In queste ore molti amici ci chiedono perché sia stata scelta proprio Volgograd per questi criminali gesti eclatanti e cosa ci sia dietro. La risposta è probabilmente che i mandanti di queste azioni terroristiche sono organizzazioni che lottano da anni per la costituzione di stati islamici nel Caucaso russo. Noti sono i nomi di Cecenia e Daghestan e azioni forti come la strage del teatro Dubrovka a Mosca nel 2002 (circa 150 morti) o della scuola di Beslan nel 2004 (quasi 400 decessi di cui molti bambini). Circa due mesi fa, sempre a Volgograd una kamikaze fece saltare un bus di ritorno dall’università con diversi morti e feriti. La conseguenza di quel gesto fu un aumento delle misure di sicurezza nella città sul Volga. Noi stessi abbiamo osservato come nelle stazioni dei tram o dei bus ci siano manifesti e video con vignette e cartoni animati che spiegano i comportamenti da prendere se nel veicolo si nota qualcosa di strano. Evidentemente il rafforzamento delle misure di sicurezza non è stato sufficiente. Volgograd con il suo milione di abitanti è la città più grande con popolazione russa nei pressi dell’aerea caucasica. Altre città come la prossima sede olimpica di Soci sono maggiormente presidiate e geograficamente più difficili da raggiungere, poiché protette da montagne alte migliaia di metri. Volgograd, invece, è un isola in mezzo alla steppa con nessuna altra città nei pressi. Una volta che con un facile viaggio il terrorista la raggiunge, ha tutto il tempo di architettare l’attentato dopo, magari, giorni di appostamenti. Molte sono le persone di origine caucasica che vivono in questa città, questo rispetto ad altri luoghi permette al terrorista di mimetizzarsi molto meglio che a Mosca o a San Pietroburgo. Immaginate cosa succederà da adesso in poi nelle città russe dove, in qualsiasi mezzo pubblico, chiunque porti la barba o abbia una carnagione più scura o capelli non chiari, sarà oggetto di attenzioni da parte della polizia e di perplessità della gente. Due dei tre attentatori sono donne, vedove di militanti islamici uccisi negli anni passati dalle forze di polizia russe. La situazione in Caucaso è da anni molto delicata, a livello di mix etnico convivono più o meno facilmente ortodossi, cristiani, musulmani e addirittura buddisti. Oltre alle repubbliche ex sovietiche di Georgia, Armenia ed Azerbaigian esistono stati non riconosciuti dall’Onu come Abcasia, Ossezia meridionale e Nagorno-Karabak. A questi vanno aggiunte le repubbliche autonome facenti parte della Federazione Russa come Cecenia, Daghestan, Cabardino-Balcaria, Inguscezia, Ossezia settentrionale, Caracai-Circassia, Adigezia. In alcune di queste ultime, movimenti armati mettono in dubbio la sovranità russa sui loro territori. Se da alcuni anni nelle città la situazione è apparentemente normalizzata, nelle montagne prosegue una guerriglia di fatto mai interrotta dall’inizio degli anni ’90, che continua a costare vittime civili e militari. Le Olimpiadi invernali di Soci rischiano di diventare una vetrina per i terroristi che con le azioni a Volgograd hanno dimostrato di riuscire ad alzare notevolmente il tiro. In tutto questo chi ci rimette è la popolazione civile, sia russa che delle altre etnie, che vede peggiorare la propria sicurezza e allo stesso tempo crescere la discriminazione razziale nei confronti di chi emigra o scappa dalle regioni calde del Caucaso.

Per la cronaca la giornata di viaggio è proseguita lenta e tranquilla, fra esercitazioni nell’arte di evitare le buche delle micidiali strade ucraine, che in questa zona sono completamente prive di neve, prove di orientamento nelle grandi città prive di tangenziali (in particolare modo Melitopol’ e Mykolaev) e rifornimenti di metano alla partenza di Berdyans’k e a Mykolaev. Gli ultimi cento chilometri si sono svolti come sempre in notturna, mentre l’ultima fatica della giornata è stata attraversare mezza Odessa per raggiungere l’albergo Octobrjaskaja dove soggiorneremo due notti. Cena in centro in un locale retrò in stile ex sovietico e passeggiata per i mercatini di natale della bella città portuale. Fa un effetto curioso vedere le persone comprare i regali e costatare come ci siano ancora numerosi clienti per i negozi che vendono ancora gli alberi di Natale in un Paese dove la nascità di Gesù sarà festeggiata il 7 gennaio e nel quale è proprio Capodanno il momento dello scambio dei doni. Nella giornata di domani, che vedrà il nostro diario di viaggio accorparsi a quello del primo gennaio, ci riposeremo visitando Odessa e i suoi monumenti principali cercando anche un luogo per trascorrere un Capodanno all’insegna della sobrietà dato lo stato d’animo che ci accompagna.

I primi dati dei rifornimenti di metano e gasolio durante il viaggio di ritorno sono confortanti, nonostante alcuni problemi di traffico avuti nella giornata di ieri. Nei circa 1200 chilometri tra Volgograd e la città ucraina di Mykolaev abbiamo consumato circa 67 litri di gasolio e appena 50 di metano. La spesa ai prezzi locali per percorrere questa distanza è stata di circa 70 euro: con i prezzi italiani, invece, sarebbero stati circa 160 euro. Il risparmio rispetto al consumo di un veicolo solo diesel è di circa il 25% in meno, ma sottolineiamo ancora una volta che questo è un dato minimo visto che siamo rimasti a lungo bloccati nel traffico cittadino di alcuni centri urbani. Fino a Rostov na Donu, prima di rimanere quasi fermi per tre ore in una coda apocalittica, i dati indicavano un consumo di 23 litri di gasolio e 19 kg di metano su una distanza di 500 chilometri!

Ritorno da Volgograd – Giorno 1

Lasciamo Volgograd nel giorno più infame. Appena lasciata la città veniamo a sapere della strage della stazione.

Questa triste pagina di diario tiene solo marginalmente conto del grave fatto accaduto alla stazione ferroviaria della città dove abbiamo vissuto undici giorni. Nelle prossime ore pubblicheremo un resoconto solo su questo argomento cercando di esaminare il perché di questi episodi di violenza, che uccidendo innocenti non possono essere utili a nessuna causa.

Assieme alla nostra partenza arriva la parte più fastidiosa delle insidie del Generale Inverno, il ghiaccio. Da alcuni giorni le temperature erano scese, ma la spruzzatina di neve della giornata di ieri ha trasformato l’asfalto e i marciapiedi in superfici decisamente scivolose. Di primo mattino assistiamo a numerose scivolate di pedoni mentre attraversano al strada o aspettano il tram.
Tutto questo serve da monito ad una guida attenta, visto che le prime due ore di viaggio saranno accompagnate dall’oscurità, grazie all’abolizione dell’ora solare di cui abbiamo già parlato nel viaggio di andata.
L’ultimo atto in quel di Volgograd sono i rifornimenti di gasolio e metano a prezzi incredibilmente convenienti. Un litro di gasolio costa circa 0,65 euro, un metro cubo di metano appena 0,20! Per completezza di informazione: la benzina è attorno agli 0,67 euro e il gpl ben 0,33. Tra l’altro non mancano i distributori: nella zona di Volgograd ci sono tre stazioni di metano delle quali la più comoda è sulla tangenziale nei pressi del bivio per Rostov, la nostra direzione.

Comincia quello che sarà il nostro lungo viaggio di ritorno, che ci vedrà riattraversare tutta l’Ucraina, questa volta seguendo la costa del Mar Nero. Negli occhi e nelle orecchie ancora restano i saluti di Marco, Ruslan, Andrej, Jura, gli amici della casa che ci ha visto ospiti per undici giorni. L’ultimo saluto è quello di Dik, che ci regala l’immancabile leccata, massimo gesto di affetto nel mondo canino.

Emanuele scatta l’ultima foto del nostro Daily che parte dall’innevato parcheggio davanti a casa, e noi lo salutiamo dal finestrino nonostante la temperatura sconsigli il gesto. Ora, invece, non ci passa minimamente per la testa di muovere i finestrini: il rischio che il gelo blocchi il meccanismo di apertura è alto, come del resto sarebbe potuto succedere alle serrature del veicolo, sulle quali abbiamo spruzzato quotidianamente spray antigelo.

I primi 350 chilometri, lungo la M-21,  sono gli unici che coincidono on il viaggio di andata, con la differenza che stavolta li facciamo di giorno ammirando il panorama della steppa innevata che circonda la regione di Volgograd. È spettacolare riuscire a vedere il Don completamente gelato nei pressi del grande ponte di Kalač-na-Donu, che grazie al ghiaccio sulla strada percorriamo a meno di 30 km orari.
Proprio in questo momento, superato il Don, cominciano ad arrivare le notizie dell’attentato alla stazione di Volgograd. I primi sms arrivano dall’Italia, poi la radio russa annuncia il fatto, infine la conferma da Emanuele. L’argomento diventa il triste protagonista della nostra giornata e seguiamo in radio tutte le informazioni sulla cosa. Molti amici ci contattano per sapere se siamo coinvolti, ma almeno Giacomo e Guido sono ad oltre 150 chilometri dalla città. Emanuele invece era nei pressi della stazione, ma non è stato coinvolto se non nel vedere il terribile spettacolo poco dopo l’accaduto.

Alla fine della mattinata passiamo sulla M-4, la veloce strada che collega Mosca con il porto di Rostov-na-Donu, alla foce dell’omonimo fiume, dove effettuiamo il secondo rifornimento di metano. Lasciati Rostov e il suo fumoso traffico, che ci blocca per oltre due ore, facciamo passare sotto le nostre ruote gli ultimi chilometri di Russia presentandoci alla frontiera di Taganrog-Novoazovsk. Il confine è situato lungo la strada più diretta verso la Crimea ed Odessa, ma essendo decisamente lontani dall’estate non temiamo particolare file. Invece sbagliamo: dopo l’attentato alla stazione di Volgograd le misure di controllo a tutti i veicoli in uscita dalla Russia sono molto più attente e ci costringono ad oltre due ore tra fila e ispezioni minuziose al nostro veicolo.

Contrariamente al viaggio di andata, stavolta il confine ci permette di guadagnare due ore di fuso orario che in parte si compensano con il tempo perso in dogana. Siamo in Ucraina ed è buio pesto. La  prima considerazione è l’aumento della temperatura visto che tocchiamo i 4 gradi, che sono il record positivo del viaggio. La seconda è il peggioramento del manto stradale e la scomparsa della cartellonistica nei pressi della città di Melitopol. Il risultato è il perdersi dapprima nella città e successivamente nelle campagne circostanti. Alla fine recuperiamo la strada giusta dopo aver dissipato un’altra oretta. Arriviamo a Berdjans’k, città di sosta anche nella Roma-Volgograd 2011, dopo oltre 14 ore di viaggio e circa 750 chilometri di strada. Berdjans’k è una meta del turismo estivo e nonostante siamo fuori stagione ci permette di trovare un alloggio confortevole e un ristorante per un’ottima cenetta a base di vareniki e carne alla Stroganoff bagnati con vino georgiano della regione di Khaketi.
Esausti ci rifugiamo nelle stanze dell’Hotel Berdjans’k da dove domani tenteremo di raggiungere Odessa in un’unica giornata di viaggio.

Go West!

Partita questa mattina la spedizione di ritorno da Volgograd dell’Associazione Torino-Pechino

Dopo 11 giorni di permanenza a Volgograd, la ex Stalingrado, per due dei tre membri dell’Associazione Torino-Pechino, Giacomo Benedetti e Guido Guerrini, è arrivato il momento di ripartire. Emanuele Calchetti, invece, si trattterrà fino a meta marzo in terra russa continuando la collaborazione con la Comunità Giovanni XXIII che fino a questo momento ha ospitato tutto il team.
Per l’Iveco Daily della Piccini Impianti comincia un nuovo test di poco meno di 4.000 chilometri, finalizzato a capire se i buoni risultati, relativamente ai consumi, del viaggio di andata siano ripetibili. Un esito che ha lasciato positivamente stupiti anche tutti coloro che hanno scelto l’impianto Landi Renzo per questo viaggio inusuale e teso a dimostrare l’affidabilità del sistema che miscela gasolio e metano.
Il viaggio di ritorno si svolgerà lungo un itinerario più meridionale di quello dell’andata, seguendo la costa del Mar Nero, percorrendo una strada più lunga, ma allo stesso tempo meno problematica dal punto di vista delle temperature. Capodanno in movimento per Guerrini e Benedetti, con ogni probabilità nella città portuale di Odessa, in Ucraina. Nei primi giorni di gennaio, dopo aver attraversato Moldavia, Romania, Serbia, Croazia, Slovenia e mezza Italia, il Daily sarà di nuovo pronto per riprendere il normale servizio lavorativo, senza dubbio su tratte stradali meno impegnative.
“La scelta di un itinerario di ritorno differente non è solo legato alle condizioni climatiche meno proibitive, ma anche al proseguimento del censimento dei distributori di metano dell’ex Unione Sovietica” precisa Guido Guerrini, che aggiunge che “grazie al nostro lavoro è possibile mettere a disposizione informazioni per tutti coloro che con un’auto normale o un veicolo pesante vogliono raggiungere la Russia usando come combustibile principale il metano”.
Convinto della positività della propria esperienza pure il pievano Giacomo Benedetti, che sottolinea che “oltre quindici giorni tra Ucraina e Russia mi hanno aiutato a comprendere meglio questi paesi dei quali in Italia si parla davvero poco. È da sottolineare”, aggiunge, “come attraverso esperienze di vita quotidiana sia stato possibile entrare in contatto con molte persone del luogo, una ricchezza che solo viaggi come questo possono regalare”.
Per Emanuele Calchetti, che per la terza volta si tratterrà a lungo in terra russa, “è strano non essere a bordo dopo aver condiviso un viaggio d’andato ricco di momenti interessantissimi e divertenti, ma  altrettanto stimolante e arricchente sarà rimanere qui a Volgograd, che ormai è la mia seconda casa”.
Con la nuova partenza dell’equipaggio riprenderà la pubblicazione quotidiana del diario di bordo nei portali www.torinopechino.it e www.ecomotori.net.

La settimana di Natale a Volgograd

Breve testimonianza di un 25 dicembre non festivo in una delle parrocchie più grandi del mondo.

Il 25 e il 26 dicembre, qui in Russia, non sono giorni rossi sul calendario. Scismi che si perdono nei secoli (circa 1000 anni fa) e calendari che dai tempi di Papa Gregorio XIII (1582) non collimano hanno creato differenze nelle date in cui ortodossi e cattolici festeggiano il loro Natale. Secondo il calendario della Chiesa Russa Ortodossa il Natale si festeggia il 7 gennaio e di conseguenza tutte le ricorrenze si spostano in avanti di 14 giorni. Ma le differenze non finiscono qui, visto che anche altri aspetti tradizionali cambiano notevolmente. Babbo Natale vestito di rosso che porta i doni alla vigilia di Natale esiste sono nei supermercati ed è relegato ad un aspetto meramente consumistico. La tradizione vede Nonno Gelo (Ded Moroz) vestito di blu, o in alternativa di bianco, portare i doni a grandi e piccini il 31 dicembre. Nonno Gelo non vive né al Polo Nord e neppure a Rovaniemi: arriva da Velikij Ustjug, nel nord della Russia europea, e solitamente è aiutato da un nipotina di nome Sneguročka, che spesso assume le vesti di una bella ragazza.

Ma quanti sono e chi sono i cattolici in Russia? Si tratta di una minoranza nelle minoranze, perché non ci sono particolari motivi storici per giustificare la presenza della confessione religiosa cattolica romana in queste lande, quindi quasi tutti i frequentatori delle parrocchie sono membri di famiglie di origine polacca, tedesca, lituana, ucraina, armena, molti italiani ed europei che vivono qui e numerosi studenti universitari di origine africana o asiatica. Abbiamo partecipato alla messa di Natale nell’unica chiesa cattolica di Volgograd, dedicata a San Nicola: tra le circa 200 persone presenti, quasi tutta la comunità locale, si notava una forte multietnicità, a cominciare dal sacerdote di origine indonesiana. La cerimonia, ovviamente in lingua russa, è durata oltre un’ora e mezza ed è stata decisamente imponente, con una partecipazione forte di una piccola comunità che nell’indifferenza generale ha vissuto quello che è il momento più importante del proprio credo. Tra i partecipanti alla cerimonia religiosa, in prima fila, i pope ortodossi locali che con spirito ecumenico hanno condiviso questo momento con i cattolici.
Se si desidera frequentare la messa in un’altra parrocchia bisogna fare dai 300 ai 500 chilometri per raggiungere Elista, Astrachan’ o Saratov, quest’ultima sede del vescovato. Una diocesi immensa che comprende tutta la parte meridionale della Russia e comincia poco a sud di Mosca per arrivare in fondo al Caucaso. Alcune informazioni per comprendere meglio: la diocesi di Saratov, dedicata a San Clemente, si estende nei territori delle repubbliche autonome di Adihezia, Baschiria, Ciuvascia, Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Calmucchia, Karacaj-Circassia, Mordovia, Ossezia settentrionale-Alania, Cecenia, Tatarstan e nelle provincie di Belgorod, Orenburg, Penza, Rostov, Samara, Saratov, Tambov, Uljanovsk, Volgograd, Voronez, Astrachan’, Krasnodar e Stavropol. Un territorio pari a 4,5 volte l’Italia suddiviso in 57 parrocchie. Su 47 milioni di abitanti, i cattolici sono circa 35.000: meno dell’uno per mille, mentre i religiosi che operano sono una settantina tra uomini e donne.

I nostri amici di Volgograd, ortodossi, con curiosità ci hanno chiesto come viene vissuto il Natale nella nostra tradizione, cosa si mangia, come ci si comporta, ed hanno provato ad essere partecipi assieme a noi della nostra festa.

Nella parte sociale del nostro viaggio, dedicata agli aiuti che portavamo con noi nel Daily, in questi giorni abbiamo concretizzato la parte relativa alla consegna dei materiali ai senzatetto di Volgograd e alle comunità di Astrachan’ ed Elista, le altre sedi della Giovanni XXIII in Russia. Le consegne sono avvenute nelle mattinate del 23 e del 26 dicembre presso la piccola mensa Caritas ubicata nella parte settentrionale della città. Alcuni dei capi di vestiario raccolti in Valtiberina, grazie alla collaborazione di molte persone a cui va il nostro ringraziamento e delle aziende Bma e “Io vivo in Toscana”, sono stati consegnati direttamente ai senzatetto. Altri sono fermi al deposito Caritas onde evitare fenomeni di accaparramento e conseguente rivendita da parte dei senzatetto più furbi. Quindi i materiali sono filtrati e consegnati durante l’intero inverno sotto la supervisione dei volontari.

La situazione in questi tre anni, da quando frequentiamo Volgograd, non è molto migliorata. Se la locomotiva Russia cresce dal punto di vista economico, i vagoni che rimangono indietro non hanno speranze di recupero. Molte delle persone di cui raccontavamo le problematiche sociali nel libro “Via Stalingrado” sono ancora al loro posto nelle strutture abbandonate e senza tetto nel parco dell’Ospedale numero 12 di Volgograd, non si registrano reinserimenti sociali, semmai decessi. Una vita per strada con problematiche peggiori di un “barbone” italiano, viste le temperature che costringono per sopravvivere ad accamparsi nei pressi delle tubature del gas che emanando calore attenuano i rigori dell’inverno. In una nazione dove lo stato sociale è assente, queste persone sopravvivono grazie alla Giovanni XXIII e alle altre realtà che collaborano con la Caritas locale.

Giunta a Volgograd la spedizione dell’Associazione Torino-Pechino

In sei giorni l’Iveco Daily dual fuel dell’azienda Piccini Impianti ha percorso 3595 chilometri nelle fredde strade dell’Est Europa con performance sorprendenti.

Si è conclusa mercoledì 18 dicembre la prima parte del nuovo viaggio organizzato dall’Associazione Torino-Pechino. L’Iveco Daily dual fuel gasolio-metano della Piccini Impianti ha raggiunto la città di Volgograd, in Russia, dopo aver percorso 3595 chilometri.
Il tragitto, prima dell’ingresso in Russia, si è snodato attraverso l’Austria, l’Ungheria e l’Ucraina, con soste nelle città di Brody, Kiev, Valki e Lugansk. In particolare nella capitale Ucraina i tre viaggiatori Guido Guerrini, Giacomo Benedetti ed Emanuele Calchetti hanno avuto modo di documentare da vicino la particolare situazione politica che sta interessando lo stato ex sovietico e di effettuare approfondimenti diretti su un tema di stretta attualità nei telegiornali di tutto il mondo.
Durante il percorso è stato possibile effettuare costantemente rifornimenti di metano, con il solo accorgimento di utilizzare adattatori che permettessero di uniformare i tre sistemi di erogazione in uso in Italia, nel resto dell’Europa occidentale e nell’Europa orientale.
Il viaggio ha dimostrato l’affidabilità del nuovo sistema di alimentazione installato nel furgone, un impianto dual fuel realizzato dall’azienda Landi Renzo di Cavriago che mescola gasolio e metano. L’impianto ha garantito rese ottimali anche in condizioni climatiche decisamente avverse e a temperature polari. Entrando nel tecnico, il consumo complessivamente registrato è stato di 152 litri di gasolio (23,65 km/l) e 121 kg di metano (29,71 km/kg). Considerando i prezzi italiani del gasolio (1,7 euro al litro) e del metano (un euro al litro) la spesa complessiva sarebbe stata di 379,40 euro (mentre nella realtà è stata minore per il minor prezzo dei carburanti in Ucraina e Russia). Lo stesso viaggio utilizzando solo il gasolio, ipotizzando un consumo di 9,5 km/litro, sarebbe invece costato ben 642,70 euro. Il risparmio garantito dall’impianto è stato quindi di 263,30 euro, pari al 41% del totale. “Il dato particolarmente buono è giustificato anche da parametri oggettivi”, spiega Guido Guerrini: “raramente durante il viaggio le condizioni stradali e atmosferiche e severi limiti di velocità hanno permesso di superare i 100 km orari. A tutto questo va aggiunto uno stile di guida impostato sul modello “eco-drive”, fondato sull’utilizzo di marce alte e cercando di mantenere velocità costanti. Altro elemento da tenere in considerazione”, aggiunge Guerrini, “è che secondo i nostri riscontri i carburanti utilizzati in Ucraina e in Russia sono apparsi più performanti rispetto a quelli della prima parte del viaggio”.

All’arrivo a Volgograd i tre valtiberini sono stati accolti da responsabili ed ospiti della locale sede dell’Associazione Giovanni XXIII, che si occupa di progetti di assistenza ad emarginati e senzatetto. Uno degli obiettivi del viaggio era infatti quello di portare avanti la collaborazione con questa realtà, iniziata ormai tre anni fa, e che si è concretizzata anche in questa occasione con la consegna di un discreto carico di cibo e soprattutto vestiario pesante per l’inverno. Il materiale era stato raccolto in Italia grazie alla solidarietà di singoli e aziende ed è stato depositato presso la sede dell’associazione che nei prossimi giorni provvederà a distribuirlo ai bisognosi.
Per Giacomo Benedetti, per la prima volta a Volgograd, “è stato molto emozionante immaginare di battere le stesse strade che nei duri anni della Seconda guerra mondiale erano percorse dai nostri nonni in una sciagurata impresa che ha segnato le sorti dell’Europa intera. Volgograd ha un fascino particolare”, aggiunge il 33enne di Pieve Santo Stefano, “poiché si percepisce la sacralità di questa città per il popolo russo”.
Mentre Guerrini e Benedetti ripartiranno per l’Italia tra circa una settimana, Emanuele Calchetti si tratterrà in Russia ancora tre mesi: “Questa realtà è interessantissima”, dice, “e in questo periodo avrò modo di collaborare con la Giovanni XXIII in molte attività, tra le quali è in programma la realizzazione di piccoli documentari sulla realtà sociale di Volgograd”.
La spedizione di ritorno verso Sansepolcro, con a bordo due soli viaggiatori, partirà subito dopo Natale attraverso un itinerario che verrà definito in base alle condizioni climatiche. Il diario di viaggio delle singole tappe è consultabile nei siti www.torinopechino.it e www.ecomotori.net.

Ritorno a Volgograd – Giorno 6

L’ultimo risveglio in Ucraina è di quelli difficili. Siccome perderemo due ore di fuso orario passando la frontiera, decidiamo di anticipare la partenza per non subire passivamente la perdita di due importanti ore di viaggio. È curioso passare da un’ora di anticipo rispetto all’Italia alle tre ore che avremo stasera. Fino a poco tempo fa le ore erano due, ma una delle recenti riforme di Putin ha previsto la soppressione dell’ora solare e l’accorpamento dei fusi orari che da 11 scendono a 6. Questo comporta che da una zona all’altra della Russia l’orario cambia di due ore alla volta. Per alcuni aspetti è una riforma interessante visto che semplifica la vita di coloro che vivono in vaste aree della Russia, ma come controindicazione ha il fatto che in ogni confine di fuso orario il salto orario è significativo.

Usciamo dalla laboriosa e trafficata Lugansk senza incontrare grossi problemi. Ovviamo alla carenza di cartellonistica orientandoci verso un’accecante alba che ci guida verso est. Invece a Krasnodon la cartellonistica c’è, ma delle due è ingannevole: per farci evitare il centro cittadino ci spinge verso stradine periferiche completamente gelate, dove sperimentiamo la prima leggera scivolata su ghiaccio del nostro lungo Daily. La gita attorno al paese prosegue con un paradossale tour attorno ai “terrakony” delle miniere di Krasnodon. Sono le uniche asperità che rendono meno noiosi i piatti panorami locali. Come ci è capitato più volte in passato osservare, il terrakon è davvero interessante: si tratta di montagne, solitamente a forma di cono vulcanico, composte della terra estratta dalle miniere che a seconda di stagione, riflessi del sole e vegetazione, riescono ad assumere colorazioni cangianti.

Recuperiamo la strada principale calcolando in almeno mezz’ora il tempo perso. Gli ultimi chilometri di Ucraina sono senza dubbio i peggiori, con strada gelata e ricca di buche. Arriva finalmente il momento della dogana che più temiamo, quella di Izvarine-Donec’k, che ben conosciamo per esserci passati altre volte. Le operazioni sul lato ucraino si ultimano in appena venti minuti. Passiamo alla Russia, dove solitamente la burocrazia regna sovrana, e anche quando tutto fila liscio le attese non sono brevi. Dopo la compilazione delle carte di immigrazione e l’ammissione in dogana si passa al controllo passaporto, dove la bionda e carinissima funzionaria, della quale segnaliamo un convincente smalto blu, alterna sorrisi a perplessità sulle differenze tra il visto di Emanuele (scopi umanitari) e quello di Guido e Giacomo (turistico). Nel frattempo il conducente designato, in questo caso Guido, affronta le problematiche relative al furgone cominciando dall’ispezione del carico. Vestiti, cibi, vini, il tutto viene da noi spacciato per regali di Natale e Capodanno onde evitare domande sui motivi umanitari del viaggio e sulla destinazione finale degli aiuti. Dubbi nascono anche dal fatto che il veicolo dell’azienda Piccini viene portato in Russia da soggetti che apparentemente fanno turismo. Per fortuna i dubbi non si trasformano in ennesime problematiche. L’ultima perla viene da un baffuto doganiere che ci chiede degli euro in moneta per la sua collezione numismatica. In un primo momento pensiamo al ritorno di moda della corruzione, invece il nostro amico seleziona con cura le monetine che gli mancano lasciandoci tutte le altre.

Eccoci finalmente in Russia dopo altre due ore (senza contare le due di fuso orario), ma ancora senza aver completato le formalità, ovvero la copertura assicurativa. L’ufficio al di fuori della frontiera è gestito da tre ragazze all’interno di un prefabbricato nel quale veniamo ospitati. Sediamo in un letto e assistiamo alla compilazione dei moduli che ci riguardano. Cinquanta euro completano il percorso. Le tre assicuratrici riescono a rifilare al conducente designato anche un’ulteriore assicurazione medica probabilmente inutile.

Conquistati dei rubli nella banca più vicina ed effettuata una lunga sosta ad un passaggio a livello dove transita un treno merci con ben quattro locomotori, siamo lungo la M-21, la lunga strada che ci condurrà a Volgograd. Prima di affrontare gli ultimi 300 chilometri ci concediamo un pranzetto a base di plov e pel’meni.

La M-21 è molto buona e di facile percorrenza nei mesi caldi, ma d’inverno è un nastro d’asfalto nel bel mezzo della steppa dove è facile che il vento porti la neve al centro della strada. Alterniamo momenti di veloce percorrenza ad altri dove la cautela deve essere massima soprattutto perché, volendo arrivare al traguardo finale, viaggiamo almeno due ore con il buio e quindi con il ghiaccio.
Emozionante, nonostante l’oscurità, è il consueto passaggio da Kalač-na-Donu con il ponte sul fiume Don e tutti i ricordi che si porta dietro soprattutto per noi italiani.

A meno di cento chilometri da Volgograd ci prendiamo un grande spavento quando ci troviamo al centro della strada un insolito cumulo di neve. In realtà si tratta della linea di separazione tra due corsie, una di marcia ed una di svolta, ma dove gli spazzaneve hanno lasciato i residui del loro lavoro. Ecco quindi che, impossibilitati a cambiare direzione a causa di altre auto, finiamo dritti nel cumulo bianco. L’unico correttivo che riusciamo ad applicare è rallentare la corsa del Daily poi definitivamente fermato, in modo soffice, dalla neve. Apparentemente le ruote non fanno presa nel manto nevoso e fatichiamo non poco ad uscirne combinando molte retromarce a piccoli avanzamenti. Riprendiamo il cammino e forti dell’insolita esperienza raddoppiamo la prudenza.

Alle 21,15 minuti dell’ora di Mosca (le 18,15 in Italia) siamo all’ingresso di Volgograd. Nonostante l’oscurità ci concediamo lo sfizio della foto con la storica insegna che porta i tre nomi di questo luogo: Caricin (Tsaritsin), Stalingrado e infine Volgograd, come la città si chiama dal 1961. Torneremo nei prossimi giorni a glorificare il nostro veicolo con delle foto diurne.

Se le strade cittadine principali sono state ripulite dalle grandi nevicate dei giorni scorsi, lo stesso non si può dire per le stradine del quartiere tzigano dove è ubicata la sede della Comunità Giovanni XXIII. Galleggiando tra la neve, e faticando per l’ultima volta in questo lungo giorno, raggiungiamo la destinazione, e troviamo ad aspettarci Marco, Ruslan, Jura, il tedesco Jonas e il fido cane Dik. Finalmente svuotiamo il Daily e saturiamo dispensa e magazzino del luogo dove saremo ospitati. Nei prossimi giorni, quelli più prossimi al Natale, i materiali saranno distribuiti ai senzatetto che la comunità segue.

La giornata conclusiva dell’ultimo giorno del viaggio di andata si chiude con un cenone a base di pel’meni e vino italiano, accompagnato dai racconti di Marco che ci aggiorna sulle novità che caratterizzano la vita della città.

Ritorno a Volgograd – Giorno 5

Sveglia mattutina a temperature più basse del solito. Affacciarsi alla finestra e vedere l’adiacente lago gelato, ora illuminato dalla luce mattutina, ci fa sentire molto lontani da casa. La signora che gestisce il motel è molto orgogliosa del panorama invernale di cui si può godere e conveniamo con lei sul fatto che sia decisamente “krasìvo” (bello). Lo specchio d’acqua è popolato da diverse persone: oltre a quelle impegnate a pescare c’è perfino un ragazzo che, armato di mazza, disco e ginocchiere, si allena da solo a giocare ad hockey. Anche noi ci avventuriamo in una veloce passeggiatina sulla superficie ghiacciata, per poi salutare tutti e riprendere il viaggio.

La strada è ancora in buone condizioni fino alla periferia di Char’kov. Ormai da tempo, e sempre più man mano che ci addentriamo nell’Ucraina orientale, quasi tutte le scritte che incontriamo, a parte i cartelli stradali ufficiali, sono in russo e non più in ucraino, a conferma del fatto che in questa parte del Paese la popolazione russofona è netta maggioranza.

Char’kov, con il suo milione e mezzo di abitanti, è la seconda città più grande dell’Ucraina. A differenza delle vicine Dnipropetrovs’k e Donets’k, che sono il cuore minerario della nazione, è il cervello industriale. Non a caso alla fine degli anni quaranta del Ventesimo secolo proprio qui si è sviluppata l’industria nucleare sovietica. Char’kov è inoltre il luogo in cui i resti delle divisioni italiane sbaragliate in Urss nell’inverno 1942-1943 si radunarono dopo la battaglia di Nikolaevka per ritornare verso casa. I pochi che riuscirono ad arrivare in città in quel contesto avevano percorso 250 chilometri a piedi, vedendo morire nel tragitto la gran parte dei propri commilitoni, abbattuti da freddo, fame, malattie, partigiani e soldati sovietici.

Attraversiamo Char’kov percorrendo una complicata tangenziale ricca di svolte ma povera di cartelli. Qui facciamo un nuovo rifornimento di metano in un obsoleto distributore. Il nostro Iveco Daily è ben accompagnato dallo storico camion ZiL-130 e da un altro antiquato ma affascinante mezzo pesante.

Cento chilometri più a sud sostiamo per il pranzo in un altro luogo di concentrazione di truppe italiane, stavolta nel viaggio di andata verso il fronte orientale nell’estate del 1942. Si tratta della cittadina di Izium, scalo ferroviario dal quale degli increduli alpini furono inviati a combattere non, come credevano, fra le montagne del Caucaso, ma sulle pianure lungo il fiume Don a nord di Stalingrado. L’episodio è descritto in molti libri, tra cui l’interessante e dettagliato “La ritirata di Russia” di Egisto Corradi, edito da Longanesi nel 1965. Anche in questo caso i soldati, dopo giorni e giorni di treno, dovettero spostarsi a piedi da Izium al fronte, distante circa 200 chilometri.

In questo tratto di strada non c’è traccia dei lavori di miglioramento che in Ucraina hanno interessato molte tratte in occasione dei Campionati europei di calcio dello scorso anno. Di conseguenza viaggiamo su una striscia d’asfalto considerevolmente dissestata che più si conforma alla canonica definizione di “strada russa”; ciò ci impone velocità basse e un’enorme attenzione alle tante buche in mezzo alla carreggiata e al ghiaccio che si stende ai lati.

Provati dagli scossoni raggiungiamo la destinazione odierna, la città di Lugans’k, a soli 50 chilometri dal confine di Krasnodon tramite cui abbiamo in programma di entrare nella Federazione russa. Prima di sistemarci nel comodo hotel che porta il nome della città, un’imponente struttura sovietica che era stata tappa anche del viaggio estivo a Volgograd nel 2012, facciamo un altro rifornimento di metano. In questo caso il sistema è davvero interessante, perché si tratta di quello pionieristico scomparso dai distributori italiani ormai da diversi anni: la pompa non calcola automaticamente il gas erogato, bensì la pressione che, combinata con la capacità delle bombole, permette di determinarne lo spazio vuoto, e da quello i soldi da pagare.

Dopo una doccia ristoratrice, ci incamminiamo lungo Ulica Sovetskaja (Via Sovietica) che, con temperature ben al di sotto dello zero, presenta marciapiedi completamente ghiacciati. Ammiriamo operai spalare a mano cumuli di neve che vengono poi trasferiti tramite ruspa dentro molti camion con destinazione ignota. Ci chiediamo in senso ironico se tutta questa neve verrà portata nella città di Soči, dove si svolgeranno dal prossimo febbraio i Giochi olimpici invernali.

Ci fermiamo in uno dei tanti locali in cui nella tappa dell’anno scorso non eravamo riusciti a trovare posto, a causa dei tanti ucraini che affollavano i ristoranti per guardare la sfortunata partita della loro nazionale ai Campionati europei di calcio contro l’Inghilterra. Come sempre cerchiamo piatti tradizionali, e questa sera ci dedichiamo in particolare agli šašliki, buonissima carne di maiale arrosto, accompagnati da birra Černigovskoe.

Rientrati in albergo seguiamo al telegiornale gli sviluppi dell’importante incontro odierno tra il Presidente ucraino Janukovič e quello russo Putin a Mosca. A quanto pare la Russia comprerà 15 miliardi di dollari di bond ucraini e abbasserà di un terzo il prezzo del gas venduto al Paese vicino. Janukovič ha così ottenuto dalla Russia agevolazioni e liquidi di un valore pressoché pari ai 40 miliardi richiesti ma non ottenuti bussando alla porta dell’Unione Europea. Tutto questo piacerà alla parte orientale e filo-russa del Paese mentre alzerà probabilmente la tensione nella parte occidentale.

Ritorno a Volgograd – Giorno 4

"Cinghiali" sul lago ghiacciato di Valki.

"Cinghiali" sul lago ghiacciato di Valki.

Cominciamo la nuova settimana tuffandoci nel traffico di Kiev per raggiungere, risalendo le rive del fiume Dnipr, l’officina Global, referente dell’azienda Landi Renzo per l’Ucraina. Qui abbiamo in programma un incontro con responsabili e meccanici che esaminano il nostro impianto Dual Fuel che mescola metano e gasolio. Non ci sottraiamo mai a questi impegni perché è sempre piacevole valorizzare la collaborazione con i rappresentanti dei nostri partner. Tra l’altro questa visita ci è utile perché nell’occasione ci viene messo a disposizione un adattatore che, a differenza di quello in nostro possesso, collega direttamente l’attacco italiano del nostro impianto alle pompe di metano in uso in Ucraina e in Russia.

Dopo le foto di rito e una chiacchierata sulla rivoluzione anche con i tecnici dell’officina, è il momento di fare un nuovo rifornimento di metano. Ci rechiamo in una desolatissima stazione dove probabilmente sono arrivati di rado (o forse mai) veicoli italiani ad energie alternative. Prima che il gasista si convinca a procedere alla ricarica dobbiamo dimostrare tramite il libretto di circolazione che il veicolo è correttamente alimentato a metano e che le tre bombole sono state opportunamente collaudate. Il nostro interlocutore esamina di persona le bombole stesse e infine effettua il lento rifornimento. Tale piccolo contrattempo non si era verificato nel precedente rifornimento ad Užgorod, data probabilmente la maggior frequenza di automobili straniere in una zona molto più vicina ai confini occidentali del Paese. Speriamo che anche il nostro viaggio, portando un veicolo occidentale in rotte ben poco consuete, contribuisca a far diminuire la diffidenza dei gestori delle stazioni di rifornimento.

Lasciamo infine Kiev attraversando il Dnipr, e non possiamo non ricordare come proprio le acque di questo fiume raffreddassero i reattori della centrale nucleare di Černobyl’, ubicata a meno di centro chilometri da qui. Imbocchiamo la strada M-03, che ci porterà verso il confine russo, distante ancora, nella rotta che intendiamo seguire, circa 850 chilometri. Nonostante un po’ di neve caduta in nottata, il clima odierno non è avverso e l’unica cautela è quella di prestare attenzione al ghiaccio e al consueto stile di guida “euforico” dei camionisti locali.

L’obiettivo della giornata è avvicinarsi alla città di Char’kov, i modo che, se il tempo non farà brutti scherzi, si possa raggiungere Volgograd nel giro di due giorni. Il nostro tragitto è come sempre allietato dalle radio locali che trasmettono spessissimo brani italiani, e non manchiamo di stilare una classifica in tempo reale degli artisti più gettonati: dopo due giorni di ascolto guidano questa “hit parade” Adriano Celentano e un Pupo più sorprendente del solito, davanti a Ricchi e Poveri, Umberto Tozzi e Al Bano e Romina. Ancora indietro cavalli di razza come Riccardo Fogli e Toto Cutugno, mentre per i Matia Bazar c’è la consolazione di una serie di cartelloni pubblicitari di un loro futuro concerto a Kiev (per i fans l’appuntamento è per il 9 febbraio).

Nei pressi di Poltava incontriamo un distributore di metano lungo la strada. Stavolta convincere il custode del punto di rifornimento ad autorizzarci a fare il pieno è più facile del previsto. Dopo pochi metri riusciamo anche a rabboccare il gasolio. Esaminando i dati di quest’ultimo tratto di strada, notiamo con sorpresa di essere riusciti con un’andatura costante a raggiungere un ottimo risultato: poco meno di 350 km con circa 18 litri di gasolio, pari ad una media di 20 km con un litro. Il consumo così buono, raggiunto grazie ai circa 15 kg di metano, ci fa supporre che il metano ucraino abbia un potenziale maggiore rispetto a quello con cui ci riforniamo in Italia. In definitiva, nei 350 km esaminati abbiamo “speso” circa 25 euro!

Lo stop della tappa odierna è 50 km prima di Char’kov, a Valki, paesino con un simpatico motel vicino alla strada principale. All’Ezers spendiamo 50 euro in tre per pernottare e cenare abbondantemente. Intanto il Daily è parcheggiato lungo le sponde di un lago completamente ghiacciato dove alcuni pescatori, nel buio della notte, si dedicano alla propria attività con la tecnica del buco sul ghiaccio.

La vicina statua di Lenin in perfetta salute, sulla piazza a lui dedicata lungo il viale omonimo, testimonia che siamo passati nell’Ucraina orientale, la parte abitata dai filo-russi e che vede positivamente la politica di Janukovič. Ricordiamo per l’ennesima volta che Lenin in questi contesti non è tanto un simbolo politico, quanto un segnale della presenza russa su questo territorio.

Non a caso anche la conversazione con le simpatiche e attempate cuoche si svolge esclusivamente in russo e i commenti delle tre donne sui manifestanti di Kiev e sulla richiesta di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea sono ben poco benevoli. Continuiamo a chiacchierare mentre consumiamo pel’meni, carne, patate, birra e infine un pesante pirožok, la tipica pastella ripiena, tipico cibo russo che può essere ripieno di carne, patate, cavolo o, come in questo caso, frutta.
Sazi, ci ritiriamo a dormire presto per essere il più in forma possibile nelle ultimissime tappe che ci separano dalla destinazione.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3 sera

Una barricata in piazza Majdan.

Dopo esserci installati nel tardo pomeriggio all’hotel Slavutyč di Kiev, decidiamo di recarci in centro a vedere con i nostri occhi cosa succede nell’area di piazza dell’Indipendenza, nota come Majdan, cuore del presidio antigovernativo. Saggiamente decidiamo di lasciare il nostro Daily nel sicuro parcheggio dell’albergo e utilizziamo i mezzi pubblici, che come in tutti i paesi dell’ex Urss sono molto funzionali e anche economici (basti pensare che con l’equivalente di un euro acquistiamo le sei corse in metropolitana per l’andata e il ritorno). Già durante il viaggio incontriamo diversi manifestanti con bandiere ucraine o delle forze politiche di opposizione. Giunti alla fermata Teatral’na assistiamo ad un evento curioso che per certi aspetti ricorda un flash-mob. Ma probabilmente non si tratta di uno degli eventi estemporanei di moda in Occidente organizzati da ragazzi tramite social network: protagonisti sono infatti tantissimi anziani, alcuni dei quali in costumi tipici, che ballano abilmente musiche tradizionali suonate da musicisti di strada.

Usciamo all’aperto e ci imbattiamo nella prima barricata che blocca la via principale impedendo a veicoli, polizia e malintenzionati il transito verso piazza Majdan. Prima di recarci in quella direzione, tuttavia, ci rechiamo dalla parte opposta a sincerarci delle condizioni della statua di Lenin di Piazza del Mercato Bessarabia, recentemente abbattuta dai manifestanti: i resti del monumento sono ormai stati rimossi e sul piedistallo vuoto campeggiano due bandiere di forze politiche di estrema destra. Lì assistiamo ad un pesante diverbio tra alcuni dimostranti e un automobilista: quest’ultimo si ferma ad inveire contro i presenti (noi compresi!), accusandoli di essere dei vandali fascisti, ottenendo per tutta risposta un lancio di bottiglie contro il proprio veicolo.

Torniamo a ritroso verso piazza Majdan e man mano che ci avviciniamo troviamo sempre più gente accampata in una diffusa e organizzata tendopoli che occupa gran parte dell’area centrale della città. Numerose altre barricate, fatte di blocchi di neve ghiacciata, pali, casse di legno, cartelli, pneumatici e oggettistica varia, sbarrano tutte le vie di accesso alla piazza, comprese scalinate e sottopassaggi della metropolitana. I varchi nelle barricate, rigorosamente pedonali, sono presidiati da energumeni in tuta mimetica e spesso con il volto coperto. In piazza Majdan è in corso la conclusione della manifestazione odierna e su un palco si alternano comizi ed esibizioni di gruppi musicali.

Da piazza Majdan è paradossalmente ben visibile un grande arco illuminato che fa parte del complesso monumentale dedicato all’amicizia tra il popolo russo e quello ucraino: si tratta di una imponente realizzazione di epoca sovietica su un belvedere che domina il centro cittadino e il fiume Dnipr. Ci rechiamo sul posto e constatiamo che proprio intorno al monumento è stata realizzata una pista di pattinaggio su ghiaccio che (come ha tenuto a dirci lo zelante guardiano) aprirà i battenti tra pochi giorni.

Tornati in piazza Majdan ceniamo in un gradevole ristorante che offre una cucina legata alla tradizione dei Tatari di Crimea. Consumiamo una indispensabile minestra bollente, il borsch, utile ad attenuare il freddo, e il tipico risotto plov. Il pasto è accompagnato dalla proiezione, nel grande schermo del ristorante, di un documentario sulla Crimea che propone ininterrottamente le riprese da una camera-car della strada litoranea Sebastopoli – Jalta – Simferopoli. Si tratta di una strada che avevamo percorso lo scorso anno, nota per ospitare il più lungo marciapiede del mondo, che la accompagna per circa 150 chilometri, e una linea di filobus di ben 85 chilometri.

Prima di rientrare in albergo non possiamo fare a meno di entrare nel quartier generale dei manifestanti, installati all’interno del palazzo del municipio, occupato come altri palazzi pubblici. All’ingresso dobbiamo presentare i documenti e sottoporci a perquisizione, dopodiché possiamo accedere nei locali utilizzati anche come cucina, infermeria e dormitorio, oltre che come base operativa.
Anche qui notiamo come una componente ben visibile, forse la meglio organizzata, della manifestazione sia quella delle fazioni di estrema destra. Apparentemente è contraddittorio vedere i nazionalisti ucraini battersi per l’ingresso nell’Unione Europea, quando le forze di estrema destra all’interno dei Paesi Ue sono ostili alle politiche comunitarie. Come ci hanno spiegato alcuni interlocutori, la posizione di partiti come Svoboda o Udar è tuttavia più comprensibile nel momento in cui si interpreti la richiesta di adesione all’Unione Europea non tanto in sé, quanto come pretesto per svincolare l’Ucraina dalla storica influenza della Russia.

Va detto che la protesta non riguarda soltanto l’estrema destra, ma coinvolge anche forze politiche convintamente europeiste come il partito di ispirazione liberale legato all’ex premier Julia Tymošenko e una parte non trascurabile della società civile. Secondo alcune delle persone con cui abbiamo parlato all’interno del municipio, a supportare la protesta sarebbe l’80% circa della popolazione. Ciò non si è tuttavia tradotto in analoghe percentuali nelle elezioni suppletive per il Parlamento che si sono tenute proprio oggi in cinque distretti ucraini, e che hanno rispecchiato una divisione più o meno a metà tra le forze governative e quelle di opposizione.

Rientrati in albergo con una comoda combinazione di metropolitana e maršrutka (il tradizionale pulmino privato che copre capillarmente le vie delle cittadine ex sovietiche) riposiamo alcune ore in vista del prosieguo del viaggio.

Ritorno a Volgograd – Giorno 3

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.

Sulla strada per Kiev con l'orso Misha.L’hotel Europa di Brody è confortevole e pulito, ed è ubicato proprio nel centro della cittadina. Con i suoi 23.000 abitanti, oggi Brody è una sonnolenta comunità dell’Ucraina occidentale. Fino al 1941 era la città dell’ex Unione Sovietica con la più alta percentuale di popolazione ebraica. Con l’invasione nazista durante la Seconda guerra mondiale, gli Ebrei furono tutti deportati e quasi nessuno fece ritorno a casa. La toponomastica della città ci ricorda tuttora quest’importante presenza, mentre l’architettura ha subito la normale ricostruzione del dopoguerra alternando qualche edificio di valore storico con strutture funzionali ma bruttine.
Conoscevamo già la città di Brody grazie all’amicizia che ci lega a due ragazzi provenienti da questo luogo e che oggi abitano a Sansepolcro, i fratelli Vitalij e Viktoria Ivančuk, a conferma dell’importanza dell’amicizia con gli stranieri che vivono a Sansepolcro come occasione di scambio e di approfondimento culturale.

Il sabato sera a Brody non è il massimo della vitalità: diamo un’occhiata a due o tre locali presenti in centro ed optiamo per il ristorante Orion, collocato nella piazza centrale, vicino alla statua del poeta Taras Ševčenko. Dentro una grande sala arredata con quello stile un po’ trash che rimanda direttamente alla tradizione sovietica pasteggiamo insieme a una tavolata che festeggia un compleanno rallegrato da musica dal vivo. Veniamo ben presto coinvolti nei brindisi degli altri avventori che ci convincono persino a ballare le hit della tradizione locale, come la celeberrima “Kakaja ženščina!” (Che donna!). Intanto il brillante sessantenne Anatolij ci tesse le lodi delle poche ragazze presenti e si avventura in una digressione sul cinema citando il famoso (almeno nell’ex Urss) film italo-sovietico del 1973 “Una matta, matta, matta corsa in Russia”. Siccome il titolo originale è “Incredibili avventure di italiani in Russia”, Anatolij ride molto cambiandolo in “Incredibili avventure di italiani a Brody”. La nostra serata a Brody non si rivela così avventurosa, ma comunque ci divertiamo a calarci in una realtà decisamente insolita. Dopodiché, dopo 42 ore senza dormire, crolliamo in un indispensabile sonno ristoratore.

Più in forma che mai nelle prime ore del mattino, con temperature poco al di sotto dello zero, lasciamo Brody e ci incamminiamo lungo la strada M06 in direzione di Kiev. Nonostante qualche fiocco di neve che ci accompagna per tutto il percorso, i “cantonieri” ucraini hanno il merito di tenere questo tratto di asfalto in perfette condizioni. Scegliamo di consumare un caldo pasto nei pressi di Žitomir, dove facciamo amicizia con tre cani randagi a cui doniamo con piacere alcuni avanzi.

Recarsi a Kiev proprio oggi per certi aspetti può non essere la scelta più saggia: è infatti in programma una imponente manifestazione dell’opposizione al Governo, al culmine di una situazione di grande tensione politica che sta pesantemente agitando le città dell’Ucraina occidentale  da diverse settimane. Tuttavia domani mattina è previsto un incontro con i responsabili della sede locale dell’azienda Landi Renzo che ha realizzato il nostro impianto di alimentazione Dual Fuel e decidiamo di fare comunque tappa nella capitale. D’altra parte, al di là di qualche piccolo rischio, recarsi a capire di persona quello che sta accadendo a Kiev è per noi motivo di grande interesse, visto che le tematiche geopolitiche ci appassionano da sempre e sono uno dei motori dei nostri viaggi.

Prima di arrivare a destinazione, a circa 80 km dalla capitale, ci fermiamo a salutare un vecchio amico: si tratta dell’orso Misha, mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, che figura in diverse grandi statue situate sulle arterie principali che conducono a Kiev. In particolare, questa statua è la stessa che benedisse il transito della Marea della Torino-Pechino nell’estate del 2008.

Giunti nella capitale prendiamo alloggio, anche per precauzione, in un hotel situato al di là del fiume Dnipr rispetto allo scenario centrale della manifestazione politica. Lasciamo il Daily ben protetto nel parcheggio dell’albergo e decidiamo di recarci con i mezzi pubblici verso piazza Majdan e i luoghi occupati dai manifestanti.

Approfondimento: la crisi ucraina

Riguardo alla crisi ucraina, va detto che forse la verità è più complessa di ciò che ci raccontano. I nostri media ci deliziano quotidianamente su quello che sta accadendo a Kiev, e spesso corrispondenze improvvisate dipingono le giornate di protesta con estrema semplicità e con grande leggerezza. C’è spazio per una sola chiave di lettura, quella di un popolo oppresso che si ribella ad una autorità lontana dai cittadini e fortemente repressiva. Le cose, probabilmente, sono invece un po’ diverse, e un cronista obiettivo dovrebbe almeno ricostruire la storia degli ultimi anni cercando di spiegare perché in Ucraina esista un’opinione pubblica spaccata in due.

L’Ucraina diviene indipendente nel 1991, contestualmente allo scioglimento dell’Unione Sovietica, ed è guidata per i primi anni da esponenti del vecchio Partito Comunista che all’improvviso diventano indipendenti, patriottici o nazionalisti. Nei primi anni i presidenti Leonid Kravčuk (1991-‘94) e Leonid Kučma (1995-2005) riescono a mantenere una politica di buon vicinato con la Russia, concedono l’uso della base navale di Sebastopoli in Crimea alla marina russa e conciliano le esigenze dei due popoli che vivono nel paese: gli ucraini che parlano ucraino, stanziati  prevalentemente nella parte nord-occidentale del Paese, e gli ucraini che parlano russo, concentrati soprattutto nell’area sud-orientale.
È della fine del 2004 la prima crisi che porta centinaia di migliaia di persone ad affollare le piazze della capitale Kiev, la cosiddetta Rivoluzione Arancione. Il tutto nasce dal risultato delle elezioni presidenziali che vedono il pupillo del presidente uscente Kučma, Viktor Janukovyč, sostenuto dalla Russia, prendere al primo turno gli stessi voti dell’avversario Viktor Juščenko, presidente della Banca Nazionale, finanziato dagli Stati Uniti. Russi e statunitensi sostengono alla luce del sole i rispettivi candidati. Al ballottaggio tra i due Viktor la spunta il filorusso Janukovič, ma immediatamente a Kiev scoppia il finimondo. Imponenti manifestazioni guidate da Jushenko e dall’alleata Yulia Tymošenko, la ricchissima magnate del gas, denunciano brogli elettorali avvenuti nell’est del Paese, Usa e Unione Europea non riconoscono le elezioni e la tensione in Ucraina sfiora la guerra civile. La Corte Suprema ucraina decide di ripetere le elezioni e stavolta vince il filo-occidentale Juščenko che nomina primo ministro Yulia Tymošenko. La Russia risponde alzando il prezzo del gas, da cui l’Ucraina dipende, e chiudendo le forniture, mettendo in difficoltà il nuovo governo incapace di trovare una soluzione.
Nei cinque anni di mandato presidenziale, Juščenko non riesce ad imporre la svolta europeista che i suoi sostenitori volevano, ed è addirittura costretto a silurare la Tymošenko e sostituirla con il rivale Janukovič, per poi permettere un secondo mandato all’alleata, che per un periodo governa addirittura con i voti di Janukovič e senza quelli di Juščenko. Il caos è assoluto e i governi sono via via sostenuti da maggioranze diversissime. Nei due anni che la coppia Juščenko-Tymošenko tiene il timone della nazione sono stipulati alcuni atti importanti, come la richiesta di adesione all’Unione Europea e alla Nato e un discutibile accordo di rinnovo dei prezzi del gas russo che la primo ministro stipula senza un mandato del governo ucraino. Proprio per quest’ultima operazione la Timoshenko è oggi sotto processo e agli arresti in ospedale.
Le successive elezioni presidenziali, nel 2010, vedono i tre protagonisti della politica ucraina sfidarsi tra di loro: al ballottaggio il filorusso Janucovič batte la Timoshenko, e stavolta la comunità internazionale riconosce i risultati. Nel 2012 si tengono le elezioni politiche, nelle quali il Partito delle Regioni di Janukovič vince con il 30% superando il blocco di Yulia Tymošenko, nel frattempo agli arresti per lo scandalo del gas, che si ferma al 25%. Entrano in parlamento pure i Comunisti (13%), alleati di Janukovič, il partito del pugile Vitaliy Klyčko (14%) e l’estrema destra nazionalista Svoboda (10%). La coalizione governativa ha 254 voti su 450 deputati totali. La composizione geografica del voto è come prevedibile geopolarizzata: il Partito delle Regioni e i Comunisti sono radicati nel sud-est del Paese e l’opposizione nel nord-ovest. È significativo il risultato dell’estrema destra, fortemente nazionalista e xenofoba, che polarizza tutti i suoi voti nelle aree al confine con Polonia, Ungheria e Romania.
Nasce così il governo Azarov, che guarda verso la Russia e poco verso l’Unione Europea. Il primo ministro apre trattative con il potente vicino e con la nuova unione doganale alla quale hanno aderito Russia, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan e alle cui porte si appresta a bussare anche l’Armenia. Per Europa e Usa questo è un colpo pesante, perché quella che si è data il nome di Comunità Economica Euroasiatica appare come una realtà sovrastatale pericolosamente alternativa all’Unione Europea. Questo passaggio compromette i piani di Usa ed UE, che negli ultimi anni erano riusciti a destabilizzare l’area attorno al Mar Nero, sostenendo le coalizioni antirusse presenti in Georgia e Moldavia.

Ad oggi Europa, Usa e Russia si divertono a soffiare sul fuoco. Un eventuale incremento dello scontro potrà portare solo al collasso della nazione, con un possibile smembramento in due aree, una pronta ad avvicinarsi all’Europa e l’altra fagocitata dalla Russia. Il litorale del Mar Nero, compresi Odessa e la Crimea, ed i bacini carboniferi di Doneck, Dnipropetrovsk e Charkov andranno verso la Russia, mentre la capitale Kiev e le regioni come la Galizia, la Volinia, la Podolia e la Rutenia saranno facilmente europeiste. D’altra parte anche il recente abbattimento della statua di Lenin a Kiev non è stata un’azione anticomunista con 22 anni di ritardo, ma la distruzione di un simbolo di vicinanza alla Russia. Non è un caso che nell’est dell’Ucraina si trovino statue di Lenin o della zarina Caterina, mentre ad ovest di solito il posto del padre della rivoluzione russa viene preso dal poeta Taras Ševčenko, colui che per primo usò la lingua ucraina nella letteratura.
Questa è la vera partita che si gioca in questo pezzo di Europa, uno spazio largo oltre mille chilometri da est ad ovest e oltre 500 da nord a sud, abitato da circa 55 milioni di persone. Un tempo era il granaio dell’Urss ed esportava grano nel resto della nazione, mentre oggi, grazie a scellerate politiche economiche, non produce neppure per il proprio fabbisogno ed è costretta ad importare il frumento! Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno portato a concessioni agricole lunghe decenni a prezzi ridicoli, permettendo a molti italiani e francesi di produrre in Ucraina per rivendere in Europa. Alla faccia del chilometro zero.

Dopo questo approfondimento, è giunto il momento di recarsi a vedere con i nostri occhi costa sta succedendo a Kiev in queste ore…